Midsommar – Il Villaggio Dei Dannati, credere in Ari Aster

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Prendete un ballo che conoscete, che ha per voi un significato e che ha un che di quotidiano, familiare, già visto. Ora tappatevi le orecchie. Qualsiasi significato quel ballo aveva, dal più profondo al più superficiale, scade ora nel ridicolo, con i suoi gesti vuoti e meccanici. Ma il significato rimane latente e a tratti intuibile. Midsommar – Il Villaggio Dei Dannati (qui trovate il trailer), seconda opera dell’emergente Ari Aster, si muove esattamente in questo ambiguo doppio binario: l’uno comico a causa dell’insondabilità dei gesti (per i personaggi e per lo spettatore) e l’altro inquietante per quello stesso significato che a tratti emerge. Fino al deragliamento finale con relative conseguenze.

Dani (Florence Pugh) e Christian (Jack Reynor) hanno una relazione tenuta in piedi a forza da un grave lutto occorsole. Christian studia (con difficoltà) antropologia e decide (controvoglia) di portare Dani in Svezia: un suo compagno di corso cresciuto in una comune ha invitato lui ed i suoi amici al rituale di metà estate. Tra balli tribali, un sole sempre alto e rivalità interne, il gruppo scoprirà che la setta è benevola solamente in apparenza ed il rituale non è innocuo come pensavano.

Un rituale appunto, celebrato in una lingua straniera e che non molto spesso viene reso comprensibile allo spettatore. Svuotato del suo contenuto, spesso viene da ridere nell’osservare formule e gesti rituali innocui ed enfatici; così come un fatto estremamente violento può apparire sconvolgente per gli esterni e gioioso per gli adepti. Questo bipolarismo riesce a tenere alta la tensione, ma senza rendere pesante il tutto, a dispetto di una lunghezza che sicuramente poteva esser ridotta (e che fa temere per l’annunciato director’s cut di due ore e cinquanta).

L’aspetto, però, più interessante di questa ambiguità di fondo è l’estrema personalizzazione della visione dello spettatore, che può saltare da un binario all’altro a seconda della propria sensibilità. O della propria fede. Perché come una messa può apparire ridicola per un ateo, questa può portare una serie di sentimenti diversi al credente. Ma in questo mondo di film horror stanchi e sfibrati, credere nel cinema di Ari Aster pare cosa buona e giusta.

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