L’odore della notte (qui il trailer) è un film del 1998 diretto da Claudio Caligari. È il secondo lungometraggio del regista dopo ben 15 anni dal suo esordio, parte di una ideale trilogia che si apre con Amore tossico e si chiude con Non essere cattivo. Il film si ispira al romanzo-verità scritto dal giornalista Dido Sacchettoni, Le notti di arancia meccanica. Il libro ricostruisce le gesta di quella che, negli anni ottanta, fu celebre a Roma come “la banda dell’Arancia meccanica”, un gruppo di delinquenti che irrompeva nelle case dei ricchi, malmenava e terrorizzava i presenti e fuggiva con ricchi bottini.
Nella Roma tra il 1979 e il 1983, un gruppo di rapinatori dell’estrema periferia si specializza nell’assalto ai quartieri alti. Remo Guerra (Valerio Mastandrea), è poliziotto di giorno e di notte capo riconosciuto della banda che toglie ai ricchi romani, con violenza e minacce, in nome di un riscatto sociale altrimenti irraggiungibile. Alle avventure notturne di Remo collaborano Maurizio Leggeri (Marco Giallini), abile nel guidare l’auto per le fughe e che svolge questo “mestiere” perchè ama le donne ed il divertimento, e Roberto Salvo (Giorgio Tirabassi), che è moralmente contrario, ma opera costretto dalle necessità economiche. Loro principale obiettivo sono i ricchi borghesi che passeggiano la sera per strada, a cui rubano pellicce, portafogli ed oggetti di lusso vari. Tutto sembra ripetersi quasi ciclicamente, ma ad un certo punto i soci di Remo si defilano, almeno temporaneamente, al punto da costringerlo a scegliersi come collaboratore “il Rozzo” (Emanuel Bevilacqua), un trucido personaggio il cui padre ha conquistato la posizione di sfasciacarrozze partendo dal mestiere di rovistatore di spazzatura.
Il bisogno di soldi e la voglia di superare costantemente se stessi, spinge il gruppo, ritornato anche Maurizio, ad intrufolarsi nelle case della Roma bene, bloccando per strada i proprietari e facendosi condurre nelle relative ville, con bottini sempre più copiosi. Nel frattempo Roberto, con l’aiuto dello stesso Remo, prova a rilevare un vecchio bar di periferia, ma il fiume di soldi necessari per le spese di avvio non fa altro che trasformare anche il gioco delle rapine nell’ennesima gabbia che intrappola l’ormai ex-poliziotto, costringendolo ad una attività da cui vorrebbe da tempo liberarsi. Alla fine Remo, nel vano tentativo di cambiare strada, riesce ad aprire il bar in periferia, ma anche questo episodio si rivelerà marginale, poiché egli sembra affidare il proprio destino alla sua definitiva cattura.
Il film di Caligari è una cupa e disperata tragedia della solitudine, dell’emarginazione sociale, dell’istinto criminale e, soprattutto, della paura. La paura, per Remo e per la sua banda di ladri, di uccidere per sbaglio o di essere beccati dalla polizia; la paura, per le vittime, di essere violentate se non ammazzate. Lo sguardo del regista è asciutto, amorale: non ci sono prediche, nè slogan. Non c’è rimorso, non ci sono progetti nè ambizioni nè sogni: c’è solo la corsa in apnea verso l’autodistruzione. Amicizia, amore, famiglia, lavoro: tutte parole che non hanno alcun significato per Remo.
Ne L’odore della notte è da notare l’influenza che proviene dal cinema poliziesco italiano anni settanta, soprattutto da Fernando Di Leo, per quanto riguarda la maestria nella messa in scena delle numerose sequenze di azione violenta e per il fatalismo di fondo che avvolge la vicenda. La pellicola di Caligari inoltre ricorda molto il cinema pasoliniano, per via di certe inquadrature frontali e per lo sguardo maledetto sulle borgate, avvolto da quel senso di laica sacralità che emanavano le inquadrature del maestro friulano.
Evidentissimo anche l’amore dell’autore piemontese per Martin Scorsese, il cui Taxi Driver (1976) è omaggiato con ben due citazioni letterali: la prima è una scena in cui il personaggio di Mastandrea si mette a puntare con la pistola davanti a uno specchio, la seconda una sequenza brevissima in cui lo stesso Remo rovescia la televisione a terra con un calcio. Per non parlare dell’ulteriore rimando a Scorsese, che si materializza quando in un televisore appare il celeberrimo fotogramma dell’uomo con pistola che spara in camera, tratto da La grande rapina al treno (1903) di E.S. Porter e replicato anche da Joe Pesci in Quei bravi ragazzi (1990).
L’odore della notte può essere considerato infatti come una sorta di Taxi Driver degli anni di piombo, ma in questo film Caligari va oltre l’omaggio fine a se stesso all’attore e al regista: la citazione cinematografica diventa elemento costruttivo e non frammento isolato o esercizio stilistico. E più che mai, in questo caso, la citazione è funzionale a un’attualizzazione spaventosamente acuta di quel disagio esistenziale e insieme sociale che sta nei personaggi di Scorsese. Ne L’odore della notte, come in Taxi Driver, l’incedere del racconto è scandito dai monologhi interiori esposti dalla voice off del protagonista con freddezza come frasi vuote, in questo caso pronunciate per inerzia da un Mastandrea imperturbabile.
La figura di Remo Guerra ricorda da vicino quella di Travis Bickle: entrambi vengono dal “corpo militare”, e ne sono le sintomatiche e perfette degenerazioni. La forza dell’eroe degenerato Remo sta nel disinteresse per gli scopi, che accomunano invece gli altri componenti della banda. Questo disinteresse, che lo rende più che mai simile a Bickle, è il sintomo più grave del distacco dal ruolo di poliziotto, che disprezza di più in assoluto (e più in assoluto gli appartiene).
L’odore della notte è il simbolo di un cinema a suo modo resistente e pericoloso, al punto da essere, al pari dei protagonisti che intende portare sullo schermo, ghettizzato e abbandonato a se stesso. Sicuramente un film da (ri)scoprire, a dimostrazione che Caligari, tragicamente scomparso nel 2015, avrebbe meritato maggiori possibilità come sceneggiatore e regista.