Uscito nelle sale cinematografiche francesi il 29 giugno 2016, La tartaruga rossa (trailer) è uno splendido film che merita una breve analisi per vivere questo piccolo anniversario e richiamare alla memoria una delle più belle opere che il mondo del cinema d’animazione abbia mai offerto. Il regista Michael Dudok de Wit, dopo aver conquistato l’Oscar per il precedente Padre e figlia, nel realizzare La tartaruga rossa si svincola dal suo ambiente prediletto, quello del cortometraggio, e si dirige in una direzione del tutto nuova e sconosciuta, ma accompagnato dallo Studio Ghibli. Il sodalizio che nasce tra il regista olandese e la celeberrima casa cinematografica d’animazione giapponese non poteva non favorire e alimentare il fervore artistico e l’originalità stilistica, fatto interessante perché de Wit ha dichiarato di essersi da sempre ispirato all’arte cinese e giapponese per i suoi lavori.
Regista, sceneggiatore, illustratore, animatore e guidato da una passione per i finali enigmatici e fortemente simbolici, de Wit incomincia la sua carriera con i cortometraggi Tom Sweep (1992), The Monk & The Fish (1994), The Aroma of Tea (2006) e Padre e figlia (2000). Una costante solida nelle opere del regista olandese è il legame che intercorre tra musica e narrazione. Le movenze dei personaggi seguono le composizioni musicali e la mancata spettacolarità in cambio della semplicità dei disegni non impoveriscono i racconti: egli è solito disegnare figure schiacciate e allungate per segnare un movimento veloce, e ciò è visibile in The monk & the fish. Un’altra caratteristica da non trascurare è la scelta drastica e coraggiosa di non inserire alcun dialogo, lasciando libero arbitrio al solo disegno, alla musica e alle possibili interpretazioni degli spettatori. Parlando di scelte coraggiose, è doveroso menzionare come The Aroma of Tea sia stato realizzato solo con il tè. L’acquerello è spesso utilizzato e trova la sua più profonda espressione nel grandioso e pluripremiato Padre e figlia.
In quest’ultimo, infatti, Dudok si serve del valzer di Iosif Ivanovici per accompagnare i personaggi su sfondi acquerellati, realizzando una dedica silenziosa e profonda sulla forza del legame familiare e della memoria che perdura. Un uomo e la sua bambina si salutano un’ultima volta prima di dividersi per sempre. La piccola successivamente cresce e si costruisce la propria vita, ma non dimenticandosi mai del padre e di quel saluto indelebile, sperando fino alla fine in una possibile ricongiunzione. Studiando il potere e la forza dirompente che può acquisire il ricordo e l’amore, il corto in questione dimostra come Dudok, attraverso una chiara e limpida semplicità stilistica, riesca a esemplificare al meglio temi universali di un’umanità in chiave animata.
Riprendendo alcuni temi trattati in questo cortometraggio, ne La tartaruga rossa Dudok de Wit, con il contributo essenziale in sceneggiatura di Pascale Ferran, continua con il suo minimalismo lirico a far emozionare. Per la realizzazione ci sono voluti quasi dieci anni e il regista durante la scrittura della sceneggiatura ha esplorato un’isola deserta delle Seychelles per filmare una tartaruga al momento della deposizione delle uova, evitando, per sua ammissione, la “visione da cartolina” che idealizza la vita sulle isole tropicali. Rivolto non solo ai bambini (qualità da non sottovalutare mai in un film d’animazione), il film è un chiaro rimando al ciclo della vita, una metafora che rischia per la complessità e vastità dell’argomento, ma che riesce pienamente nel suo intento.
Un uomo si ritrova naufrago su un’isola deserta dopo una violenta tempesta. Inizialmente tenta in tutti i modi di sopravvivere, ma la sete di libertà lo spinge a lasciare l’isola attraverso una zattera costruita all’ingrosso con canne di bambù. Sfortunatamente si trova a fare i conti con una grande tartaruga che gli nega ogni tentativo di fuga. Stremato e adirato, il naufrago cercherà di liberarsi dell’animale, ma un evento lo convincerà a rimanere sull’isola fino alla fine dei suoi giorni.
Il film offre, attraverso l’animazione diretta da Jean-Christophe Lie, un connubio perfetto tra la peculiare artigianalità di de Witt, col suo disegno tradizionale, e la computer grafica. La supervisione artistica di Isao Takahata (Una tomba per le lucciole; Pioggia di ricordi) lascia al regista completa libertà creativa, ma l’influenza dello studio giapponese la si scova sia nei personaggi (i granchi rispecchiano gli esserini che costellano le storie dei vari film di Hayao Miyazaki), sia in alcuni momenti che regalano sequenze irreali ed oniriche. Stupefacente l’attenzione maniacale ai dettagli degli elementi naturali. Elementi fantastici e mondo tangibile trovano il giusto equilibrio, affrontando molti temi in maniera tanto semplice quanto ammirevole. Un ritratto peregrino della vita con le sue gioie e i suoi dolori, con l’amore e il perdono che reggono la vita. Nonostante l’assenza completa di dialoghi, si rimane affascinati dalla composizione delle immagini che sprigionano sensibilità e poesia.
La matrice del mistero che nutre e smuove ogni esistenza è onnipresente in tutta l’opera, fino all’ultima ineffabile ed emozionante sequenza, per nulla ditirambica, che fa da cornice all’intera visione. Gli ultimi minuti regalano un momento carico di una forza emotiva rara e che la musica di Laurent Perez Del Mar, artefice della splendida colonna sonora, riesce ad impreziosire e renderlo memorabile. La tartaruga rossa è un’opera che offre una visione nuova nel panorama del cinema d’animazione degli ultimi anni. Un capolavoro che deve essere ricordato e preservato.
Il film è disponibile su Amazon Prime Video.