IL 17 novembre 1992 avveniva la première mondiale di Malcolm X (trailer) a Beverly Hills. Il film diretto da Spike Lee è tratto dall’autobiografia del più grande e anche discusso leader nella lotta degli afroamericani del XX secolo: l’Autobiografia di Malcolm X, pubblicata nel 1965, venne scritta con la collaborazione del giornalista Alex Haley, il quale non vide mai il film ultimato poiché morì a febbraio del 1992.
Spike Lee per assistere alla première mondiale, invitò tutti gli afroamericani a scioperare e a saltare la scuola, promettendo la visione di “una parte di storia americana che finora è stata tenuta nascosta”. Il film, infatti, è estremamente ambizioso: con esso Lee si prefigge lo scopo di raccontare la verità, “soprattutto dopo le menzogne che ci hanno insegnato sul continente nero”. Malcolm X rappresentava un progetto molto caro al regista, il quale riuscì perfino a ottenere il permesso di girare alcune scene alla Mecca. Era la prima volta che un film occidentale presentava delle sequenze nella città dell’Arabia Saudita, capitale della religione islamica, nella quale è vietato l’ingresso ai non musulmani. Per ottenere il permesso dal tribunale islamico, Spike Lee ingaggiò per le scene una troupe di soli musulmani e lui stesso si convertì all’Islam, sebbene lo dovette tenere nascosto per molti anni.
I diritti di un film tratto dall’Autobiografia di Malcolm X erano già stati ceduti dalla moglie di Malcolm, Betty Shabazz, nel 1967. Molti tra i rappresentanti della “tutela della memoria di Malcolm X e della Rivoluzione culturale” non volevano che la regia fosse affidata a Spike Lee, il quale era accusato di fornire nei suoi progetti un ritratto degli afroamericani fin troppo caricaturale. Nonostante ciò, Lee poté comunque dedicarsi alle riprese, che iniziarono a settembre del 1991 e terminarono solo quattro mesi dopo. Nonostante le critiche, che ancor prima che iniziassero le riprese gli erano già state rivolte, nel film Spike Lee non rinuncia al suo pittoresco stereotipato. Ci fornisce un quadro completo della vita dell’attivista, della sua storia esemplare.
La prima parte del film racconta la gioventù di Malcolm X, della sua famiglia, fino agli anni più violenti e turbolenti. La seconda parte del film racconta la sua prigionia, che coincide con la sua rinascita. È infatti nel carcere che Malcolm viene introdotto alla religione islamica e viene a conoscenza degli insegnamenti di Elijah Muhammad, un predicatore musulmano. È grazie a lui che riacquista consapevolezza e rispetto per la vita, e impara l’orgoglio di essere afroamericano. Smette di stirarsi i capelli per assomigliare di più a un “bianco” e meno a un “negro” e diventa così Malcolm “X”, X come l’incognita matematica. Il suo nome è simbolo della mancata conoscenza delle proprie origini e più in generale delle origini degli afroamericani, portati via dalle loro terre natale. La terza parte narra quindi l’inizio della sua missione, la sua lotta e la sua predicazione, grazie alla quale la National Islam passa da 400 a 30.000 membri.
Il film venne candidato a due premi Oscar: per i migliori costumi a Ruth E. Carter e per il miglior attore protagonista a Denzel Washington. Nonostante quell’anno l’attore non ottenne il premio Oscar, è riconosciuta da tutti l’impressionante somiglianza tra il protagonista e il vero Malcolm X. La critica è infatti d’accordo nell’elogio a Denzel Washington, che riuscì a rendere perfettamente il carisma che caratterizzava il grande oratore.
La pellicola, nonostante tutte le controversie, non è una propaganda politica, né un’indagine sociologica. Da subito Malcolm X si dichiara come “Non democratico, non socialista, non repubblicano”, ma prima di tutto un uomo di colore e in quanto uomo di colore, impegnato nella lotta per i diritti della gente come lui. Sono tante le prese di coscienza che Malcolm X ebbe nel corso della sua vita e questo dimostra quanto fosse umano e quanto non fu mai esente da sbagli. In una fase della sua vita, ben resa in alcune sequenze del film e in dialoghi molto significativi, lo stesso Malcolm X è colpevole di essere razzista. Egli incolpa, infatti, tutti gli uomini bianchi di essere crudeli, definisce l’uomo bianco “il più grande assassino della Terra”. Spike Lee dimostra quanto il suo scopo non fosse quello di elogiare o celebrare Malcolm X, ma semplicemente quello di raccontare la sua esperienza di vita e anche la sua lotta per i diritti umani che ancora oggi risulta essere determinante e necessaria. Lo dimostrano fatti di cronaca spaventosamente recenti, quanto il lavoro iniziato da Malcolm X sia ancora lungi dal poter essere considerato terminato.
Le parole di Malcolm X, i suoi discorsi incendiari riportati quasi testualmente nel film, sono capaci di travalicare i confini statunitensi e sottolineano quale sia il lascito più importante alle generazioni a venire: non vergognarsi di essere nati neri, non fingere di essere quello che non si è per farsi accettare, nel quadro di una nuova assertività morale con se stessi, prima che con il mondo. Da qui il desiderio di rinascita, come chiedeva idealmente di fare a tutti gli afroamericani.
L’obbiettivo iniziale del regista era quello di raccontare la storia in otto ore di girato, ma le tre ore che la Warner gli concesse bastano e avanzano per restituire la portata della missione del leader afroamericano. Nella scena iniziale del film la voice over di Malcolm X accompagna il lento rogo della bandiera americana che si alterna alle immagini dell’infame pestaggio di Rodney King. É questa la missione del grande attivista e di Spike Lee con il suo film: riscrivere la storia del suo paese e del suo popolo.
La grandezza del lascito di Malcolm X è inversamente proporzionale a quel cognome, Little, abbandonato durante la sua rinascita e simbolo di una presa di coscienza, che con grande lungimiranza, riconobbe dovesse essere necessaria per tutta la comunità afroamericana. Nella sequenza finale Nelson Mandela pronuncia uno dei messaggi più significativi del nostro protagonista: “è nostro diritto essere rispettati come esseri umani su questa terra… un diritto che vogliamo far esistere”, interviene la vera voce di Malcolm X che conclude: “con ogni mezzo necessario”. E il mezzo scelto da Spike Lee è quello cinematografico che dopo trent’anni conferma quello che è il suo grande potere.