Oggi più che mai le teorie complottiste sono sulla bocca di tutti. C’è chi le critica, chi le deride e chi è un maestro nell’architettarle e raccontarle. Infine, c’è chi vi trova la propria musa, come accadde nel 1990 a Lowell Cunningham, un fumettista statunitense che, grazie a una delle teorie sugli alieni più diffusa oltre oceano, ha dato vita alla culla ancestrale di un famosissimo franchise: Men in Black (trailer).
Dopo solo sette anni, infatti, più precisamente il 2 luglio 1997, sotto la regia di Barry Sonnenfeld, esce nelle sale il primo film con gli uomini in completo nero. Da quel giorno, l’agenzia segreta responsabile di monitorare e controllare la vita aliena sul pianeta terra tornerà in sala con altri due sequel e uno spin-off.
Il primo film, come accennato, racconta di questa organizzazione che nemmeno il governo statunitense conosce: un organo superpartes che si occupa delle relazioni con razze di altri pianeti. Al suo interno, l’agente K (Tommy Lee Jones), ha il compito non solo di addestrare una nuova recluta, l’agente J (Will Smith), ma anche di salvare il pianeta da una forma aliena parassitaria.
Ma dopo 25 anni com’è invecchiato questo lungometraggio fantascientifico? Ci racconta ancora qualcosa, oppure lo si guarda con gli occhi di chi osserva una vecchia reliquia? La verità? Men in Black può essere definito una bella, brillante e divertente milf cinematografica.
Sul perché sia divertente non c’è molto da spiegare. La pellicola nasce con l’intento di essere una collisione tra i generi sci-fi e comedy, allontanandosi dal tono più serioso del fumetto da cui è tratto. Un’operazione che, grazie a una comicità asciutta e ricca di riferimenti ad avvenimenti storici e personaggi famosi, conquista il pubblico diventando il film più amato del genere.
Come tutti gli ottimi lungometraggi, però, l’intrattenimento non basta, ci deve essere sostanza oltre la superficie, qualcosa capace di rimanere impigliato a lungo tra i pensieri dello spettatore. Qui non ci vuole un escavatore per trovare questo tipo di contenuto, è sufficiente una piccola zappa. I personaggi, infatti, sempre grazie al sarcasmo e l’ironia caratteristici del film, gettano sulle poltrone dei cinema e i divani delle case grandi tematiche. Si va dalla comunicazione di massa alla critica verso gli apparati nazionali, fino a una riflessione sull’egocentrismo e il senso di potere intrinseco nell’essere umano. Quest’ultimo è sicuramente il tema più centrale.
Il personaggio di K, infatti, cerca di far capire al suo nuovo apprendista J come il segreto di questo particolare lavoro sia non dare per scontato di essere la razza più avanzata, di come il diverso non sempre sia minaccia e, soprattutto, di come niente giri intorno all’esistenza dell’uomo. Insomma, non solo un cambio di prospettiva ma anche un ridimensionamento dell’esistenza. Esaustiva in questo senso è l’ultima sequenza: uno zoom out che, allontanandosi sempre di più dal pianeta terra, rivela come questo sia solo un piccolo punto in una galassia racchiusa in una biglia, usata come gioco da alieni dai lunghi tentacoli.
Commedia fantascientifica e tematiche, infine, si fondono alla perfezione grazie alla regia e alle citazioni a vecchi successi del grande schermo. Come spesso succede nel cinema post Spielberg, i linguaggi e le situazione cinematografiche vengono rifunzionalizzate, maneggiate e caricate di nuovi significati, talvolta, anche in maniera dissacratamente ironica. Un esempio, in Men in Black, potrebbe essere il rapimento finale della dottoressa da parte dell’alieno. Una fuga in pieno stile King Kong che, però, si conclude con il mostro che si libera della bella ragazza perché troppo petulante e chiacchierona.
Insomma, il punto è che, dopo questo quarto di secolo, il film diretto da Sonnenfeld è ancora un’ottima opzione per passare una serata a base di cinema. Le tematiche, sempre attuali e trasversali ad ogni epoca, riescono a far riflettere a proposito di problemi quotidiani, le battute, dritte e mai eccessive, strappano sorrisi e risate, mentre il ritmo e le inquadrature sorreggono alla perfezione l’azione. Persino gli effetti speciali riescono ancora a mimetizzarsi bene agli occhi di un pubblico contemporaneo, abituato al luccichio di una CGI sempre più realistica. Ed ecco perché Men in Black è una bella, brillante e divertente milf cinematografica.