Fenicusa è una piccola isola siciliana. È così piccola che i suoi abitanti sono tutti cugini tra di loro, di grado più o meno lontano. Lì le uniche scelte di istruzione, dopo le scuole medie, sono il liceo scientifico e il liceo classico. E un ragazzo con le aspirazioni da artista, ad esempio, come potrebbe coltivarle sull’isola? Sarebbe costretto a lasciare la propria terra natia prendendo un traghetto per Milazzo, dove lo attenderebbe la formazione necessaria a realizzare il suo sogno. Dalla storia travagliata, di resistenza e lotta contro aggressori bramosi di occuparla, Fenicusa è ora il regno di un tanto stabile quanto elementare e limitante equilibrio, tenuto in piedi dalla sua carismatica e grintosa sindaca (Donatella Finocchiaro). L’ordine della comunità viene tuttavia nuovamente stravolto quando vi si insinua un rappresentante (Bruno Todeschini) del Ministero degli Affari Esteri francese, presso cui si è stabilito che Fenicusa, tra le altre cose a scopo di sfruttamento petrolifero, dovrà essere a breve acquistata dalla Francia.
Paradiso in vendita è un tentativo di rappresentazione dell’incontro-scontro tra culture diverse, laddove una subirebbe la pressione esterna dell’altra, in un’epoca in cui le identità locali, ad uno sguardo superficiale ormai così sedimentate da essere inscalfibili, rimangono tanto suscettibili a adombramento e, in casi estremi, ad eliminazione quanto lo sono state sempre nel corso della storia. Ogni tradizione, dunque, per continuare a conservarsi nel tempo, ha bisogno di essere attivamente difesa dall’indiscriminata contaminazione di costumi esterni, di cui pure, in prospettiva di apertura verso il resto del mondo, va accolta e valorizzata l’influenza. È evidente che Luca Barbareschi, produttore e regista del film in concorso nella sezione Progressive Cinema della diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma, sia riuscito, grazie anche ad una struttura narrativa lineare e, non sempre con accezione positiva, piuttosto prevedibile, a veicolare in modo diretto il messaggio al cuore della storia, o almeno quello che lo spettatore è pronto ad accogliere durante la visione.
Come già accennato, la prevedibilità di cui la scrittura di Paradiso in vendita è impregnata costituisce un’arma a doppio taglio, di cui purtroppo risulta nettamente più affilato il lato della lama che corrisponde all’ovvietà e alla scontatezza, anziché quello che sta per l’intelligibilità e la chiarezza espositiva. Il riso che ricorrendo a numerose scene improntate al genere comico si intende scatenare nel pubblico si manifesta nella sua resa più smorzata e meno convinta per via della costante presenza di un fattore di ‘già visto’ di cui è impossibile non tenere conto. La caratterizzazione burlesca della popolazione insulare siciliana, la reazione di rigetto di questa all’arrivo dello straniero e, più di tutto, al suo tenace sforzo di imporre sui suoi membri modi e usi a loro totalmente estranei a scapito degli unici a cui sono stati esposti per la loro intera esistenza, e, ancora, dall’altra parte, il disorientante e repellente impatto che la stessa comunità ha a sua volta sullo straniero proveniente dalla metropoli e il modo in cui quest’ultimo, a un certo punto, cade tra le braccia della cittadinanza che dovrebbe star assoggettando: è questa una serie di motivi rintracciabili in tanti film di argomento affine a quello di Barbareschi, di cui esempi abbondano nel cinema internazionale così come in quello nostrano.
La visione, poi, non viene di certo resa più trascinante dalla regia e dal montaggio, che anzi irritano la percezione dello spettatore più allenato, infastidito dagli improvvisi movimenti di macchina e spostamenti lungo la scala delle inquadrature, per cui si riprendono i personaggi in scena, in un momento, a figura intera e con carrello semicircolare e, un secondo dopo, in primo piano e con macchina a mano, senza che sia rintracciabile alcuna logica motivazione espressiva dietro tali scelte stilistiche. Ulteriore elemento di disturbo è la colonna sonora che, soprattutto nelle lunghe sequenze cliché del film, sovrasta le altre componenti uditive, distogliendo l’attenzione dello spettatore dalla, seppur povera, successione dei fatti.
Fenicusa non esiste davvero. È l’equivalente immaginario che Barbareschi ha trovato a quelle isole greche nel Mar Egeo e del Dodecaneso che nel 2015 il governo ellenico era disposto a vendere ai Paesi esteri suoi creditori, quelli, cioè, che avrebbero supportato la Grecia nella sua uscita dalla crisi economica. Per quanto originale lo spunto a cui si è ispirato il regista sia, di Paradiso in vendita, a lasciare perplesso il pubblico è, su tutto, oltre agli elementi tecnico-narrativi sopraelencati, il finale: colei che all’inizio ci viene presentata come sindaca di Fenicusa sta per diventare di nuovo madre e, in un accostamento che risulta difficile credere casuale, la sua carica è passata nelle mani del suo compagno, proprio l’(ormai ex) ambasciatore francese. L’intero senso del film potrebbe qui venire ribaltato: è forse vero che, in un modo o nell’altro, che sia più aggressivo o più subdolo, l’invasore più potente è destinato a trionfare? Così come, sempre succede che in un legame tra due poteri, di cui uno maschile ed uno femminile, sia quest’ultimo a doversi fare da parte?