Sono oramai anni che il Far East Film Festival è una vetrina europea per quei film che hanno come tematica principale il sostegno alle varie minoranze in Asia e quest’anno la direzione ha scelto di non essere da meno rispetto al passato. I film di supporto alla comunità LGBT sono una costante oramai, basti ricordare il film filippino Die Beautiful di Jun Robles Lana di due anni fa, il taiwanese Dear Ex di Mag Hsu e Hsu Chih-yen dell’anno scorso e il cinese The Rib di Zhang Wei in concorso quest’anno.
La vera sorpresa di questa edizione arriva con Motif, film d’esordio della regista malese Nadia Hamzah a sostegno delle donne del suo paese, costrette ad affrontare costantemente una società di impronta maschilista con scarsa fiducia nei confronti delle figure femminili che provano ad inserirsi in panorami lavorativi che fino a qualche anno fa erano a loro preclusi. Questo film nasce da un progetto di collaborazione tra Europa ed Asia, sviluppato in occasione del laboratorio Ties That Bind che il Far East Film Festival propone ogni anno insieme all’organizzazione europea di produttori EAVE (European Audio Visual Enterpreneurs) al quale il co-sceneggiatore Muhammad Bahir aveva partecipato.
È interessante osservare come, nonostante il film sia di protesta, non punti i piedi condannando appieno una società misogina, ma ponga degli interrogativi, lasciando ampio spazio alla possibilità di dialogo, mostrando come ci si possa avvicinare e trovare un incontro anche tra punti di vista differenti senza per forza arrivare alla violenza. La storia è tutta in chiave femminile e la regista evidenzia in maniera straordinaria le emozioni e le difficoltà che le protagoniste femminili devono affrontare costantemente. Una scelta coraggiosa, soprattutto per un film d’esordio, ma un risultato sorprendente, pieno di momenti di tensione restituiti con uno sguardo nuovo, critico e innovativo.
Il film racconta una storia a cui non siamo abituati e una tendenza all’esclusione delle donne dalla società che sembra così distante da noi ma che se ci soffermassimo un momento a guardarci intorno potremmo comunque notare essere diffusa, seppur con minor intensità anche qui in Italia. Ovviamente la situazione non è la stessa ma ciò non significa che il problema sia risolto: come ci insegna questo film bastano piccoli gesti di empatia per far cadere quel velo di Maya che ci copre gli occhi, permettendoci così, non di capire, ma quantomeno di poterci schierare a sostegno e difesa di quella che è una causa mondiale e per nulla estranea anche alla nostra società.