Ombre rosse (trailer) non è solo un pilastro della storia del cinema e, più nello specifico, del genere western. Non è un semplice simbolo di quel cinema classico americano che oggi ci appare lontano e distante nel tempo. Ombre rosse è un film affascinante, bello da vedere anche a distanza di ben ottantacinque anni dalla sua uscita. Una pellicola che, come poche a quel tempo, mescola rigide logiche industriali del cinema americano a libertà autoriali velate ma dirompenti.
La trama di Ombre rosse è nota: un insolito gruppo di cittadini americani viaggia in una diligenza diretta verso Lordsburg, con il rischio di un assalto da parte degli Apache. Bastano pochi minuti per capire come John Ford, il regista del film, tenga in grande considerazione le nozioni filmiche del suo tempo: chiarezza nell’esposizione, attraverso un montaggio e una regia portati ai minimi termini, e protagonisti annunciati sin dalle prime inquadrature.
Eppure, John Ford qualche libertà se la prende. Anche i meno attenti non possono non notare la presenza di scavalcamenti di campo piuttosto evidenti. Per citarne qualcuno, basti pensare alla scena dell’incontro con Ringo (John Wayne) e alla famosa scena della tavolata, dove i raccordi di sguardo non sono sempre azzeccati. Nick Browne, nel suo saggio The Rethoric of The Specular Text, parla del punto di vista di uno “spettatore assente”, che subentra e che consentirebbe, così facendo, la trasgressione. Ad ogni modo, davanti a quello che oggi viene considerato spesso e volentieri un errore da matita rossa in ambito registico, su John Ford gli studi si dividono. Tra chi decanta la coraggiosa libertà autoriale e chi bolla la questione parlando di errore, guardando Ombre rosse ci si rende conto di come risolvere questa diatriba non sia poi così importante.
La pellicola di John Ford, a distanza di decenni, ha mantenuto un fascino che pochi film di quel periodo possono vantare. In un’ora e mezza prende vita sul nostro schermo un’America lontana e ormai stampata soltanto sui libri di storia, dove l’avanzare dirompente della civilizzazione (civilization) sta schiacciando il mondo dei fuorilegge (wilderness). Un’America ancora in divenire, ma già forte in campo di pregiudizi verso chi non si omologa: emblematico, sotto questo aspetto, il caso di Dallas (Claire Trevor).
A John Ford va il merito di aver dato vita ad un lungometraggio che oggi rappresenta il simbolo del cinema western. Per quanto le numerose scene in back projections, e il fatto che il “lungo viaggio” della diligenza sia in realtà un muoversi sempre attorno ad un lembo di terra della Monument Valley, possano contribuire a dare l’idea di un film invecchiato, Ombre rosse rimane un film emozionante tutt’oggi.
Lo dimostra anche una storia semplice ma forte, con il personaggio di Dallas che presenta un’interessante caratterizzazione psicologica: i suoi tentativi di scrollarsi addosso il passato e i pregiudizi non possono non portarci a tifare per lei. D’altra parte, è il gruppo, ben costituito quanto inusuale, a tenere le redini della narrazione, con le dinamiche tra i personaggi che occupano gran parte del film. Per vedere un po’ di azione tipica del western bisognerà attendere l’ultima parte, quando gli indiani, dipinti come cattivi in senso assoluto, decidono di assaltare la diligenza. Segue il compimento della vendetta di Ringo, necessaria per consacrare il personaggio come eroe tutto d’un pezzo di questa storia. La storia si chiude con il classico happy ending: Ringo e Dallas coronano il loro sogno d’amore e i cattivi sono messi a tacere. Cala il sipario sull’America di fine ottocento, culla del cinema western. Sipario dietro cui, ogni tanto, si può dare una sbirciata: chissà, ad attendervi potreste trovare film come Ombre rosse.
Bibliografia:
-S. Bernardi, P. Bertetto, G. Carluccio, F. Casetti, G. De Vincenti, M. Di Donato, V. Pravadelli, G. Tinazzi, D. Tomasi, V. Zagarrio, L’interpretazione dei film, Marsilio Biblioteca
-N. Browne, The Rethoric of the Specular Text, in Film Quarterly