Nel contesto di quella che è stata definita la streaming war tra le diverse piattaforme OTT, tra le quali Netflix e Amazon Prime Video sono le indiscusse potenze egemoni, spesso si presta poca attenzione al prestigio e alla politica editoriale di Apple TV+. Sin dal suo lancio nel novembre del 2019, infatti, la piattaforma di streaming di proprietà di Apple ha messo in chiaro la propria strategia produttiva: la qualità piuttosto che la quantità, e una politica d’investimento su grandi autori e progetti marcatamente autoriali.
Ed è questo il caso di Palmer (qui il trailer), reso disponibile su Apple TV+ a partire dal 29 gennaio, diretto da una mano esperta quale quella di Fisher Stevens, regista di punta della prestigiosa serie HBO Succession (2018-in corso), e del documentario sul cambiamento climatico condotto da Leonardo Di Caprio Punto di non ritorno-Before The Flood (2016), e la cui campagna marketing è stata completamente affidata allo stardom del suo protagonista, Justin Timberlake.
Palmer racconta la storia di Eddie Palmer (Justin Timberlake), un’ex stella del football che, dopo aver scontato 12 anni in prigione, torna nella sua cittadina natale, Sylvain, nel profondo sud degli Stati Uniti in Louisiana. La necessità di riprendere in mano la propria vita, e l’incontro con Sam (Ryder Allen), il bambino che vive nel retro del suo giardino in un contesto familiare abusivo, condurranno Palmer alla scoperta di se stesso.
Il film, pur presentando diverse criticità, su tutte una scrittura eccessivamente prevedibile, e talvolta stereotipata, raggiunge pienamente le sue finalità. Palmer dopotutto è ciò che gli americani definiscono a small indipendent movie, un prodotto a basso budget che riflette sulla mentalità puritana e decisamente retriva americana, mettendola in crisi all’interno di un discorso autoriflessivo sulla nostra contemporaneità. Palmer, infatti, dovrà prendersi cura del piccolo Sam, uno straordinario Ryder Allen al suo debutto cinematografico, vittima di bullismo semplicemente a causa dei suoi gusti e della sua vitalità che lo rendono “diverso” dagli altri bambini. Sam ama giocare con le bambole e guardare i cartoni animati con le principesse, e non comprende perché ciò possa essere considerato sbagliato. In questo senso Palmer non è soltanto un film che si rivolge alla comunità LGBTQ+, ma in maniera più naturale e garbata riflette su un certo modo di rappresentare la mascolinità al cinema e nella società americana.
Palmer potrà risultare didascalico, e a tratti edulcorato, ma si rende necessario all’interno di un percorso filmografico sull’educazione e sulla comprensione di ciò che è normale. Redenzione, accettazione di sé e seconde opportunità sono le figure tematiche chiave del film. Buona anche la performance di Timberlake che costruisce col piccolo Allen una perfetta couple chemistry. Imprescindibile no, ma certamente consigliato in un momento storico-culturale in cui l’America post-trumpiana ha il dovere di ripensare se stessa anche in termini di modelli di immaginario relazionale condiviso.