È passato ormai un secolo da quello che possiamo definire il primo documentario nella storia del cinema: Nanuk l’esquimese (film completo a questo link). Il film di Robert Flaherty, datato 1922, ci trasporta in un mondo inospitale e pieno di insidie (un villaggio della baia di Hudson), dove sopravvivere diventa una vera e propria impresa. Il regista, da sempre simbolo del “cinema verità”, ci mostra una realtà nuda e cruda: quella di Nanuk (Allakariallak) e degli eschimesi.
Sebbene si tratti di un’opera difficile da guardare con gli occhi e la consapevolezza di oggi, Nanuk l’esquimese ci mostra i vari compiti di un abitante della baia, dalla caccia alla costruzione di un igloo per ripararsi dal freddo, passando per l’educazione dei figli. Quella rappresentata è una realtà che richiede spirito di adattamento e molto ingegno, ma anche una realtà che percepiamo come lontana, primitiva. Emblematica, a tal proposito, la scena in cui due eschimesi incuriositi osservano un giradischi (simbolo di una tecnologia sconosciuta in un mondo come il loro) e uno dei due prova ad addentare il disco senza successo.
Guardando Nanuk e i suoi compagni cacciare un leone marino, costruire un igloo e navigare lungo gli specchi d’acqua, noi spettatori percepiamo la fatica di questa gente, che vive del minimo indispensabile offerto dalla natura ostile. Non possiamo rimanere indifferenti davanti alla realtà che Flaherty ci propone, intatta e senza filtri, noi che oggi viviamo negli agi offerti dal mondo tecnologico, che abbiamo quasi del tutto perso quello spirito di adattamento (e di sopravvivenza) di una volta.
Nanuk l’esquimese non ha una vera e propria trama, non è il classico tipo di film hollywoodiano e non si pone l’obiettivo di far provare intense emozioni allo spettatore. Il film è l’inaugurazione dell’arte del guardare, quella stessa arte che Stanley Kubrick ricalcherà con 2001: Odissea nello spazio, film che proprio per questo divise in due l’opinione pubblica. Davanti alle vicende di Nanuk non possiamo far altro che guardare, incuriosirci della dura vita degli eschimesi e rimanere affascinati dall’ingegno che questi uomini mettono in campo per sopravvivere.
Nanuk l’esquimese è un film che mostra in maniera palese gli anni che ha, soprattutto a causa del suo essere muto e in bianco e nero. Ciò che oggi può spingere un normale spettatore a cimentarsi nella visione di una simile opera, oltre alle necessità di studio, può essere la curiosità di immergersi in un mondo “altro”, lontano e ostile, probabilmente scomparso o profondamente mutato. Se sentiste il bisogno di viaggiare cent’anni nel passato, lo splendido documentario di Flaherty può esservi d’aiuto.