Night in Paradise (traduzione dal coreano Nak-Won-Wui-Bam, trailer), prodotto e diretto da Park Hoon-Jung e presentato fuori concorso alla Mostra internazionale di cinema di Venezia del 2020, è ora disponibile su Netflix. Sulla scia di un’inimitabile tradizione coreana, in particolare del celebratissimo Park Chan-wook (Mr. Vendetta, Old Boy, Lady Vendetta), il film si inserisce a pieno titolo nel genere del revenge-movie, con atmosfere noir e tinte gangster. Park Hoon-Jung si era già cimentato in temi simili nel 2013 con il crime drama New World, tra l’altro con Choi Min-sik (Old Boy) tra gli interpreti, ed in cui, con lo scorrere del sangue, si perdeva il confine tra giusto e sbagliato, tra legge e criminalità.
Come il protagonista di New World, anche quello di Night in Paradise, Tae-goo, interpretato da Uhm Tae-goo (My Punch-Drunk Boxer, Adulthood), è una delle pedine del crimine organizzato sudcoreano. Conteso da due diverse gang, rimane fedele alla banda di appartenenza uccidendo uno dei boss di quella rivale e scatenando una serie di eventi a catena che lo costringono alla fuga. Momentaneamente lontano dalla violenza di Seoul, si rifugia nell’isola di Jeju, dove incontra Jae-yeon, giovane malata terminale interpretata da Jeon Yeo-been (Secret Zoo, Forbidden Dream). Se l’isola lo libera temporaneamente dal sangue, la malattia di Jae-yeon lo riavvicina al tema della morte e alla recente perdita di sua sorella e di sua nipote. Il tradimento da parte del suo capo trascinerà infine le due gang rivali sull’isola, dove avverrà la resa dei conti.
La regia di Park Hoon-Jung ci trascina sinuosamente in squallide stanze di palazzi semi-abbandonati ed in bui garage di periferia, e ci fa respirare lo stantio odore del sangue sul cemento nudo dei locali dove ci porta la macchina da presa. Una fotografia gialla e sbiadita si alterna ad un blu quasi ciano degli esterni; quello del film è un contesto urbano in cui piove sempre e dove un cielo plumbeo incombe sulla città, quasi a preannunciare la necessità della fuga che avverrà. L’isola di Jeju rappresenta al contrario un attimo di tregua dalla morte e dalla sventura che attanaglia i personaggi. L’incontro con Jae-yeon è come uno specchio per Tae-goo: simile è il loro destino e lo stretto legame con la malattia e con la morte.
A differenza dei film di Takeshi Kitano (Brother, Sonatine), dove comicità e violenza si intrecciano creando effetti paradossali, in Night in Paradise la costante presenza del dolore lascia poco spazio a momenti di evasione e la bellezza dell’isola da cartolina si contrappone e stride con lo struggimento emotivo dei protagonisti. Molti sembrano essere i riferimenti e le somiglianze con alcuni classici del cinema americano, quelli di Quentin Tarantino in primis. Momenti di caos, lotte animalesche, torture perpetrate all’interno di un garage, ricordano non poco alcune scene iconiche di Le Iene (1992), così come il massacro che seguirà sembra portarci nella Casa delle Foglie Blu di Kill Bill: Volume 1 (2003).
Strepitosi sono gli inseguimenti ed i momenti di tensione, in cui Park Hoon-Jung è un maestro, in particolare la caccia all’uomo messa in atto dai boss delle gang rivali all’arrivo sull’isola, con una folle corsa su strada, in cui il protagonista è braccato da uno sciame di auto piene di uomini armati. Troppo caricaturali e poco convincenti sono i personaggi dei due capi criminali così come lo stesso Tae-goo, che in fin dei conti appare come un personaggio troppo definito, schiavo del suo ruolo di soldato della mafia sudcoreana, che cerca inutilmente di ribellarsi all’ordine prestabilito, ma che non ha né la forza né la motivazione per farlo. Incredibile è invece il personaggio di Jae-yeon, la relazione degli eventi presenti con il passato, una Beatrix Kiddo sudcoreana più malinconica e senza speranza, che lotta solo per vendetta e che ha i giorni contati, ma in cui si riesce ad intravedere la stessa forza e la stessa determinazione della Black Mamba tarantiniana.