Nessuno sa che io sono qui, la recensione del film su Netflix

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Tra i tanti festival che in questo periodo hanno deciso di portare lo stesso a compimento l’edizione annuale troviamo anche il Tribeca, festival di casa a New York. Quest’anno, tra le nuove proposte troviamo Gaspar Antillo, premiato nella categoria “Best New Narrative Director”, con il suo Nadie Sabe Que Estoy Aquí (trailer), film che si avvale di un volto noto nella serialità televisiva come quello di Jorge Garcia (Hurley in Lost) e della produzione e promozione di Pablo Larraìn. Tradotto letteralmente in Italia con il titolo Nessuno sa che io sono qui, il film è stato distribuito su Netflix lo scorso 24 giugno.

Partendo da un concept vicino a quello utilizzo dal suo produttore ne Il club – raccontare un paese e le sue istituzioni attraverso un microcosmo -, Antillo, anche sceneggiatore del film, offre allo spettatore una storia improntata sull’intimità e le forti emozioni. Memo (il già citato Jorge Garcia) è un ragazzo corpulento che vive in una remota isola nel sud del Cile con suo zio, in un ambiente apparentemente lontano dal resto del mondo dove i paesaggi naturali sovrastano qualsiasi figura umana. Memo è molto introverso e dotato di una fantastica voce, che per le sue caratteristiche fisiche gli fu letteralmente sottratta in giovane età per arricchire l’immagine di un altro ragazzino “più presentabile” secondo vari produttori. Eccetto suo zio evita qualsiasi tipo di contatto, vivendo costantemente nell’ombra.

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Quella narrata da Antillo in Nessuno sa che io sono qui è una condizione figlia di una serie di perversioni dello star system e poi dei nuovi media digitali, che antepongono sempre la bella immagine e la bella presenza rispetto ad una qualsiasi forma di talento. Un meccanismo talmente integrato che isola chi, soprattutto in tenera età, ne resta vittima. A questa critica, in un racconto che alterna alla linearità del presente vari flashback, le capacità del regista risiedono nel come riesce ad inquadrare Memo all’interno del suo spazio personale, quello che tra molte difficoltà è riuscito a ritagliarsi. Antillo infatti rispetta e concede al suo personaggio molto respiro, rende concreti i suoi sogni e lo ricolloca in quelle situazioni che più gli spettano, a dispetto di una società che lo vede come un freak.

Un pregio che finisce per scontrarsi con una sceneggiatura forse già vista ma non fuori luogo rispetto agli equilibro del disegno di base, capace di trovare anche uno slancio finale nella sequenza dell’esibizione di Memo, degna chiusura di un arco narrativo e di un più che buono esordio per il giovane cineasta cileno.

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