A distanza di quasi vent’anni dalla sua realizzazione, nel 2003, Oldboy torna a mostrarsi sul grande schermo impreziosito da una nuova veste grazie alla distribuzione di Lucky Red. Il capolavoro (sì, l’hanno decretato quei quasi vent’anni) di Park Chan-wook è stato infatti restaurato per più di un anno sotto la meticolosa supervisione del suo autore e remasterizzato in formato 4K.
Quando venne presentato in anteprima al Festival di Cannes del 2004, presieduto da un estasiato presidente come Quentin Tarantino, si portò a casa il Grand Prix speciale della giuria. Fosse dipeso solamente dal regista di Knoxville si sarebbe aggiudicato senza troppi problemi la Palma d’oro (che per inciso andò invece a Fahrenheit 9/11 di Michael Moore).
D’altronde tra compari di pastiche ci si intende. E infatti Oldboy è un’opera postmoderna per eccellenza, tanto complessa quanto frammentata nelle parti, ricostruita negli inserti come se fosse un collage di oggetti e di rimandi attaccati uno affianco, sopra o sotto all’altro con la colla. Ma come scrivevamo nella nostra recensione di qualche tempo fa, il lavoro di Park si fa cosa altra rispetto all’impegno ludico proprio di un maestro del “pulp” come lo è Tarantino.
Oldboy arriva nel mezzo di una trilogia che è quella della vendetta (prima c’è Mr. Vendetta, dopo Lady Vendetta) ed è un materiale aspro, graffiante nel ricucire il tessuto squarciato che è la vita di Oh Dae-su (Choi Min-sik), rapito per quindici lunghi anni e poi restituito alla libertà di una “prigione più grande” senza apparente motivo. Forse già conoscete l’esito del tormentato percorso di Dae-su, forse no. In questa sede però ci fermiamo qui, perché tornare al cinema (che di questi tempi è cosa bella, a prescindere) per vederlo la prima volta o per goderselo nel nuovo formato è decisamente la scelta migliore.
Basti pensare ai vari momenti iconici impressi a fuoco nell’immaginario cinematografico collettivo. Giocando un po’ sul black humor verrebbe da chiedersi cosa ne pensano le menti dietro a My Octopus Teacher – fresco di Oscar al miglior documentario – della celebre scena in cui Dae-su vuole «qualcosa di vivo» da mangiare e mastica un polpo che ancora si contorce. Ma questa è solo la punta di un iceberg di un film che colleziona momenti memorabili in ogni angolo, come possono esserlo anche il quasi fermo immagine di un martello che traccia la traiettoria per colpire in mezzo alla fronte il tristo malcapitato o la successiva mega-rissa all’interno di un corridoio che Park si diverte a riprendere in piano sequenza come se fosse il livello di un videogioco a scorrimento orizzontale.
Ma dicevamo, seppur questi momenti delineano il dinamismo di un film che non sta mai fermo, di divertente, alla fine, rimane poco. Perché c’è uno shock che arriva come il colpo di una pistola che risuona nel silenzio della notte, quando il cerchio sta per chiudersi e sembra poter donare riabilitazione a quell’uomo in fondo squallido che è Dae-su. Non ci sono vinti e non ci sono sconfitti alla fine di Oldboy, solo anime rotte in tanti pezzi sparsi sul pavimento dell’esistenza e difficili da rimettere assieme. Alcune cose, anzi, si incastrano in modi che non dovrebbero, in combinazioni indicibili che riflettono gli errori del passato e che tornano a tormentare il presente che non ha speranza, che non esiste se non come esito di lunghe ombre proiettate da lontano.
Insomma, vi aspetta da oggi al cinema e di ragioni per le quali non andare a vederlo francamente non ce ne vengono.