Outside the Wire (trailer) è il nuovo film di Netflix, rilasciato sulla piattaforma lo scorso 15 gennaio. Diretta dallo svedese Mikael Håfström la pellicola è a cavallo tra lo sci-fi, l’action e il war movie. Anthony Mackie e Damson Idris interpretano i due protagonisti principali. Accanto a loro figurano anche Emily Beecham, Michael Kelly e Pilou Asbæk .
La vicenda si svolge in un prossimo futuro nel quale imperversa una sanguinosa guerra civile tra i ribelli ucraini e la Russia. A complicare il quadro geo-politico tra le forze schierate in campo figurano tanto per cambiare gli Stati Uniti, chiamati a mantenere la pace, anche con intelligenza artificiale addestrata al combattimento. Tra di loro il capitano Leo (Mackie), avanzatissimo androide, a cui viene assegnato il giovane pilota di droni Harp (Idris), inviato al fronte come punizione per disobbedienza. I due saranno chiamati a compiere una segretissima missione per sottrarre dei codici nucleari a Koval, capo degli insorti. Presto però l’efficientissima macchina Leo si rivelerà in grado di avere una propria volontà e Harp dovrà dimostrare tutto il suo valore per salvare il mondo.
La storia del robot senziente con tutti i conseguenti risvolti, positivi ma soprattutto negativi, rende omaggio a un topos classico del genere, sviluppandolo però piuttosto male, senza profondità e con un intreccio che prova a sorprendere senza riuscirci. Un’occasione mancata si potrebbe azzardare, perché nella macchina costruita per la morte in grado di capire gli orrori di cui si rende complice e ribellarsi c’è un potenziale di sviluppo piuttosto ampio. Peccato quindi che tutto si risolva nella solita corsa dell’eroe per salvare il mondo, anzi l’America, da una minaccia nucleare, tra esplosioni e piogge di proiettili che non lo scalfiscono neanche un poco.
Gli attori fanno bene la loro, con una recitazione ben calibrata, pur senza toccare picchi particolarmente alti, anche a causa di una caratterizzazione superficiale dei personaggi. Il capitano Leo nel quadro generale è un po’ un’eccezione, con la quale si riesce a creare una sorta di empatia, sebbene le sue motivazioni e distruttive ambizioni vengano esposte in modo un po’ sbrigativo.
Il film, girato a Budapest, si snoda in ambienti miseri, distrutti dalla guerra in cui sciamano gruppi di ragazzini sporchi e ribelli derelitti. Gli effetti speciali sono usati con equilibrio e riescono a gratificare la voglia di dinamicità dello spettatore, scadendo di qualità solo poche volte nel corso della narrazione. La regia fa il suo lavoro in modo pulito, esponendosi poco ma contribuendo a sopperire alle mancanze di scrittura, anche grazie al ritmo incalzante con cui si alternano le inquadrature e alla patina polverosa donata dalla scelta dei colori.
Il problema principale con questa pellicola è che non si capisce dove voglia andare a parare. E non perché il film voglia presentarsi volutamente aperto al dibattito, ma per una involontaria contradizzione negli input inviati agli spettatori. Più volte si fa riferimento alle così dette vittime “collaterali” delle operazioni militari statunitensi che Leo e i ribelli vogliono provare a fermare, seppur con un mezzo orribile e sbagliato. E qui l’opera tenta di dare un chiaro messaggio antimilitarista, ben presto però oscurato. I buoni sono gli stessi che provocano più o meno direttamente la morte di innumerevoli innocenti, trasformati in eroi nel momento in cui cercano di evitare la distruzione degli Stati Uniti, senza però minimamente interrogarsi su quella portata da loro stessi in giro per il mondo. Sarebbe stato bello vederli sì salvare migliaia di vite americane, ma anche prendere consapevolezza di quelle che sono loro stessi a togliere.
Outside the Wire è un investimento di tempo consigliato a chi abbia voglia di suspense e azione poco impegnativa. Non è abbastanza buono da colpire in positivo, non è abbastanza brutto da rimanere impresso. È semplicemente sorpassabile: anche gli amanti del genere lo dimenticheranno presto.