Già il Cinema neorealista anni ‘40-‘50 ci insegnava quanto i bambini incarnassero i significati di un’umanità calpestata. Questi spesso erano testimoni dell’apocalisse di una civiltà e paradossalmente diventavano germogli di una possibile rigenerazione dell’individuo e della collettività. I maestri del Neorealismo, Vittorio De Sica e Roberto Rossellini, risucchiavano lo spettatore in una galleria di personaggi indimenticabili, confusi e disorientati, che vagavano tra le macerie di uno spettacolo inquietante. Analogamente, nella contemporaneità, per Gianni Amelio l’eredità neorealista è voce stilistica della sua poetica nel rapporto Padri-Figli. Il regista affida ai bambini e ai figli i ruoli di testimoni e di artefici delle sue storie: da Colpire al cuore fino all’attuale Hammamet assistiamo, in maniera talvolta provocatoria, altre volte con estrema dolcezza, a dialettiche in cui le polarità giovanili sono espressione di energie e istanze ideologiche contrastanti e spesso contraddittorie.
Non è questa la sede per esaminare in dettaglio tutta la filmografia di Gianni Amelio; pertanto, di seguito, ci si focalizzerà soltanto su tre titoli, emblematici per il presente discorso e per la sua parallela relazione con i sopra citati aspetti del Neorealismo.
Colpire al cuore (1983) (Trailer) inquadra la criticità del rapporto Padri-Figli nel contesto sociopolitico della fine degli anni di piombo. Emilio è un giovane figlio talmente rigoroso ed esigente nei confronti della vita e delle sue regole al punto di giungere a denunciare il padre Dario, docente universitario, a causa delle sue presunte collusioni con il terrorismo delle brigate rosse. Come già nel Ladri di biciclette di Vittorio De Sica (1948), in cui il padre Antonio Ricci è costretto sempre più a muoversi in zone d’ombra alla ricerca della bicicletta, anche la figura paterna di Colpire al cuore naviga in nuove zona d’ombra o acque morte, questa volta alla ricerca di una stabilità ideologica. In entrambi i casi i figli subiscono l’egida genitoriale fino allo schiaffo di turno e sono rappresentati come figure a cui è negato il gioco, il relax, il disimpegno, il sorriso, e probabilmente l’infanzia. Tuttavia, se il Figlio del film di De Sica porge infine la mano al Padre che così riemerge dalla melma della zona d’ombra, il Figlio del film di Amelio, al termine di un’asfissiante ansia di coerenza morale, condanna il padre colpendolo al cuore.
Ne Il ladro di bambini (1992) (Trailer), la critica sociale e politica di Gianni Amelio amplia ulteriormente i propri orizzonti. Rosetta e Luciano sono due adolescenti a cui è negata l’infanzia che, liberati da una condizione di sfruttamento, scortati dal carabiniere Antonio che assurge a temporaneo ruolo di padre sostitutivo, effettuano l’esperienza purificatrice del viaggio dall’estremo Nord alla Punta dello Stivale. Questo percorso è l’opposto di quanto già Roberto Rossellini aveva mostrato con Paisà (1946). Come già nel Germania anno zero (1948) , sempre di Rossellini, anche ne Il ladro di bambini assistiamo ad un aberrante capovolgimento dei rapporti familiari: non sono i Genitori che provvedono al fabbisogno dei Figli, quanto i secondi spesso minorenni che lavorano o addirittura si prostituiscono. Antonio non è né il padre-disabile di Edmund di Germania anno zero, né il docente universitario colluso con la lotta armata di Colpire al cuore. Egli, dopo un sommesso e anonimo incipit, diviene progressivamente guida spirituale di Rosetta e Luciano, in particolare di quest’ultimo, fino a condividere con loro momenti di ineffabile felicità, come il nuoto, o liberatori, dall’aggressione di un malvivente. Antonio, con questo agire, diviene figura redentrice tanto dei fallimenti dei Padri italiani e tedeschi, rappresentati dai suddetti predecessori neorealisti, quanto degli accidentali genitori di Rosetta e Luciano. Tuttavia egli finirà per essere abbandonato dalla persistente assenza delle istituzioni, che lo marchieranno “ladro di bambini”. Gianni Amelio dipinge un panorama socio-politico senza speranza in cui il riscatto del padre-tutore viene penalizzato fino all’isolamento.
In Hammamet (2020) (Trailer), tra le altre, confluiscono le tematiche indicate in precedenza, da noi prese in esame tanto in ottica neorealista quanto in ottica propriamente pertinente alla produzione di Amelio. A questo punto della sua filmografia, la figura controversa del protagonista, rifugiatosi in Tunisia per le note vicende di Mani Pulite (“I soldi me li avete tirati addosso”) diviene, nei confronti dell’istituzione giudiziaria e del popolo italiano, il correlativo oggettivo di ciò che Giulio Andreotti era stato nei confronti del Neorealismo e dell’Italia del Dopoguerra, quando storicamente, in merito a Ladri di biciclette e a Umberto D (1952) gli si attribuisce la sentenza “I panni sporchi si lavano in casa”. La scelta di Bettino Craxi, il cui nome non è mai reso manifesto, da parte di Gianni Amelio appare un ricorso storico non casuale. Analogamente alle città bombardate e alle anime lacerate che le abitano del Neorealismo, anche il protagonista di Hammamet, insieme alla schiera di personaggi che gli ruotano attorno, diviene maceria a seguito dell’azione giudiziaria di Mani Pulite. In questo scenario, non i Padri, non i Figli, ma soltanto la generazione dei Nipoti, recupera la giocosità e l’infanzia grazie al piccolo e solare garibaldino Francesco, il “generale” del rapporto Nonno-Nipote.
Nella filmografia di Gianni Amelio, pur in maniera sempre conflittuale, è implicitamente percepibile la speranza di una rigenerazione dell’individuo e della collettività. È secondo questa prospettiva che, nella sua Opera, abbiamo evidenziato le influenze dell’eredità neorealista: la mano del Padre Lorenzo verso quella della Figlia Elena, ne La tenerezza (2017) (Trailer), riecheggia la condivisione del pathos e del tragico del Figlio Bruno verso il Padre Antonio, nella scena di chiusura di Ladri di biciclette. Amelio ci indica il ritorno alla naturale direzionalità del rapporto Padre-Figlio.