Never Let Go, la recensione: madri mostruose, figli ribelli e cordoni da spezzare

never let go, la recensione

Il regista francese Alexandre Aja è noto per essere un membro del gruppo di registi horror dello Splat Pack, che si contraddistingue per i budget ridotti delle produzioni e l’estrema violenza. Tra i film che hanno dimostrato le sue capacità si segnalano il sottovalutato Alta tensione (2003), il remake Le colline hanno gli occhi (2006), e il suo maggior successo, Crawl (2019), in cui una famiglia è intrappolata nella propria casa mentre gli alligatori la circondano durante un uragano di categoria 5 in Florida (è uno dei film preferiti di Quentin Tarantino). Con Never Let Go (trailer), Aja cambia registro e passa a un film decisamente meno cruento che punta tutto sulla psicologia dei personaggi.

Lavorando su una sceneggiatura di KC Coughlin e Ryan Grassby, Aja ha creato un’immersione nelle nostre paure più profonde. June (Halle Berry), alias Momma, segue l’eredità della sua famiglia convinta che se ci si avventura troppo lontano nei boschi spietati che circondano la sua casa isolata, un’entità trasmetterà la possessione con un semplice tocco. È insomma una madre traumatizzata e perseguitata dai propri demoni che cerca di proteggere i suoi figli gemelli (Percy Daggs IV e Anthony B. Jenkins) in un inferno post-apocalittico. Ci sono regole precise e rigide per sopravvivere, la più importante delle quali è quella di non lasciare mai la loro casa remota senza una corda attaccata al corpo, mantenendo sempre un legame con la sacralità dell’abitazione (il riferimento simbolico al cordone ombelicale è molto evidente). Se si ritrovano senza legami, allora sono alla mercé di un male malvagio che li consuma. L’essere malvagio nella storia è uno shapeshifter che spesso appare nelle vesti di persone che June ha perso nel corso degli anni (come sua madre o suo marito), anche se con una lingua simile a quella di un serpente – come quello che lei stessa ha tatuato sulla propria schiena.

Sarà un caso che si tratti di un male che solo June può vedere? Lei ripete ai ragazzi che lo avvertiranno solo quando saranno più grandi; tutto ciò inizia a far crescere un seme di sospetto nella mente di Nolan, che affronta l’opposizione del fratello Samuel. Negli ultimi 10 anni, questa famiglia ha vissuto con uno stile di vita primitivo, e mentre il cibo inizia a scarseggiare per via di un inverno particolarmente inclemente (una cena a base di pezzetti di corteccia fritti è un innegabile nadir) la dinamica familiare viene messa duramente alla prova.

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Come dimostrato dai suoi film precedenti, la forza di Aja risiede nelle storie che hanno a che fare con persone comuni intrappolate in esperienze apparentemente insormontabili e da incubo. Il regista crea universi claustrofobici basati sulla cabin fever che porta sempre a grandi rivelazioni relative alla natura dei personaggi. Aja esplora senza paura circostanze crescenti altrettanto cupe in Never Let Go, intuendo come attingere alle paure universali condivise sia dai personaggi che dal pubblico. Tutto ciò lo fa avendo dei saldi e riconoscibili riferimenti cinematografici che vanno da Bird Box a 10 Cloverfield Lane, da The Babadook a The Village, da Goodnight Mommy a Retreat, passando per A Quiet Place e molti altri. Il film si colloca nella recente tendenza degli horror da isolamento dell’era della pandemia e, come detto, abbiamo una madre che cerca di impedire ai suoi figli di lasciare casa – in tutti i sensi possibili, proteggendoli dai mostri che esistono fuori ma, soprattutto, mettendoli a rischio di essere feriti da quelli che vivono dentro. I temi sono diversi: la maledizione della malattia mentale ereditaria, il soffocamento della genitorialità, la paura di liberare i figli – neri – in un mondo brutale e razzista; insomma, un calderone di idee che ribollono e che ci porta a pensare che Never Let Go non si possa liquidare come derivativo senza niente di nuovo da dire.

Il film è anche estremamente affascinante. Una volta superata l’inospitalità dell’ambientazione, c’è una tensione genuina nel cercare di capire da dove provenga il vero pericolo e nel guardare i bambini costretti a pensare da adulti. Aja, i cui film di Hollywood hanno avuto la tendenza a essere più un fallimento (Mirrors, Horns, Le colline hanno gli occhi, The 9th Life of Louis Drax) che un successo (Crawl, Piranha 3D), si abbandona ad una cattiveria efficientemente da incubo, mostrandoci subito che i mostri che tormentano June trovano modi subdoli per perseguitare una madre che cerca di bilanciare la sua paura personale con il suo bisogno di rimanere forte di fronte ai figli. A tutto questo si aggiungono anche delle implicazioni bibliche e lo loro ripercussioni, come l’avvertimento di cosa può accadere quando ci si aggrappa troppo saldamente alle proprie convinzioni senza porsi domande: sappiamo che June ha un passato oscuro ed è stata “salvata”, appoggiandosi al topos dei cristiani “rinati” che diventano devoti; ma sappiamo anche che Nolan sta iniziando a farsi delle domande sul mondo che probabilmente spezzeranno determinate catene familiari.

Il male rappresentato nel film ha una natura profondamente ambigua e ci porta a interrogarci su quanto questo sia reale o meno: è generato da June perché è una schizofrenica, perché la “maternità rende folli”, o semplicemente per dei soprannaturali piani subdoli? Dato che sua madre prima di lei ha visto le stesse cose, e la schizofrenia può essere ereditaria, sembra abbastanza probabile che la mamma (e la nonna) avessero bisogno di un aiuto psichiatrico che non stessero ricevendo. Però è anche vero che ad un certo punto anche i ragazzi – sotto un forte stress – vedono queste entità maligne. Il male amorfo apparentemente ha avvelenato l’umanità al punto che la civiltà è finita, e solo il calore e l’amore di una casa costruita dal nonno dei ragazzi, come rifugio per la moglie timorosa, può tenerla al sicuro. C’è persino un incantesimo in rima che la famiglia recita prima di avventurarsi fuori e un altro per quando ritornano dentro, con le mani che toccano il legno sacro. Il male, lo abbiamo detto, qui assume molte forme, dal serpente che striscia tra le radici muscose degli alberi agli umani zombificati in agguato, in attesa che una di loro si liberi. Questi demoni vogliono distruggere l’amore dentro i ragazzi, dice loro la mamma, possono entrare nelle loro teste e dividerli, spingendoli a uccidersi a vicenda.

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Infine, il film è anche strettamente correlato agli stilemi allegorici della fiaba, che per sua natura va oltre l’intrattenimento, rappresentando uno strumento psicologico, e a volte un monito, che aiuta ad affrontare i mostri che si celano nell’oscurità. Il concetto di corda nel film è chiaramente qualcosa che rimanda alla fiaba, ma allo stesso tempo è un collegamento al mondo reale di cui il pubblico fa quotidianamente esperienza: quando si cresce, se si decide di diventare genitori, spesso si corre il rischio di un’iper-protezione nei confronti di figlie e figli, proiettando su di loro diverse ansie e consegnando un bagaglio ingombrante di paure che si ereditano da generazioni, finché quella corda non viene tagliata – proprio come fa Nolan alla fine del secondo atto del film. June stessa legge molte fiabe ai suoi figli, d’altronde il mondo che ci viene presentato all’interno di queste ha tante regole: la benedizione della casa, la benedizione della corda e il restare con essa. Anche le fiabe presentano regole molto specifiche da seguire. Quindi, per accettare le norme di questo nuovo mondo, è perfettamente coerente che i bambini crescano con le fiabe come mezzo di istruzione.

Gran parte del genere horror, in realtà, deriva dalle fiabe: streghe sinistre, lupi affamati che si spacciano per uomini, tritoni, bestie incomprese e creature che rubano bambini/e, tutti/e vincolati da particolari serie di regole. Le storie che ci hanno incantato nell’infanzia hanno trovato il modo di spaventarci nell’età adulta, ma molte di queste hanno perso il loro mordente originale, perché sono state adattate per smussarne i bordi. La Disney, ovviamente, ha avuto una parte importante in questo processo, allontanandosi dall’oscurità e dalla tragedia originali che comprendevano le storie dei fratelli Grimm e di Hans Christian Andersen, e realizzando prodotti che sono tanto magici quanto sicuri. Ma non c’è nulla di sicuro in queste storie, e Gretel e Hansel, la fiaba più raccontata da June, ne è la prova.

Attraverso il folk horror che suscita brividi attingendo ai nostri istinti più ancestrali, paure infantili nate dalle fiabe utilizzate per insegnare e proteggere, immagini di serpenti, una sbalorditiva scenografia gotica e un bel cast, Never Let Go eleva un concetto scarno e battuto e non ha mai paura di diventare oscuro e cattivo, rimuovendo la rete di sicurezza e rifiutandosi di spiegare il male – rispettandone così la sua essenza più pura.

Di Ilaria Franciotti.

In sala dal 26 settembre.

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