Con il recente arrivo del canale Star di Disney+, approda in streaming il pluripremiato Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh. Nel giorno del suo 51° compleanno, ripercorriamo insieme la carriera di questo promettente regista e sceneggiatore al suo terzo lungometraggio, di cui i restanti due recuperabili su Prime video.
Nato come uomo di teatro, McDonagh si avvicina al cinema grazie al grande successo delle sue opere teatrali, per cui riceve molti premi internazionali e che lo rendono uno dei più noti commediografi britannici degli ultimi anni. Il suo successo e talento nello storytelling lo spingono a debuttare nel cinema nel 2005 con il cortometraggio Six Shooter, che gli vale il suo primo Oscar. L’opera, oltre che essere molto interessante e ben realizzata, riesce da subito a trasmettere l’idea di cinema che il regista vuole proporre, caratterizzata da violenza e commedia nera.
Il grande successo del suo primo lavoro gli permette di entrare in trattiva con la Focus Features (divisione della Universal) per il suo primo lungometraggio, In Bruges – La coscienza dell’assassino (trailer). Il regista prosegue la collaborazione con l’attore Brendan Gleeson e ne inizia un’altra molto importante con Colin Farrell, che rivedremo molto spesso nel suo cinema; McDonagh si crea infatti una cerchia di attori (in parte legati alla sua esperienza teatrale) con cui collaborerà ripetutamente nel tempo. Il film riprende l’onda e l’atmosfera del precedente corto e mette in scena la storia di due assassini, che dopo aver concluso un lavoro in cui viene erroneamente coinvolto un bambino, vengono mandati dal loro capo (interpretato da un grande Ralph Fiennes) nella città di Bruges per calmare le acque. La prima cosa che balza all’occhio è l’estrema crudezza con cui viene mostrata l’uccisione del bambino, evento che non si vede spesso in scena (soprattutto per un regista all’esordio) e che sarà anche un elemento diegetico fondamentale per lo sviluppo della storia e dei personaggi.
Nonostante l’estrema violenza e una malinconia intrinseca, il film mantiene un tono di comicità nera perfettamente bilanciata e che diverrà uno dei marchi di fabbrica del regista. Azzeccare questo tipo di accostamento non è mai facile: si rischia spesso di eccedere in violenza gratuita o in una comicità fuori contesto che smorza eccessivamente l’equilibrio del film, perdendo quindi la sua efficacia. D’altra parte quando ci si riesce, il risultato è spesso di grande livello, come si evince da questo notevole esordio, che culmina con un finale magnifico. Il film riscontra un entusiasmante plauso della critica, oltre che un grande successo di premi in cui si aggiudica un Golden Globe per il ruolo di Colin Farrel, un premio Bafta e varie nomination, tra cui quella all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Il lungometraggio d’esordio del regista è decisamente memorabile e gli permette di accumulare ancor più attenzione e interesse da parte di critica e pubblico per il suo prossimo film.
Se in In Bruges il lato comico era si presente, ma più contenuto, con 7 psicopatici (trailer) McDonagh spinge molto di più, controbilanciando con una violenza ancor più presente, ma più giocosa e meno drammatica nel tono. Ritorna Colin Farrel nei panni del protagonista e si aggiungono due grandi nomi alla cerchia attoriale del regista: Woody Harrelson e Sam Rockwell (che rivedremo infatti più avanti), oltre che un memorabile Christopher Walken. Personaggi eccentrici, situazioni grottesche e una comicità nera condiscono la storia dello sceneggiatore Marty, che ricerca ispirazione per il suo copione nelle assurde vicende dei “7 psicopatici”. Oltre che ad essere il titolo del film, lo è anche della sceneggiatura che il protagonista sta scrivendo, generando una sensazione metacinematografica che già avevamo percepito nel primo film, dove lo stesso Colin Farrel si imbatteva in un “set nel set”. La violenza del film è piuttosto marcata, spesso anche molto scenica, ma ben contestualizzata e per nulla in contrasto con ciò che il film vuole essere.
Per certi aspetti, la messa in scena e lo stile di questo film (più degli altri) ricordano una via di mezzo tra Tarantino e la black comedy dei Coen (tutti inoltre accomunati anche dallo “written and directed by”). Le somiglianze però non sono spesso sinonimo di qualità: molti hanno tentato di imitare l’onda tarantiniana e il suo stile, fallendo e non riuscendone a cogliere la sua essenza. McDonagh non solo lo fa in modo positivo, cosa tutt’altro che facile, ma lo fa con un suo stile e una propria riconoscibilità.
Il tono si rifà decisamente più serio con il suo ultimo film, Tre manifesti a Ebbing, Missouri (trailer), che ha consacrato definitivamente il regista tra i più interessanti degli ultimi anni, anche grazie al gran successo agli Oscar e ai Golden Globe del 2018. Ci viene raccontata della storia di Mildred, una madre (interpretata magnificamente da Frances McDormand) che pretende giustizia per l’orribile morte della figlia, stuprata e brutalmente uccisa. Con questa pellicola il regista probabilmente firma il suo lavoro migliore: tratta molteplici temi, anche molto delicati (come lo stupro, la violenza sulle donne, l’omicidio, il rapporto madre/figlia e il concetto di giustizia), senza mai risultare retorico o banale e riuscendo a mantenere la sua impronta. Da considerare poi una difficoltà che si amplifica con le tematiche di questo film, ovvero il bilanciamento della black comedy: più si fanno seri e delicati i temi, più risulta complesso inserirci e dosarci un lato comico che non svilisca il tutto. Seppur non così esplicita come nel precedente lavoro, il film riesce comunque a mantenere la sua tipica ironia nera perfettamente calibrata e che non contrasta e soprattutto non sminuisce ciò che la storia tratta.
Non passano di certo inosservati dei personaggi scritti magistralmente e interpretati in maniera impeccabile da attori del calibro di Woody Harrelson, oltre che un Sam Rockwell stratosferico. Il personaggio di Mildred poi è semplicemente impeccabile: una donna determinata che lotta per la giustizia di sua figlia con una tale umanità, da non permetterle di nascondere i suoi errori ed eccessi. Il regista non punta affatto sulla pietà, che si potrebbe facilmente indurre ed ottenere con tematiche così delicate, ma bensì dipinge la protagonista per quello che è, incluse alcune scelte che potrebbero far dubitare le sue ragioni (o quanto meno i modi con cui le esprime), senza però rompere l’empatia che inevitabilmente si viene a creare con il personaggio.
Dopo questi tre lavori, uno più interessante dell’altro e con una media qualitativa decisamente elevata, McDonagh diventa una delle realtà più interessanti del cinema contemporaneo. Nonostante ciò, è comunque troppo presto per dare un giudizio totale sul regista, visto l’esiguo numero di film, che però è destinato fortunatamente ad aumentare a breve: è stato infatti annunciato (ormai da più di un anno) un nuovo lungometraggio, The Banshees of Inisheer. Il film, prodotto dalla Searchlight (etichetta del gruppo Disney), racconterà di due amici che vivono in una remota isola irlandese, interpretati dalla stessa coppia di In Bruges (Colin Farrell e Brendan Gleeson). Attendiamo dunque questo prossimo lavoro, sperando di poter confermare l’ottimo e promettente andamento del regista britannico.