#Oscar2025, il resoconto della serata: L’Academy perde il pelo ma non il vizio

vincitori dei premi come migliori attori

Da sempre i premi Oscar sono una cartina tornasole per vedere l’andamento del mondo cinematografico americano ma anche mondiale. I premi dell’Academy non sono più rilevanti come in passato ma rappresentano ancora uno status simbolo ed un appeal che raramente si trova da altre parti nel settore. Il mondo americano cinematografico, soprattutto quello candidato all’Oscar, non è la totalità della produzione mondiale e sicuramente non ne rappresenta la qualità, ma è utile per comprendere che tipo di film piacciono al gusto medio dei votanti dell’Accademy, e ci aiuta a osservare da vicino lo stato di salute del cinema adesso.

Anche per questo motivo la cerimonia degli Oscar è ancora un appuntamento imperdibile gli amanti della settima arte. Negli ultimi anni con la conduzione di Jimmy Kimmel si aveva l’impressione di assistere ad una serata più spenta e formale, senza grandi sketch ed episodi rilevanti. Gli Oscar non sono più seguiti con l’interesse di dieci anni fa, denotando non solo una crisi del settore ma anche del prestigio del premio stesso. Adesso però, alla chiusura del 97esima edizione degli Oscar, si ha l’impressione che quest’anno al Dolby Theatre di Hollywood abbia tirato un’aria diversa, sia in positivo che in negativo. Ma è davvero così?

Di nuovo c’è sicuramente la conduzione, affidata per la prima volta a Conan O’Brien, famosissimo presentatore televisivo e comico americano con una personalità riconoscibile e carismatica. Un viso ben noto per il mondo americano, che dimostra di apprezzare da anni il suo umorismo piccato e al tempo stesso goffo e inverosimile. O’Brien porta sul palco degli Oscar una forza vitale ed energica con numerosi sketch, di cui il più riuscito è quello in cui esorta ad andare al cinema, con una non tanto velata critica alle piattaforme e alla tendenza alla fruizione di film da casa, privandosi del gusto della sala cinematografica. Una gag particolarmente riuscita e attuale, il cui appello è stato ripetuto più volte nella serata anche attraverso i vincitori come Sean Baker, regista di Anora.

O’Brien non si è risparmiato le battute scomode, ad esempio quella riferite a Karla Sofía Gascón. La donna è la protagonista di Emilia Perez, il film che ha ricevuto 13 candidature agli Oscar e che era tra i favoriti in questa award season, anche grazie alla massiccia campagna promossa da Netflix, il suo distributore. Durante gli scorsi mesi, però, non solo il film è stato criticato e preso di mira dal web per una rappresentazione stereotipica del mondo messicano e un uso forzato delle canzoni, ma anche Gascón è stata accusata di razzismo per dei suoi vecchi tweet islamofobi.

A causa di questo scandalo, il regista Jacques Audiard ha preso le distanze dalla donna, e anche Netflix ha smesso di promuoverla nella sua campagna. L’Academy stessa ha fatto marcia indietro sul film e dall’attrice: prima, infatti, aveva reso Emilia Perez il film internazionale con più candidature della storia ed elogiato Karla Sofia Gascón come la prima donna transessuale candidata come attrice protagonista, poi ne ha preso le distanze una volta che lo scandalo è uscito allo scoperto. Questa presa di posizione repentina e solo di facciata non sconvolge nessuno, tantomeno O’Brien che non risparmia qualche rimando a questo evento, con battute azzeccate e sempre spiritose. L’energia di O‘Brien si ritrova anche nei numerosi talent che si susseguono come ospiti, ad esempio Adam Sandler che col suo outfit fuori contesto ha regalato agli Oscar gag spiritose e fresche.

Conan O'Brien come presentatore degli oscar 2025

Non manca poi la dovuta menzione agli incendi di Los Angeles dello scorso gennaio, che oltre ad aver devastato milioni di case e causato numerosissimi sfollati, ha anche colpito direttamente l’Academy e il mondo del cinema, distruggendo sia set che loro case private e obbligandoli a rimandare le nominations. Quando sul palco salgono i pompieri che hanno aiutato a domare le fiamme, il tutto si trasforma in un simpatico siparietto in cui O’Brien fa dire a qualche pompiere una battuta su un film candidato. È anche da questo che si nota la capacità del nuovo conduttore di saper far divertire, non essendo scontato che un episodio così drammatico che tocca un tasto dolente per il pubblico in sala possa trasformarsi in uno spunto per ridere.

L’elemento meno positivo della serata è il voluto allontanamento da temi caldi e politici. Lo scorso anno la figura controversa di Donald Trump, da sempre criticato a Hollywood, era stata nominata diverse volte esplicitamente, mentre quest’anno si ha l’impressione di volersi tenere a distanza dal rieletto presidente. Sia sul red carpet che coi loro discorsi di ringraziamento, i talent candidati non rispondono con facilità a domande di politica e si tengono su discorsi ampi, generalisti e vaghi. In questo senso, la battuta più riuscita di O’Brien è quando a metà serata si congratula con Anora per i premi vinti fin ora, aggiungendo che forse al pubblico americano piace quando qualcuno si ribella ad un potente russo. Un’allusione implicita sull’attuale diplomazia in corso tra Trump, Putin e Zelensky per la guerra in Ucraina, una grande frecciatina eseguita con stile, ma che rimane lì dov’è, senza rimandare ad altro. Sicuramente un’occasione mancata per usare il proprio ruolo di host per una satira sociale e una critica al governo di Trump che sta facendo discutere tutto il mondo.

Nonostante questo, l’attualità e la politica trovano sempre il loro modo di arrivare al palco più importante d’America, e questa volta lo fanno con la premiazione di No other land come miglior documentario, film che racconta la vita degli attivisti palestinesi contro le forze israeliane che vogliono distruggere la loro città in Cisgiordania. Una vittoria politica e simbolica, che acquisisce ancora più importanza se si pensa che il film non ha trovato distributori in America e che non è stato quindi visto dal pubblico comune. La premiazione dimostra l’interesse dell’Academy per certe tematiche spinose e scomode per il mondo americano, e sottolinea che l’importanza degli Oscar non sta solo nel premiare la qualità ma nel dar risonanza a storie che altrimenti rimarrebbero nell’ombra.

I PREMI

Negli ultimi tempi l’ascesa del favorito Emilia Perez è stata bloccata bruscamente dall’inevitabile ferocia dei media, e i pronostici hanno subito non pochi cambiamenti. Le preferenze sono, poi, slittate soprattutto su The Brutalist e Anora. La cerimonia al Dolby Theatre di Los Angeles si è aperta con la magnifica esibizione di Cynthia Erivo e Ariana Grande, entrambe candidate per i loro ruoli nel Musical Wicked. Il primo premio presentato, come da tradizione, è stato quello per il miglior attore non protagonista. Tutte le previsioni puntavano su Kieran Culkin, che ha dominato questa award season con la sua tumultuosa performance in A Real Pain, la piccola gemma di Jesse Eisenberg che è riuscita a guadagnarsi due nomination, ma che meritava molto di più. Per fortuna i pronostici si sono rivelati esatti e Culkin ha completato al meglio una stagione a dir poco impressionante.

Per quanto riguarda l’animazione, l’acclamato Flow, candidato anche come miglior film internazionale, ha vinto come miglior lungometraggio animato, conquistando la prima statuetta per la Lettonia. Il film, indipendente e profondamente significativo per il nostro presente, ha trionfato sul colosso Disney Pixar e sul suo campione d’incassi Inside Out 2. L’iraniano The Shadow Of The Cypress ha, invece, conquistato il titolo di miglior cortometraggio d’animazione. Il miglior corto documentario è andato a The Only Girl In The Orchestra, la bellissima storia della contrabbassista Orin O’Brien, che manca, però, di qualsiasi valore politico o sociale, al contrario del vincitore come miglior documentario: No Other Land. Il lungometraggio è stato scritto, diretto, prodotto e montato da un collettivo israelo-palestinese, e il suo trionfo è stato uno dei pochi segnali significativi dati dall’Academy in questa edizione. Il miglior cortometraggio è andato all’olandese I’m Not A Robot, film di sfida al controllo del patriarcato sulle donne e sulla tecnologia.

ariana grande e cynthia erivo nella performance di apertura

Con le sue 10 nomination, Wicked, diretto da Jon M. Chu, ha ricevuto l’Oscar per i migliori costumi del designer Paul Trazwell e quello per la miglior scenografia, a Nathan Crawley e Lee Sandales, per aver dato vita all’incredibile e magico mondo di Oz. La mastodontica opera d’arte di Denis Villeneuve, Dune Part 2, invece, è stata premiata solamente per il sonoro e gli effetti speciali, mentre si è vista negare una meritatissima statuetta per la fotografia.

Nonostante le polemiche che hanno circondato Emilia Perez e in particolare la star Karla Sofia Gascon, e quello che sembra un diffuso disprezzo da parte del grande pubblico, il film è riuscito a portare a casa due statuette. La prima per la miglior canzone originaleEl Mal” che accompagna una delle scene più iconiche del film, la seconda per la migliore attrice non protagonista alla straordinaria Zoe Saldana, che, anche nell’occhio del ciclone, ha mantenuto salda la sua posizione di favorita.

La seconda parte della serata è stata dominata da Sean Baker che per il suo folgorante Anora si è portato a casa gli Oscar per miglior montaggio, miglior sceneggiatura originale, e miglior regista. La miglior sceneggiatura non originale è andata, inaspettatamente a Paul Straughan, che conquista l’unico premio a nome di Conclave. The Brutalist si è poi aggiudicato l’Oscar alla fotografia per Lol Crawley, e per la miglior colonna sonora, firmata da Daniel Blumberg. La contesa lotta per il miglior Film Internazionale tra cinque impressionanti titoli si è conclusa, com’era prevedibile, a favore del brasiliano Ainda Estou Aqui (Io Sono Ancora Qui), ambientato durante il regime militare nel Brasile degli anni 70. Diretto da Walter Salles, la pellicola era candidata anche a Miglior Film e per la struggente interpretazione di Fernanda Torres.

La competizione per il miglior attore, al contrario della quasi scontata vittoria di Cillian Murphy dello scorso anno, sembrava più aperta che mai, con i pronostici divisi equamente tra il trasformismo di Timothée Chalamet e la faticosa epopea di Adrien Brody, che ha avuto la meglio. Il popolo di internet non ha perso tempo con le polemiche e ha condannato prontamente l’uso dell’intelligenza artificiale per correggere l’accento ungherese di Adrien Brody. Contrapposto al durissimo lavoro intrapreso da Chalamet per la bellezza di 5 anni, tra canto, chitarra e fisarmonica, l’espediente dell’IA non sembra andare a genio a molti. A fine serata, sorprende la vittoria di Mickey Madison come attrice protagonista, che, seppur magnifica, non era in testa alla competizione. In molti, infatti, davano per scontato che il premio sarebbe andato alla star di The Substance, Demi Moore, che per questo ruolo si è accaparrata un SAG Award e un Golden Globe. Lo sfortunato body horror di Coralie Fargeat se ne torna a casa con una sola misera statuetta per miglior trucco e acconciature, aggiungendo le sconfitte della serata alla scioccante mancata nomination di Margaret Qualley

Poco prima delle 5 di mattina, ora italiana, Meg Ryan e Billy Crystal, in un’adorabile reunion di Harry ti presento Sally, hanno annunciato il vincitore della statuetta più ambita. E’ ancora una volta Anora. Il gioiello della corona di Sean Baker, già Palma d’oro a Cannes, si aggiudica anche l’Oscar come miglior film. L’opera era senza dubbio tra i favoriti e meritevole di ogni nomination, ma lascia comunque stupiti il monopolio totale che ha conquistato nella serata. Grande sconfitto di questa edizione è il Biopic diretto da James Mangold, A Complete Unknown, così come il suo protagonista, Timothée Chalamet, che, vestendo i panni di Bob Dylan, non è riuscito ad arrivare alla vittoria, ma si è fatto valere e ha mostrato la vastità del suo talento, nella speranza cha venga riconosciuto sempre di più nel prossimo futuro.

Nonostante i cambiamenti di facciata, tutto sommato questa 97esima notte degli Oscar si è conclusa senza troppe sorprese, mantenendosi ben lontana dalle polemiche e dagli schieramenti, e in cui i messaggi più significativi sono stati sparsi qua solo dai più volenterosi di passaggio su quel prestigioso palco. 

Di Chiara Maremmani e Miranda Rinaldi.

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