Esistono due tipi di uomini a Masafer Yatta: quelli con le targhe verdi, i palestinesi, e quelli con le targhe gialle, gli israeliani. Il problema è che a controllare tutto sono solo gli israeliani. No Other Land (trailer) è un film documentario del 2024 frutto della collaborazione tra Palestina e Norvegia e diretto da un collettivo formato da quattro attivisti: il palestinese Basel Adra e gli israeliani Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor al loro debutto alla regia. Il film non è altro che uno dei tanti mezzi utilizzati dal gruppo per informare e denunciare ciò che sta accadendo ai villaggi palestinesi della regione remota della Cisgiordania che, come riporta il lungometraggio. figurano sulle mappe già dal XIX secolo ma che oggi rischiano di scomparire. No Other Land ha colpito nel segno, conquistando prestigiosi riconoscimenti al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 2024: il Panorama Audience Award per il miglior documentario e il Berlinale Documentary Film Award. La sua forza risiede in una narrazione intima e potente che segue i due protagonisti, Basel Adra e il giornalista Yuval Abraham, nelle loro azioni di attivismo ma soprattutto nel loro legame di amicizia, messo a dura prova da un contesto di profonde disuguaglianze.
Il documentario, iniziato nel 2019 e completato nel 2024, testimonia anni di proteste pacifiche degli abitanti di Masafer Yatta, da tempo costretti a vivere sotto leggi arbitrarie che negano loro i diritti fondamentali. Il culmine dell’oppressione è rappresentato dall’ordine di trasformare l’area in un campo di addestramento militare. Contestato in tribunale per 22 anni, il processo si è concluso con l’autorizzazione alla distruzione dei villaggi, eseguita con il supporto dell’esercito israeliano e, spesso, delle incursioni violente dei coloni. L’oppressione sistematica subita dai palestinesi emerge anche grazie ai filmati raccolti dalla famiglia e dai vicini di Basel nell’arco di vent’anni. Tra le testimonianze mediali spiccano episodi emblematici, come la visita dell’ex primo ministro britannico Tony Blair nel 2009 in occasione della costruzione di una scuola elementare, un progetto interamente realizzato dai cittadini: le donne lavoravano di giorno e gli uomini, in segreto, di notte, per aggirare le opposizioni del governo. In sintesi, è la storia di una comunità che, a ogni abuso, a ogni repressione violenta, si disgrega sempre di più. Molti, infatti, dopo la demolizione della propria casa, hanno deciso trasferirsi in città, costretti a raggrupparsi in quartieri degradati e marginalizzati.
Dopo le demolizioni, i notiziari locali hanno diffuso notizie false, sostenendo che i palestinesi stessero ricostruendo illegalmente. Il documentario, però, mostra una realtà ben diversa. La vicenda viene raccontata attraverso gli occhi di Basel e della sua famiglia, seguendo una struttura narrativa tipica dei film biografici, capace di creare una connessione emotiva immediata con lo spettatore. Questo approccio trasforma eventi apparentemente lontani in esperienze umane tangibili, facendoci vivere il dramma personale dei protagonisti e ricordandoci costantemente che ciò che vediamo non è finzione, ma realtà. Tra i momenti più drammatici, spicca la vicenda di Haron, un giovane palestinese paralizzato da un proiettile sparato dai soldati mentre distruggevano la sua casa e confiscavano i generatori di energia. La sua famiglia, rifugiatasi in una grotta e bloccata da leggi che vietano ai palestinesi di utilizzare veicoli, è stata impossibilitata persino a raggiungerlo in ospedale. Un senso di impotenza pervade ogni gesto e ogni scelta, rendendo evidente l’asfissia di un popolo costretto a lottare per il diritto di esistere.
Un tema analogo è affrontato in Under a Blue Sun di Daniel Mann, presentato alla Festa del Cinema di Roma, che ci riporta nel deserto del Negev, un’area concessa dall’esercito israeliano a Hollywood per girare Rambo III. Il documentario indaga la devastazione di Lakiya, una città beduina segnata dall’occupazione, dove le donne, supportate da attivisti, come Sabrin Abu-Kaf, usano telecamere per documentare la loro dura realtà quotidiana. Case prive di acqua ed elettricità, bambini costretti a percorrere lunghe distanze per andare a scuola, demolizioni sistematiche e perquisizioni incessanti delineano un’esistenza scandita da privazioni e soprusi. In entrambe le testimonianze smartphone e telecamere diventano gli unici strumenti di resistenza e testimonianza, un mezzo per raccontare al mondo storie che altrimenti resterebbero invisibili. Tuttavia, mentre No Other Land ci coinvolge profondamente attraverso le vicende personali di Basel e Yuval ci pone anche una domanda che riguarda tutti: cosa possiamo fare? Il film non fornisce risposte, lasciandoci a riflettere sul peso della nostra impotenza e, forse ancor di più, sulla nostra insensibilità. Assistiamo, ci commuoviamo, ma poi?
Al cinema dal 16 gennaio.