L’opera del regista libanese Cyril Aris si può definire in molti modi: un documentario, un making of film o anche, in modo meno tecnico, un “film dentro al film”; ma senza alcun dubbio è un’operazione complessa che si incarica di interrogarsi sul senso intrinseco dell’arte e sulla sua potenza all’interno della vita quotidiana. Quotidianità che gli abitanti del Libano, il 4 agosto del 2020, hanno visto sgretolarsi davanti ai loro occhi ed essere sostituita da un cumulo di macerie. Dancing on the Edge of a Volcano (trailer) non a caso è il vincitore tra i film presentati in concorso alla ventinovesima edizione del Medfilm Festival.
Le riprese iniziano presentandoci il debutto nel mondo del cinema della regista emergente Mounia Akl con la sua troupe. La giovane donna ha intenzione di creare un lungometraggio, Costa Brava, Lebanon; il racconto di una famiglia che, per fuggire da una futura e distopica Beirut invasa dalla spazzatura, si trasferisce in campagna. Scelta del tutto inefficace visto che poco tempo dopo una discarica verrà costruita proprio dietro la loro casa. Una storia in cui è già presente un intento politico molto forte che vuole denunciare le condizioni già precarie dei cittadini e porre il focus su un problema non affrontato -né arginato in alcun modo- dal governo.
Tutto cambia con il drammatico evento: il 4 agosto intorno alle 18, nell’area del porto della città libanese, si verifica una potentissima esplosione dovuta alla detonazione di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio che erano state confiscate nel 2014 da parte del governo e depositate nel porto senza misure di sicurezza. Sono stati stimati 218 morti e più di 7.000 feriti, oltre alla distruzione di milioni di abitazioni (difatti ben due terzi della popolazione si ritrovò senza più una casa in cui abitare). Uno scenario decisamente peggiore e ben più disperato rispetto a quello già distopico immaginato da Akl.
Con queste premesse Aris inizia le riprese del proprio film mettendo in scena sia i discorsi legati alla produzione di Costa Brava -se continuare il progetto iniziale, bloccarlo o abbandonare l’idea- che immagini di attualità legate a doppio filo con materiale d’archivio. Difatti, il regista estrapola alcune scene del film Whispers di Maroun Bagdadi, definito come il padre della cinematografia libanese. Whispers è ambientato nel 1980, pochi anni dopo la fine della guerra civile che aveva stravolto il volto del Paese, eppure le immagini del film che vediamo riportate in vita dallo schermo hanno una profonda corrispondenza con quelle del 2020 riprese da Aris, come se la vita sociale e politica nel Libano, a distanza di ben quarant’anni, non sia stata in alcun modo alterata.
Mounia, però, non si arrende ma le difficoltà che impediscono la realizzazione effettiva del film si moltiplicano a dismisura: dalla svalutazione della moneta libanese alle normative stringenti del Covid fino a improvvise e violente piogge torrenziali che distruggono il set rimandando ulteriormente le riprese. A ciò si aggiunge il fatto che uno degli attori protagonisti, Saleh Bakri, essendo palestinese non può arrivare in Libano passando per il territorio israeliano ed è costretto a vivere un viaggio infinito dove, sballottato tra dogana e polizia, l’uomo viene trattenuto per diverso tempo.
Il morale della troupe oscilla perennemente tra diversi poli: c’è la stanchezza nel dover trovare perennemente delle soluzioni ad eventi imprevisti che sfocia anche in commenti ironici ma privi di amarezza, unita allo shock ancora da metabolizzare provocato dalla catastrofe che ha cambiato per sempre la vita di molti. Il presente è il motore che li spinge ad agire e Costa Brava il mezzo che gli permette di continuare a vivere. Non stupisce il fatto che il periodo intenso delle riprese venga raccontato da tutti i componenti come una “bolla”, ovvero un momento potentissimo di coesione e condivisione che ricordano con grande emozione.
I problemi che hanno caratterizzato tutto l’iter produttivo del film però non finiscono qui, una volta finite le riprese la vita riprende a scorrere ad intermittenza a Beirut dove la corrente viene regolata dagli amministratori dei vari edifici. I cittadini sono costretti a centellinare le poche ore in cui è presente l’elettricità, molti di loro sono partiti lasciandosi dietro le spalle una città -Beirut- distrutta e desolata. In questo frangente i montatori del film si adeguano in fretta e in un costante conto alla rovescia riescono -finalmente- a terminare il lungometraggio.
Costa Brava, Lebanon, prodotto dalla Abbout Productions, viene presentato in anteprima alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2021, coronando il duro lavoro di Mounia e di tutti coloro che hanno partecipato al progetto. Un lieto fine che ci spinge a riflettere sulla potenza dell’arte come propulsore in grado di spingere questi reduci verso un senso profondo di resilienza. La stessa resilienza impersonificata dal padre di Mounia che, quando la figlia si lascia invadere dallo sconforto pensando al futuro della sua terra, le ricorda che la forza dei cittadini libanesi -tramandata di generazione in generazione- sta proprio in questo: continuare a vivere, sperare ed agire attivamente nonostante tutto.