«Se il Padre Eterno non ci aiuta, allora siamo noi ad aiutarci»: titaniche parole che tuonano in Napoli – New York, un film che di titanico non ha nulla, né desidera esserlo. La nuova opera di Gabriele Salvatores, infatti, si assume il rischio di raccontare una fiaba che, come ha dichiarato lo stesso Pierfrancesco Favino, “non pretende di dare lezioni a nessuno”, ma al contrario si concede al semplice piacere di narrare una storia sulla meraviglia e sulla solidarietà. In un tempo in cui ogni opinione vale come legge e ogni dito prova a indicarci la “retta via”, Napoli – New York mette in scena una vicenda di puro amore umano, amore che nelle sue mille forme riesce a superare ogni distanza e ogni limite.
Ad esserne testimoni sono Celestina (Dea Lanzaro) e Carmine (Antonio Guerra), due orfani della Napoli del dopoguerra che, non avendo nulla da perdere, decidono coraggiosamente di abbandonare tutto per scoprire ciò che li attende oltreoceano. A nutrire le loro speranze è il desiderio di rivedere Agnese (Anna Lucia Pierro), sorella perduta di Celestina che anni prima è partita alla volta di Nuova York. Sperduti nella vastità dell’Atlantico e per le strade di Brooklyn, Carmine e Celestina proveranno a trovare il loro posto nella società del Nuovo Mondo, aiutati dal cuoco di bordo George (Omar Benson Miller) e dal commissario Antonio Garofalo (Pierfrancesco Favino). L’America, nei sogni più fiduciosi dei due bambini, appare loro come la terra del futuro, un luogo magico dove ogni desiderio può avverarsi. L’italianissimo American Dream tipicamente anni ’50, di fatto, contamina le strade di Napoli con il suo ottimismo, ne modifica il linguaggio comune e le abitudini di mercato. Tuttavia, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, Salvatores decostruisce il mito americano mantenendosi lontano da qualsiasi implicazione socio-politica e ponendosi in una prospettiva insolita per lo spettatore contemporaneo.
La megalopoli americana di Napoli – New York, si configura come un coacervo di classiche icone dell’american way of life: gli immensi cartelloni pubblicitari, le labirintiche avenues dell’Upper East Side e il colossale ponte di Brooklyn di memoria leoniana sono come attrazioni di un Paese dei Balocchi per i due giovanissimi napoletani. È indicibile la loro meraviglia davanti ai simboli della modernità statunitense, come lo è quella dell’occhio di Salvatores, che nell’analizzare e criticare gli States dell’ottimismo post-bellico si astiene da ogni giudizio per abbandonarsi all’avventura e alla visione. Non c’è da stupirsi di questa visione incantata e fiabesca di New York: il film è tratto da un soggetto originariamente scartato di Federico Fellini e Tullio Pinelli e conserva lo stupore di due grandi artisti che, al tempo della prima stesura della storia (che risale al primissimo periodo dell’opera felliniana), ancora non avevano visitato gli Stati Uniti e potevano solo immaginarli da una Roma ancora convalescente dopo il conflitto.
Forse è ancora più interessante osservare come il film, dopo l’approdo di Carmine e Celestina in terra straniera, metta in scena un costante gioco di specchi tra la cultura newyorkese e quella partenopea, distanti tra loro ma perfettamente simmetriche. Così come il mercato dei Quartieri Spagnoli è invaso dalle spezie, dalla cioccolata e da ogni altro bene d’importazione, allo stesso modo le strade di Little Italy brulicano di prodotti originari della nostra penisola. Ancora, gli echi delle tammorre e dei canti napoletani assumono forme nuove tra i quartieri della Brooklyn afro-americana, dominata dalle chitarre e dal blues. E ancora: lo sport, il cibo, la solidarietà e il calore tra conterranei; tutto fa pensare che in fondo la tratta Napoli – New York non sia poi così lunga. Persino la fede religiosa accomuna le due grandi città: la Madonna di Pompei, agli occhi di Celestina, si reincarna nelle vesti di una nuova dea, la cui statua appare misteriosa nel mare americano pronta ad accogliere avventurieri e sognatori: la Libertà.
Prestando attenzione si può notare come l’estetica di Napoli – New York mostri queste apparizioni come motivo costante. Così come la Statua della Libertà si manifesta all’improvviso e avvolta dalla nebbia, quasi fosse una vera divinità, sono molte altre le evocazioni suggestive (si potrebbe dire felliniane) che costellano la regia di Salvatores. Lui stesso ha dichiarato: «Il cinema è fatto di evocazioni e di spettri. Non è un caso che la magia possa accadere solo in una sala, in silenzio, al buio». Enormi volti disegnati nel cuore di New York, animali feroci, presenze nascoste per i vicoletti di Napoli: il sogno e la meraviglia, proprio come in un film di Fellini, si mescolano e si manifestano nell’immagine e nella sua forma. È un mistero se questa sia una scelta di Salvatores per omaggiare gli autori del soggetto originale o una caratteristica innata di una storia nata dalla penna di due grandi maestri. Quello che è certo è che stavolta, come ci si aspettava, la grande mela non è caduta lontano dall’albero.
È straordinario, insomma, come una fiaba tanto semplice e spensierata (almeno apparentemente) presenti una geografia tanto complessa di immagini, temi e sentimenti, esplorandone le profondità con l’intraprendenza di un vero viaggiatore, piuttosto che – come molte produzioni di oggi – con l’arroganza di un nuovo profeta. Il viaggio interminabile di due piccoli clandestini nello sconfinato oceano Atlantico, in questo modo, ritorna al cuore dello spettatore mostrandogli una sola verità, quella della solidarietà verso chi ci è simile. «Anche a chi è diverso da noi, se visto da vicino, si può volere bene», dice Salvatores in conferenza stampa, e in Napoli – New York accade proprio così. Durante il viaggio, mentre Carmine e Celestina sono sulla nave guardando le stelle, un dubbio li assale: le stelle nell’oceano sembrano più vicine e luminose di quelle di Napoli. Ingenui, loro, ancora non sanno che il cielo è lo stesso per tutti.
Al cinema dal 21 novembre.