Tratta dai racconti di Gianrico Carofiglio scritti nel 2016, il 25 febbraio 2020 è sbarcata su Raiplay (e il 3 aprile su Rai3 come un unico film) Passeggeri notturni (qui il trailer). Una delle caratteristiche più evidenti della serie è la durata: 10 episodi che non superano i 15’ l’uno. Ambientata tra Milano e Bari, Passeggeri notturni ha come protagonista Enrico (Claudio Gioè), uno speaker radiofonico che ogni sera ascolta dalla sua trasmissione musicale, i problemi ed i racconti personali che gli pervengono telefonicamente dal pubblico da casa. Attraverso questo escamotage, Carofiglio riesce a introdurre temi di una certa importanza e attualità come la violenza sulle donne (tema cardine della serie), il tradimento e la pedofilia. A fare da cornice a tutto ciò, c’è un giallo e quindi una domanda: perché Sabrina Leonardi si è uccisa? A questo interrogativo Enrico vorrà rispondere collaborando con Nicola, suo caro amico e ufficiale della polizia milanese (Gianmarco Tognazzi).
Ogni puntata è strutturata per affrontare uno specifico tema e, parallelamente, portare avanti la trama sul perché del suicidio di Sabrina. Quasi come se fosse una parabola biblica si passa da episodi che, seguendo in modo più o meno fedele i sentieri narrativi tipici de’ Il viaggio dell’eroe di Vogler, evocano pellicole cult come Karate Kid (con tanto di saggio e prove da superare) e manga/anime come Naruto o Berserk (nella sua dimensione da fantasy medievale). Altri episodi si interrogano sul labile confine tra etica e giustizia, altri sul valore della verità come strumento di compassione o di danno.
Dal punto di vista della scelta delle ambientazioni, non c’è molto di originale da notare: campagne, case, aeroporti sono perlopiù quelli più presenti. Forse il luogo più interessante, l’unico che raccolga un senso di dinamicità, è il treno. Il treno inteso paradossalmente come un dimensione sospesa, come luogo per conoscere e scoprire nuove anime e nuovi odori (“L’olfatto è il senso della memoria”). Un gesto semplice come comprare un giornale a una “vagabonda” di strada, ci fa riflettere su quanto la cultura sia inaccessibile e la si dovrebbe pagare al prossimo almeno nelle sue forme più fruibili ed economiche.
A fronte di un numero di temi non irrilevante, in aggiunta a quelli già citati prima non si può non sottolineare la ferma condanna di Carofiglio per tutto ciò che concerne l’abuso di potere e la violenza in tutte le sue forme (lo schiaffo come mezzo di potere e la creazione di sensi di colpa estorti in relazione all’impossibilità del non sapere dire di “No”). Le criticità della serie sono molte e sono riscontrabili soprattutto nell’agone drammatico: la storia principale praticamente non c’è. Non bastano citazioni hemingwayane, o più “italiche”, come quella di Pino Nazio (un personaggio ce lo riporta alla mente con questa citazione: “È meglio sentire il rumore delle catene che il suono delle campane a morto”, da Il bambino che sognava i cavalli); riferimenti alla cultura alta della letteratura russa o a quella filmica contemporanea come Mommy di Xavier Dolan (scena tra due personaggi dove un pugno diventa un bacio, similarmente al bacio sul pugno della madre da parte del giovane Steve nel film: violenza e amore in un unicum) per giustificare 10 puntate, di poco più di 10 minuti l’una, dove il filo narrativo è sempre più esile e forzatamente discontinuo.
Uno dei punti al tempo stesso forti e deboli della serie carofigliana è il cast attoriale, composto principalmente da Claudio Gioè (I cento passi), Alessandro Tiberi (Boris, Tutto può succedere), Marta Gastini (I Borgia), Ludovica Martino (Skam Italia) e Gianmarco Tognazzi. Gli attori, però, nel più dei casi non risultano credibili: Tiberi, nell’unico episodio in cui è protagonista, risulta poco incisivo e poco addentro alla dimensione narrativo-psicologica del suo personaggio; Claudio Gioè, seppur presente in tutti e 10 gli episodi, interpreta un personaggio poco carismatico e per nulla espressivo; si salvano solo Marta Gastini, davvero efficace nel ruolo della giovane donna dall’anima lacerata e debole che non sa dire di “No” e Gianmarco Tognazzi, che con il suo timbro baritonale, i colori visivi e vocali e le appoggiature giuste, riesce ad essere sempre credibile e a risultare forse l’unico personaggio da ricordare della serie. Menzione d’onore per la giovane Ludovica Martino, che in minutaggio a dir poco serrato riesce, come ampiamente già dimostrato nella serie Skam Italia, ad essere spontanea nella mimica facciale e “vera”, nel senso stanislavskiano del termine, nella performance attoriale.
In estrema sintesi Passeggeri notturni è un prodotto tematicamente valido, ma diegeticamente insipido, non sfruttato e non approfondito nelle sue forme. Poteva, doveva, essere molto di più.
La Rai ha perso un’occasione.