Impostasi oramai come una tra le rivoluzionarie società di produzione della nostra penisola, la Groenlandia Film Production di Matteo Rovere sta lentamente diramandosi in innumerevoli operazioni ad alto tasso d’intrattenimento volte a rivitalizzare il tanto criticato panorama cinematografico italiano.
Le spettacolari parabole umane della Groenlandia Film, sempre più aggiornate e trascinanti, spezzerebbero così la supposta monotonia e diventerebbero colori indelebili di un’Italia pronta a destarsi e desiderosa di ergersi a livello internazionale con la sua valente cinematografia. Dalla trilogia di Smetto quando voglio di Sydney Sibilia (Masterclass e Ad honorem prodotti da Groenlandia) agli ultimi Mondocane (2021) di Alessandro Celli e Marilyn ha gli occhi neri (2021, trailer) di Simone Godano – passando, tra i tanti, per Il primo re (2019) di Rovere, Il campione (2019) di Leonardo D’Agostini, L’incredibile storia dell’isola delle rose (2020) di Sibilia, Il cattivo poeta (2021) di Gianluca Jodice – la Groenlandia Film Production sta ad oggi marcando un percorso profondamente riflessivo e imponente che riprenderà con passione ed efficacia un certo cinema statunitense col quale prontamente identificarsi.
In tal senso Marylin ha gli occhi neri racconterà il doloroso ingresso alla “normalità” di due solitudini affette da disturbi neurologici, a cui saranno concesse possibilità di rivalsa e reinserimento nel mondo, sulla scia de Il lato positivo (Silver Linings Playbook, 2012) di David O. Russell.
Lontano dalla intrinseca complessità che annega i protagonisti de Il lato positivo – precipitiamo a tamburo battente nei ritratti di famiglie lacerate e impossibilitate a far fronte alla disfatta dei figli – Marilyn ha gli occhi neri recupera l’impasto dei generi dramma-commedia caratterizzante il suo validissimo antesignano e costruisce un social-problems movie sull’alterità e le second chances degli esclusi. Tuttavia, se nel film di O. Russell il centro di riabilitazione a Baltimora è soltanto il luogo di partenza da cui si dirama l’elegiaca trama di Pat (Bradley Cooper) che soltanto a Filadelfia conoscerà Tiffany (Jennifer Lawrence), nel film di Godano il centro diurno destinato al rehab dei pazienti è l’autentico polo nevralgico che vede l’incontro/scontro tra i futuri innamorati Diego (Stefano Accorsi) e Clara (Miriamo Leone).
Dunque, il regista Godano e la sceneggiatrice Giulia Steigerwalt eleggono lo “spazio di ritrovo” come fondamentale training base degli eroi dell’ordinario vivere. Questo piccolo universo è sintomatico di una necessaria riscoperta di se stessi che eleverà ad ancora di salvezza il confronto diretto con altre personalità “disturbate” – tra i futuri amici e pazienti ritroviamo Sosia (Mario Pirrello) Chip (Andrea Di Casa) Susanna (Orietta Notari) e Gina (Valentina Oteri), casi clinici ancor più “problematici” di Diego e Clara che purtroppo rimarranno unicamente validi aiutanti all’interno della narrazione.
Considerando ulteriormente che il film di Godano è stato girato in piena pandemia Covid-19, Marilyn ha gli occhi neri assumerà allora la fluida consistenza di una parabola simbolica volta a raccontare l’umanissimo riavvicinamento di anime dolci e logorate anzitutto dalla distanza tossica degli affetti – a causa di continui sbalzi d’umore e improvvisi scatti d’ira, al protagonista e chef Diego sarà acconsentito vedere la figlia (Giulia Patrignani) soltanto per una mezz’ora ogni settimana. Evidente sarà adesso il parallelo con la contemporanea ordinary life, in cui ogni forma di interazione fisica sarà prepotentemente sostituita da social e devices che annulleranno le emozioni del face to face.
Interessante, a tal proposito, sarà scoprire come il film mostri una critica radicale al mondo intra-rete: Clara usa l’internet e il social per costruirsi un’immagine falsissima di donna cresciuta in un mondo che è interessato unicamente alla quantità di shares compulsivi e alle invitanti e appetitose notizie. Se da un lato, tuttavia, social e intra-rete aiuteranno i protagonisti nell’impresa di aprire un gustosissimo ristorante dall’altro saranno una condanna assolutamente punitiva che andrà inevitabilmente ad impattare anche sulle sofferte vite dei compagni di ventura – ovvero le vite di quelle personalità potenzialmente conoscibili, ma rimanenti amaramente sconosciute nel film, con cui la nostra bugiarda protagonista ha costruito un sorprendente sodalizio.
Le trappole di quel mondo invisibile condurranno il personaggio interpretato dalla Leone alla menzogna più grande. L’auto-sabotaggio, mai così manifesto in una certa scena, apparirà come un coltello (o un termosifone che perde acqua, causa la rabbia del protagonista maschile) che rischia di tagliare fuori dalla propria vita l’incredibile matassa di relazioni costruitesi nel tempo e quell’amore che era pronto a sbocciare… tuttavia la speranza non morirà mai!
Come lasciato intravedere precedentemente, nonostante la vitale ed energica qualità di Marilyn ha occhi neri, il film di Godano soffrirà amaramente di un’incurabile falla interna al corpus di quella sua raggiante sceneggiatura: se all’inizio l’opera del regista si proporrà di raccontare una minoranza, scopriremo nel corso del film che la tribù di reietti tanto cara alla sceneggiatura sarà in realtà soltanto contorno ad una storia d’amore bella ma profondamente selettiva. All’impiego di due mirabili super-attori, oramai famosi all’interno del panorama mediale, che trasmetteranno con forza e vigore le vite spezzate da traumi fisici e psicologici dei loro freaks, corrisponderà sfortunatamente un mancante e necessario focus sulle vite di quei compagni di viaggio che tanto hanno contato per la riuscita della grande impresa del ristorante.
Fin dalle prime scene Sosia, Chip, Susanna e Gina rimarranno tracce non essenziali alla storia d’amore e rivalsa di Diego e Clara; vi sarà fortunatamente una risoluzione anche per loro, ma questa passerà fondamentalmente in secondo se non ultimo piano. Sono controfigure e fantasmi a tutti gli effetti che sicuramente conferiranno un tono ancor più drammatico alla linearissima narrazione, ma questi sfortunatamente saranno solo la frutta e il dessert del delizioso pranzetto servito dallo chef Simone Godano. Come testimonianza di queste ingiuste degradazioni vi è il fatto che Sosia Susanna Chip e Gina non saranno mai visti all’infuori del rehab-centre, o insieme ai protagonisti durante le loro scampagnate (a malincuore, niente Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman, 1975), o anche nel gioioso e partecipato finale.
L’effetto che infine produrrà l’opera di Godano sarà quello di un prodotto stabile, volto ad informare anzitutto sulle problematiche inerenti un universo psicologico poco riconosciuto e in secondo luogo ad intrattenere il maggior numero di pubblico possibile grazie all’impiego di due giganti del cinema italiano post-2000 e del social.
Non mancano ovviamente momenti di sconfinato candore e avvicinamento, rivolti verso un futuro pronto a destarsi con le sue inestimabili perle. La scena serale presso il campo da baseball è fuoco dell’incontro e dell’autenticità più grandi; è un momento profondo di respiro e contatto diretto con la realtà degli innamorati, presentatoci con un campo lunghissimo di preziosissimo valore, che restituirà una dimensione giocosa e mai totalmente infantile. Questo momento catalizza la formazione della coppia e non è completamente diverso dalla “Girl from the North Country” (da Bob Dylan) Scene de Il lato positivo di David O. Russell: Godano e O. Russell costruiranno l’atmosfera perfetta dell’amore puro, lasciando che la futura coppia condivida autenticamente il proprio Io e “giochi” a nascondino e alla danza.
Un’ulteriore comunanza tra Marilyn ha gli occhi neri e Il lato positivo è rilevabile nelle drammaturgie dei loro personaggi. Numerosi sono gli atti nel film di Godano in cui i personaggi interpretati da Stefano Accorsi e Miriam Leone ricordano il Pat di Bradley Cooper e la Tiffany di Jennifer Lawrence. Le quattro personalità condividono una disperazione che può più o meno manifestarsi in attimi d’ira e catastrofi incontenibili, ma soprattutto condividono la stessa pioggia di relazioni e sguardi: in entrambi i film la donna è la prima ad innamorarsi dell’uomo e lei fa di tutto pur di muoverlo verso la direzione della realizzazione comunitaria.
Continuando, sempre in entrambe le opere sarà l’uomo che manifesterà una prima sfiducia nei confronti delle avance femminili e del corpo della donna. All’inizio delle loro avventure Diego e Pat non considerano Clara e Tiffany “roba da relazione” viste le loro personalità provocatorie e trasgressive, quanto due “problemi” difficili da risolvere – vediamo queste infami dichiarazioni rispettivamente nella scena di “Ritorno a casa in macchina” in Godano e nella “Date at the Diner Scene” di O. Russell (i similari discorsi ed espressioni facciali dei maschi in questione parleranno più del dovuto). Marilyn ha gli occhi neri e Il lato positivo si caleranno così all’interno del discorso gender di crisi della mascolinità post-2000.
In conclusione, Marilyn ha gli occhi neri è un social problems movie sulla diversità e l’ingresso alla “normalità” di due solitudini innamorate che centra in pieno l’obiettivo primario della Groenlandia Film Production. Il film di Godano sarà infatti un dolce, straziante e necessario spettacolo sugli esclusi che intratterrà il pubblico con i suoi super-attori, informerà sulle problematiche inerenti una minoranza a cui deve essere concesso il diritto alla vita e ripercorrerà, sotto certi punti, Il lato positivo di David O. Russell suo inestimabile antecedente.
Al cinema dal 14 settembre.
Non amo molto andare al cinema ma, dopo aver letto questa recensione, che apprezzo molto, andrò di certo a vedere il film. Grazie a Eugenio Sommella!