Opus, la recensione: il passo falso della A24

opus, la recensione

Vi è mai capitato di sentirvi mediocri? Nel marasma di talentuose celebrità esistenti, un individuo comune può ammirarle con un profondo senso di inadeguatezza, aspirando ad avere quel genio, artistico o meno, che possa renderlo memorabile. Agognare il talento, inseguirlo, sono intenzioni comuni a molte persone, ma in quanti ci riescono davvero? Opus (trailer), il nuovo film targato A24, parla proprio di questo: del desiderio di possedere il talento, di quella tanto attesa rivalsa alla quale, spesso, nessuno riesce ad arrivare. 

Ariel (Ayo Edebiri) è una giovane redattrice il cui intento è uno solo: avere successo, non per smania di potere o per fame di visibilità, ma per essere ricordata, per potersi dire di essere speciale. Dopo anni passati dietro ad una scrivania raccontando storie noiose e poco interessanti, finalmente un’occasione bussa alla sua porta. L’occasione porta il nome di Alfred Moretti (John Malkovich), un leggendario cantante scomparso dalle scene per più di 30 anni, ora tornato per promuovere il suo nuovo album. L’uomo ha deciso di convocare un gruppo ristretto di giornalisti, tra cui Ariel, in un ranch in mezzo al nulla per poter mostrare loro il processo creativo dietro ad ogni brano. Il ranch è presieduto da una setta religiosa che si fa chiamare “i livellisti”, i cui membri sembrerebbero prendere ordini proprio da Alfred. Tra strani incidenti e sparizioni, Ariel cercherà di capire cosa si nasconde dietro a questa misteriosa faccenda.

Nonostante le premesse apparentemente interessanti, Opus rappresenta un primo campanello d’allarme di come il modello di film della A24, ormai diventato un classico, sembra stia dando i primi segni di usura. La sintesi appena proposta rende fin troppa giustizia ad una trama che risponde a tutti gli archetipi narrativi tipici dei film della casa di produzione, riproducendo situazioni ormai banali in un maniera svogliata e poco incisiva. Opus, in confronto ai thriller a cui si ispira, risulta quasi un compitino, una pallida imitazione di lavori ben più ispirati. La tutt’altro che brillante penna di Mark Anthony Green propone una trama nella quale echeggiano continui rimandi a Midosmmar, Don’t Worry Darling, Kinds of Kindness, Blink Twice, Get Out e The Menu. Queste ispirazioni a volte sfiorano il plagio, proponendo le “classiche scene alla A24”, tutt’altro che brutte, ma sicuramente poco originali. Così lo spettatore si ritrova a guardare l’ennesimo film con l’ennesima setta religiosa, che risponde all’ennesimo personaggio eccentrico interpretato da un attore in declino, che ha una strana simpatia per l’ennesima protagonista interpretata da l’ennesima giovane promessa del mondo del cinema. 

opus, la recensione

In realtà, Opus non ha un cast scadente. Tutti gli attori sono in parte e fanno il loro dovere, ma niente di più. La “grande interpretazione” di Malkovich sulla quale si sarebbe dovuta basare buona parte del film è dimenticabile. Alfred Moretti è certamente simpatico, divertente ed eccentrico, strappando più di una risata ad uno spettatore che non lo troverà mai inquietante ma soltanto buffo. Poco incisiva è anche la protagonista interpretata da Ayo Edebiri, che sembra ancora incastrata nel ruolo di talentuosa ragazza dalle grande ambizioni fin troppo simile alla Sydney di The Bear che l’ha resa nota. Entrambi personaggi sono lontani dall’essere memorabili, così come tutti i comprimari, che hanno una caratterizzazione piuttosto basilare, degna delle vittime sacrificali da horror di serie b. 

Come se non bastasse, la trama è piatta non solo nel suo incedere, ma anche nella messa in scena. La regia di Mark Anthony Green è ispirata tanto quanto la sua penna (poco), girando il film con i più classici degli stilemi registici della A24: inquadrature aeree, immagini simmetriche, zoom molto lenti, configurandosi come l’ennesima opera già vista anche sul piano visivo. Anche sotto l’aspetto tecnico, pare che il film abbia risposto alle esigenze da “ film A24 “, senza mai emergere per una caratteristica in particolare.

Opus è un’opera poco ispirata, un compitino svogliato, una mediocre imitazione di opere migliori, un film che prova a fare tanto, provando ad essere annoverato tra i grandi film della A24, diventando soltanto il primo passo falso, il primo segnale che per la casa di produzione statunitense è giunto il momento di rinnovare la propria formula. Un film non totalmente brutto, ma dimenticabile come tutti i suoi protagonisti. La paura di Ariel sembra concretizzarsi al di fuori delle vicende vissute, la mediocrità sembra averla raggiunta, contagiando anche il film di cui fa parte. 

Dal 27 marzo al cinema.

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