La fama e il cinema di Pedro Almodóvar sono indissolubilmente legati al suo paese d’origine. L’esordio dietro la macchina da presa da parte del regista spagnolo, infatti, risale ormai a più di quarant’anni fa: si parla del periodo immediatamente successivo al franchismo, dopo la caduta della dittatura militare del generale Francisco Franco. A questo proposito, non è difficile immaginare come un ragazzo sulla soglia dei trent’anni, dichiaratamente omosessuale e con il cinema nel sangue, abbia trovato nella macchina da presa il mezzo necessario per raccontare il mondo dal suo punto di vista, con uno stile unico e personalissimo. Storie morbose, tematiche controverse, immagini provocatorie e linguaggio forte: tutto risulta esplicito nel cinema di Almodóvar, sin dai suoi primi film, come a volersi “aprire” totalmente al mondo intero, dichiarando e manifestando quella libertà d’espressione che tanto era stata negata durante la dittatura franchista, conservatrice e fortemente ancorata alla tradizione.
La voglia di essere “eccessivo”, come spesso è stato definito, sembra quasi una presa di posizione fortemente voluta da parte di Almodóvar, che decide di mettere in chiaro già all’inizio degli anni ’80 quale sarebbe stata la sua idea di cinema. Ci si può render conto, quindi, di come il contesto sociale e politico del periodo hanno sicuramente definito il modo in cui Almodóvar racconta le sue storie: il loro essere così discusse e provocatorie palesano una sorta di rivendicazione nella libertà artistica e creativa del regista, che si tramuta, il più delle volte, nella libertà sessuale da parte dei personaggi, tematica centrale nella sua poetica.
Nel corso degli anni Pedro Almodóvar si è confermato come il più importante regista spagnolo contemporaneo, la cui attività artistica ha suscitato l’attenzione del pubblico internazionale: egli ha creato un sistema di immagini e personaggi originali, dando vita ad un proprio personalissimo universo creativo. Il suo stile, unico e inimitabile, lo rende riconoscibile in ogni singolo fotogramma, nell’utilizzo che spesso fa delle scenografie eccentriche e colorate e nel trattare tematiche strettamente legate all’eros e alla sessualità. Nel suo svolgimento la poetica di Almodóvar rimane straordinariamente fedele ai propri temi, che ricorrono continuamente nei suoi film, ponendo riferimenti e citazioni nella narrazione.
Grazie a CG Entertainment, con la rassegna Almodóvar – La forma del desiderio (trailer) si potranno ripercorrere alcuni dei primi film del regista, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Cinque sono i titoli che, dal 15 giugno, verranno re-distribuiti al cinema in versione restaurata: L’indiscreto fascino del peccato (1983), Che ho fatto io per meritare questo? (1984), La legge del desiderio (1987), Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988) e Tacchi a spillo (1991). Si tratta di alcune delle più iconiche pellicole di Almodóvar che, sebbene non siano tutte riuscitissime, hanno acquisito nel corso del tempo lo statuto di cult. Esse delineano sin dal principio un registro autoriale ben evidente, che si sarebbe perfezionato nel corso del tempo raggiungendo poi la piena maturità, sia dal punto di vista narrativo che estetico-formale.
L’indiscreto fascino del peccato è ricordato, nella filmografia del regista, per aver suscitato grande scalpore alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia del 1983. La storia è quella di Yolanda (Cristina Sánchez Pascual), cantante di night club ed eroinomane che vede morire il suo ragazzo di overdose. Per paura di essere incriminata si rifugia dentro un convento che si rivela essere, ben presto, molto particolare: gli atteggiamenti delle suore risultano essere atipici e fuori dal comune. C’è chi fa uso di droghe, chi vende oggetti religiosi per soldi, chi scrive romanzi erotici sotto falso nome per dare sfogo alle proprie voglie sessuali e chi, provenendo da un passato omicida, si è rintanato nella “casa del Signore” per sfuggire alla giustizia. Ed è proprio qui che Almodóvar, da ateo convinto, propone la sua visione sulla religione e su come il peccato (o ciò che viene inteso come tale) possa aver origine, a volte, dove ogni cosa dovrebbe invece essere all’insegna della fede e della purezza. Il regista spagnolo tornerà molti anni dopo a trattare questa tematica, in maniera ancor più controversa, in uno dei suoi migliori film degli anni Duemila, ossia La mala educación (2004), indagando un argomento scottante come l’abuso sessuale nei confronti di minori, da parte di alcuni preti all’interno di un riformatorio.
Che ho fatto io per meritare questo? ruota attorno alla figura di Gloria (Carmen Maura), casalinga, moglie e madre, sottomessa alle voglie del marito e incapace di gestire la vita dei propri figli: essi, per aiutarla ad arrotondare lo stipendio, si ritrovano l’uno a spacciare e l’altro, omosessuale, a prostituirsi. Insieme a tutti loro è presente anche la suocera di Gloria, che rende i rapporti interpersonali ancor più complicati. Si tratta del primo vero film a tematica sociale da parte di Almodóvar che, sebbene non privo di difetti, risulta funzionale ad una rappresentazione pessimistica della condizione umana. Il film è ambientato quasi tutto all’interno dell’appartamento in cui abita la famiglia, in uno dei grandi palazzoni nella periferia di Madrid costruiti dal franchismo durante il boom economico. In un certo senso Gloria è l’embrione di una di quelle donne “sull’orlo di una crisi di nervi” presenti nell’universo almodovariano: costantemente sotto stress, costretta a prendere dei calmanti che gli vengono negati nel momento in cui si reca in farmacia e non ha la ricetta per acquistarli. La medesima scena, con la medesima attrice, si ripeterà proprio in Donne sull’orlo di una crisi di nervi; questo per far intendere come Almodóvar ponga delle correlazioni tra i suoi film per quanto riguarda situazioni, interpreti e caratterizzazioni dei personaggi.
La legge del desiderio è considerato il primo vero successo internazionale del regista spagnolo. Si tratta di un triangolo amoroso che rimanda, per certi versi, al cinema noir hollywoodiano, anche se, come sempre accade per Almodóvar, il genere cinematografico non è che un punto di partenza destinato ad una profonda rivisitazione personale. Pablo (Eusebio Poncela) è un affermato regista omosessuale che ha una storia con Juan (Miguel Molina). Un giorno quest’ultimo è costretto a trasferirsi e la relazione tra i due va avanti solo tramite delle lettere. Nella vita di Pablo, però, si insinua molto presto Antonio (Antonio Banderas) che, dopo una notte d’amore, non vuol vedersi lasciar andare dal regista ed inizia a nutrire una vera e propria ossessione per l’uomo. Attorno a loro ruota anche la storia di Tina (Carmen Maura), sorella di Pablo che, nata uomo, ha vissuto vicende che l’hanno segnata profondamente, a tal punto da cambiare sesso e diventare donna. Il film definisce sicuramente un salto qualitativo per Almodóvar, più maturo e consapevole sia dal punto di vista della scrittura che della messa in scena: il regista dà vita ad una sorta di rimescolamento dei generi (su tutti, il thriller e il melodramma), oltre che ad una profonda revisione dei ruoli sessuali. Una “geometria delle passioni” mossa soprattutto dalla figura di Antonio: egli interpreta l’eroe della passione travolgente, che si traduce in un eros assoluto, cannibale e vampiresco, pronto ad uccidere pur di raggiungere i propri obiettivi. L’idea da parte di Almodóvar di utilizzare la figura del regista come personaggio principale, nonché suo alter-ego, risulta essere qualcosa che tornerà spesso nel suo cinema, come in La mala educación (2004), Gli abbracci spezzati (2009) e Dolor y gloria (2019).
Tra i titoli più celebri del regista spagnolo, Donne sull’orlo di una crisi di nervi è una commedia elegante quasi totalmente “al femminile”, che permette ad Almodóvar di ricevere la sua prima candidatura all’Oscar per il miglior film straniero. Rispetto alla precedente pellicola il regista torna ad una storia più semplice e meno morbosa, ma non per questo meno impegnata. Si susseguono le vicende di un gruppo di donne “guidate” dalla protagonista: Pepa (Carmen Maura) si ritrova a vivere una crisi amorosa e “di nervi” a causa dell’abbandono da parte del suo amante; la moglie di quest’ultimo, Lucía (Julieta Serrano), si presenta nell’appartamento della donna desiderosa di vendetta, mentre Pepa è costretta ad ospitare anche Candela (María Barranco), una sua amica braccata dalla polizia, e la coppia di giovani fidanzati Carlos e Marisa (Antonio Banderas e Rossy de Palma). L’appartamento di Pepa è lo scenario almodovariano per eccellenza, in cui tutta quanta la narrazione prende piede: umorismo, dramma, colori accesi e sgargianti, passioni travolgenti e, soprattutto, la figura della donna che affronta i suoi traumi amorosi, mentre l’uomo viene dipinto in maniera negativa (sia sessualmente, che sentimentalmente). Come Antonio di La legge del desiderio, queste donne si ritrovano ad “amare troppo”, ad essere soppresse dal sentimento che loro stesse nutrono: l’eros sembra prendere il sopravvento, ma questa volta Almodóvar smorza il senso della tragicità in un film meno cupo e più eccentrico, considerato il suo primo vero cult.
Gli anni ’90 si aprono per Almodóvar con Tacchi a spillo, un film centrato sulla figura di una madre; si chiuderanno poi con un ulteriore film in cui la maternità è il motore centrale della narrazione, come si evince già dal titolo: Tutto su mia madre (1999), vincitore dell’Oscar per il miglior film straniero. Ancora una volta, con Tacchi a spillo il regista spagnolo rimescola le carte dei generi: melodramma, thriller, crisi familiare e giallo si intrecciano nella storia di un rapporto tra madre e figlia. Rebeca (Victoria Abril) sposa un ex amante di sua madre Becky (Marisa Paredes), un’affermata cantante. L’uomo, una sera, viene trovato morto nel suo letto a causa di un colpo di pistola; da quel momento, le indagini sull’assassinio verranno portate avanti insieme ad una sorta di “indagine interiore” da parte delle due donne, che saranno costrette a rivedere le loro posizioni nel mondo, come figlia e come madre. È interessante notare come, ancora una volta, l’eros e il sentimento sono gli elementi che definiscono lo snodo della narrazione e la risoluzione delle indagini: sulla verità assoluta trionferanno le passioni e gli affetti più cari con tutto il loro inarrestabile potere in grado di contaminare anche la giustizia. Il rapporto tra madre e figlia tornerà ad essere indagato da Almodóvar, in maniera ancor più approfondita, in Julieta (2016). Degna di nota risulta essere la citazione che il regista pone ad uno degli ultimi capolavori di Ingmar Bergman, ossia Sinfonia d’autunno (1978), in un emblematico dialogo tra le due protagoniste.
La poetica di Almodóvar, sin da questi suoi primi film, ha segnato una sorta di rinascita democratica spagnola che ha permesso al cinema di raccontare storie in maniera anticonvenzionale, trattando argomenti sempre strettamente correlati alla sfera della sessualità e a tutta la sua ambivalenza, attraverso personaggi bizzarri, eccentrici e grotteschi. Nonostante questo, essi manifestano sempre una straordinaria umanità, proprio perché, pur essendo fuori dagli schemi tipici dell’eroe classico, sono caratterizzati da sfaccettature morali che inevitabilmente risultano essere parte integrante dell’individuo. Tossicodipendenti, omosessuali, transessuali, drag queen, prostitute e assassini: Almodóvar descrive l’individuo al di là dei corpi e delle apparenze, mostrando come anche persone di questo tipo siano dotate, pur nei loro atteggiamenti immorali, di sentimenti e passioni che muovono i rapporti umani e danno un significato alla vita.
Premiato con il Leone d’oro alla carriera nel 2019, durante la Mostra Internazionale del cinema di Venezia, Almodóvar è considerato, ad oggi, uno dei più importanti autori del cinema contemporaneo, fonte d’ispirazione di alcuni celebri registi come l’ormai affermato canadese Xavier Dolan. Da ricordare è anche il suo ruolo da produttore: in particolare va evidenziato sicuramente il suo contributo ad uno dei primi film del premio Oscar Guillermo Del Toro, La spina del diavolo (2001), che avrebbe portato poi quest’ultimo al grande successo hollywoodiano. Artista a tutto tondo, Almodóvar è sempre riuscito a lasciare un’impronta nei suoi film. Il regista è solito circondarsi dei medesimi interpreti, che ricorrono nelle sue storie: Carmen Maura, Marisa Paredes, Penélope Cruz, Antonio Banderas, Rossy de Palma e Javier Bardem, sono solo alcuni dei volti più noti che contribuiscono a rendere ancor più personale l’universo almodovariano.