Les amours imaginaires (trailer) è il secondo film poetico di Xavier Dolan, espressione dell’intimità dell’autore. Come accade in J’ai tué ma mère, la soggettività dei personaggi è protagonista dell’opera. Tuttavia, questa volta, le dimensioni soggettive appaiono annebbiate da una visione illusoria della realtà diegetica. Il fulcro tematico del film è l’amore immaginario, o potremmo dire immaginato. Cedere agli inganni della propria mente quando questa viene sopraffatta da sentimenti forti è una caratteristica dell’umanità. Così gli attanti del film di Dolan sono vittime di amori idealizzati, costruzioni mentali legate ad un’immagine di una realtà che non esiste. Quante volte si è sentito dire che ciò che si ama non sia una persona in particolare ma l’idea dell’amore? Si può amare più un concetto che una persona. È questo il centro argomentativo del film.
Dolan sviluppa la tematica degli amori immaginari attraverso due percorsi narrativi: lo svolgimento dell’intreccio del film e lo sviluppo di una riflessione apparentemente extradiegetica. Quest’ultima è articolata attraverso sequenze che si presentano come false interviste rivolte ad alcuni personaggi che non giocano alcun ruolo all’interno della diegesi narrativa, se non quello di rendere universali le situazioni psichiche e le condizioni emotive dei protagonisti. Queste scene vengono espresse attraverso uno stile di ripresa proprio del cinema d’inchiesta e i dialoganti parlano come se si trovassero ad un incontro di terapia di gruppo.
Si è parlato di momenti “apparentemente extradiegetici” in quanto una delle suddette sequenze (quella in apertura al film) informa dell’appartenenza di questi personaggi al gruppo di amici dei protagonisti. Questi individui raccontano esperienze personali di relazioni finite male o di amori a senso unico. Una donna confessa la sua ossessione per un uomo che non si accorge neanche della sua esistenza. Una ragazza si rende conto di essere stata più innamorata della distanza fisica che la separava dal suo uomo, capace di mettere in moto una serie di attese ed aspettative, più che della persona stessa. Dolan sviluppa un discorso, legato a dei paradigmi tecnici che ricordano un certo cinema-verité, che espande ad una dimensione collettiva quegli atteggiamenti attraverso i quali uomini e donne costruiscono la propria visione di una realtà che non esiste al di fuori della propria immaginazione.
La trama del film è essenziale e riprende un topos di cui la storia del cinema può ritenersi satura. Francis e Marie incontrano Nicolas ad una cena tra amici e ne rimangono immediatamente folgorati. Si innamorano entrambi del fascino ipnotico di questo ragazzo, ai loro occhi dionisiaco, dai riccioli d’oro. Inizia una guerra fredda caratterizzata da collaborazione e scontro per conquistare il cuore di questo giovane narciso, il quale, invece, si diverte a magnetizzare i desideri dei suoi seguaci amatori, aprendo e chiudendo spiragli di illusione e speranza prima all’uno poi all’altro. Per Nicolas è tutto un gioco il cui obiettivo è il totale assorbimento dell’adorazione di Marie e Francis, nonostante essa dia origine ad un conflitto tra i due amici, tutto manifestato nello spazio che intercorre tra i loro sguardi e nelle circostanziali espressioni facciali che i due si rivolgono, in diretto contrasto con i loro pensieri.
Il logoramento e la denutrizione sentimentale a cui porterà la lotta amorosa che impregna tutta la narrazione sono enunciati nei primi dieci minuti del film. In particolar modo da una sequenza musicale, espressione di tutta la poetica cinematografica dolaniana, nella quale Marie e Francis, in montaggio alternato, si stanno preparando ed avviando per incontrare Nicolas. I primi piani, i dettagli degli abiti sgargianti (blu il vestito di Francis, di un viola carico di passione quello di Marie), e soprattutto l’uso dello slow motion divinizzante, il tutto accompagnato dalle note e dalle parole di Bang Bang di Dalida, fanno di questa sequenza l’enunciato teorico e estatico di tutto il film. Troviamo in queste inquadrature tutto il concetto estetico e tematico che attraversa Les amours imaginaires, ma non solo, l’analisi di questa sequenza dichiara le caratteristiche principali dell’idea di cinema di Xavier Dolan.
La realtà immaginata ed il realismo dolaniano si fondono all’interno di un racconto che mette in scena delle situazioni di illogica quotidianità. Si tratta di emozioni proprie del genere umano che inducono gli innamorati ad agire in maniera contraddittoria e paradossale. In altre parole, la dimensione straordinaria della storia partecipa a delle condizioni psichiche di ordinaria follia. Le illusioni spingono gli uomini verso delle azioni sconsiderate, fuori dalla sfera razionale, seppur fondate su emozioni reali di un amore irreale. Ci si riferisce a quei sentimenti fuori controllo che, col senno del poi, inducono a giudicare se stessi e la propria condotta incosciente, conseguenza di un’insana infatuazione, opacizzazione della razionalità.
Les amours imaginaires rimarca, ancora una volta, una delle caratteristiche specifiche del cinema di Dolan: la centralità narrativa dell’arte e della musica. Come enunciato nell’approfondimento dedicato a J’ai tué ma mère, l’arte figurativa partecipa all’elaborazione del taglio concettuale del cinema dolaniano. In particolare, l’uso dei colori primari in quest’opera risulta ancora più significativo rispetto al primo film.
Ad ognuno dei tre personaggi principali corrisponde una gamma cromatica che Dolan indica attraverso precise scelte estetiche e visive. Il colore dell’abbigliamento di ogni personaggio è indice della propria personalità. Così, se Marie è sempre vestita di colori appartenenti alla scala cromatica del rosso, gli abiti di Francis sono blu in ogni scena, e Nicolas, con la sua chioma bionda, rappresenta il giallo.
Un accenno al legame che intercorre tra colore e personalità, approfondito in ambito accademico dal settore degli studi scientifici, informa sui caratteri dei personaggi del film in modo estremamente puntuale e velatamente sorprendente. Le caratteristiche comportamentali che sembrano essere associate ai tre colori primari (rosso, blu e giallo) corrispondono esattamente all’identikit dei tre personaggi partecipi del triangolo amoroso di Les amours imaginaires.
Il colore rosso indica un carattere sensibile, agitato, aggressivo, mutevole ed impulsivo. Il rosso è simbolo di atteggiamenti masochisti e di servilismo, dietro i quali si celerebbe una grande rabbia.
Il blu è un colore legato ad un carattere intimamente fragile e flemmatico. La gamma cromatica del blu indica la paura dell’abbandono ed il bisogno d’esser amati, la tendenza ad aggrapparsi agli altri e a idealizzare le proprie emozioni. Infine, il giallo rappresenta le persone che nutrono un intimo sentimento di superiorità, un bisogno di potere. Questo colore indicherebbe un carattere manipolatorio, volto al piacere di far soffrire gli altri [W. Bernasconi, Cromoterapia. Per un rapporto equilibrato e terapeutico con i colori, La casa verde, 1990]. Ora, queste teorie sono il prodotto degli studi sulla cromoterapia, una medicina alternativa non scientifica e non verificata. Non è importante il giudizio soggettivo in relazione a tali dottrine, quanto l’uso che viene fatto di esse in Les amours imaginaires. Infatti, le tre personalità ideali tracciate attraverso l’analisi semantica dei colori coincidono fedelmente con quelle dei tre personaggi Marie, Francis e Nicolas.
Il gioco intellettuale che Dolan esercita attraverso l’impiego simbolico dei colori non si limita ad una corrispondenza univoca tra la significazione di un colore ed il carattere di un personaggio. Il congegno si espande alle relazioni che questi colori intrattengono tra loro. Rosso, blu e giallo sono colori complementari e lo studio del rapporto tra questi tre è l’argomento principale della Teoria del Colore concepita da Jhoannes Itten, uno degli esponenti principali della Scuola di Bauhaus (un’antica scuola d’arte, design e architettura che nel corso della storia si è trasformata in un movimento artistico). Il collegamento, estetico e concettuale, tra Les amours imaginaires e la Teoria del Colore della suola di Bauhaus non è da considerare né forzato né aleatorio, come potrebbe invece sembrare. Il riferimento alla Scuola è presente nel film. Lo stesso Dolan ci indica la via interpretativa della sua regia in una scena chiave. Verso la fine della vicenda, quando ogni personalità risulta ormai delineata agli occhi dello spettatore e la partita relazionale tra i personaggi giunge al termine, Francis, e quindi lo stesso Xavier, posiziona al centro dell’inquadratura il catalogo delle opere della Bauhaus, sulla cui copertina figurano tre forme geometriche, una blu, una rossa ed una gialla. La Teoria del Colore di Itten (L’arte del colore, 1961), sostiene che l’accostamento di giallo, rosso e blu rappresenti il massimo grado di tensione di colori puri.
Dunque, l’uso abile e maniacale che Dolan fa del colore partecipa alla logica narrativa della storia. La tensione amorosa è marcata dalla relazione simbolica tra i colori. L’essere complementari di questi ultimi indica la complementarietà, il rapporto di dipendenza, dei personaggi.
Nel film è rilevante anche l’uso che viene fatto di luci colorate durante i rapporti sessuali dei protagonisti. Marie e Francis si ritrovano a letto con altri uomini, ma il loro pensiero è costantemente volto a Nicolas.
Dolan illumina i momenti d’intimità di Marie con una luce di un rosso intenso, espressione di una rabbia ed una insoddisfazione represse. Mentre Francis viene illuminato da un verde acceso, simbolo di un senso d’ansia ed instabilità psicologica. Il ragazzo, infatti, trova in un altro uomo un’illusoria consolazione. Il significato che si può evincere attraverso la scelta cromatica dell’illuminazione trova giustificazione anche nei dialoghi che precedono gli stessi atti sessuali. Questi momenti intimi sono rappresentati attraverso un montaggio in stile video musicale, caro a tutta la filmografia dolaniana.
Proprio in relazione al montaggio Les amours immaginers ci regala una delle più belle sequenze del cinema contemporaneo. Francis e Marie sono alla festa di compleanno di Nicolas; quest’ultimo è ubriaco e balla sulle note della idilliaca Pass This On dei The Knife, insieme a sua madre (ruolo interpretato dall’attrice feticcio Anne Dorval, come in J’ai tué ma mère), donna eccentrica e stravagante ricoperta di paillette. Potrebbe essere rilevante notare che questa donna, forse l’unica a poter raggiungere l’intimità di Nicolas, sia agghindata di blu e di rosso, i due colori che personificano i due giovani contendenti di quell’intimità proibita.
Tornando alla sequenza, Francis e Marie osservano la scena da lontano, illuminati da una intermittente e violenta luce rossa che rispecchia i loro volti pullulanti di rabbia. I loro sguardi sono rivolti al loro oggetto del desiderio, Nicolas, considerato un dio greco.
Ed è proprio così che Dolan ci restituisce l’immagine del giovane imbonitore di un magnetico fascino: il volto di Nicolas prende parte ad un montaggio intellettuale ejzenstejniano che gioca sull’associazione semantica del primo piano del ragazzo con quello del David di Michelangelo e di iconografie di antiche divinità. L’ardente montaggio delle immagini segue il ritmo della musica e delle luci, generando nello spettatore scossoni, pulsioni e fremiti emotivi. Lo sguardo spettatoriale non può che cedere alla folgorazione estatica causata dalla figura di Nicolas, identificandosi, così, nello sguardo diegetico dei due voyuer adoratori. Quello esterno non è uno sguardo sessuale o lussurioso; ma è lo stesso Dolan che usa lo specifico cinematografico per indurre lo spettatore ad abbandonarsi alla venerazione auratica dell’immagine pittorica del ragazzo/dio.
In ultima analisi, il cinema di Dolan è dunque un cinema del visibile. Ogni pulsione spirituale ed ogni disordine emotivo è espresso in primo luogo dall’immagine. Tuttavia, risulta di estremo interesse sapere che il visibile ne Les amours immaginaires trova un corrispettivo scritto all’interno della letteratura. Infatti, il film è la trasposizione cinematografica ed esperenziale dei concetti e delle enunciazioni amorose presenti nel libro Frammenti di un discorso amoroso di Ronald Barthes.
Anche questa volta il collegamento non soffre di alcuna forzatura intellettuale: Nicolas in una scena silenziosamente significativa, in cui i tre protagonisti si trovano all’interno di una libreria, legge una parte dell’opera sopracitata. La corrispondenza tra il testo filmico e quello letterario risulta, inoltre, ineludibile ad un’analisi di quest’ultimo. Frammenti di un discorso amoroso si struttura come una sorta di glossario che racchiude tutte le parole che rappresentano le azioni puntualmente compiute da un innamorato, ordinate da Barthes in ordine alfabetico per non incorrere in alcuna gerarchia o inconsapevole giudizio. Barthes non stila alcuna filosofia amorosa, ma si limita ad enunciare i comportamenti soliti di chi ama, ricorrendo a pensieri e conversazioni personali o estratti e poetiche di romanzi occidentali. Attraverso un realismo assoluto, Barthes rende idilliaca una materia apparentemente molto banale.
Dolan traspone sullo schermo gli enunciati barthiani, sia attraverso le immagini che compongono la progressione della storia, sia all’interno dei racconti verbali riferiti dai falsi intervistati di cui la regia si serve per completare e commentare la riflessione sulle (in)coscienze amorose. Analizzare ogni nodo narrativo in cui Dolan si serve della poetica contenuta ne i Frammenti di un discorso amoroso sarebbe un lavoro troppo prolisso, per cui di seguito saranno esposti i punti d’incontro principali tra le due opere. In primis, un capitolo del libro è titolato Amare l’amore, qui Barthes argomenta il significato che assume nel contesto amoroso la parola “Annullamento. Accesso di linguaggio durante il quale il soggetto giunge ad annullare l’oggetto amato sotto il volume dell’amore stesso: con una perversione propriamente amorosa, il soggetto ama l’amore non l’oggetto”. La totale corrispondenza tra tutta la poetica de Les amours immaginaires e tale enunciato risulta, a questo punto, più che evidente. Più avanti nel testo leggiamo che Barthes scrive dell’atteggiamento tipico dell’innamorato di cui si è detto all’inizio di questo approfondimento: si usa la persona “amata” come un oggetto pretestuoso e si costruisce intorno ad esso un’aura che non esiste (“io desidero il mio desiderio”[…] “sacrifico l’Immagine all’Immaginario”). In un altro capitolo Barthes definisce le tappe dell’Incontro (“il periodo felice che è immediatamente seguito al primo smarrimento, quando ancora non erano sorte le difficoltà del rapporto amoroso”); tali tappe, dunque, le ritroviamo nell’avventura di Francis, Marie e Nicolas. Prima tappa, la cattura, “io sono rapito da un’immagine”; seconda tappa, il “susseguirsi d’incontri (appuntamenti, telefonate, lettere, viaggetti)”, Dolan non si lascia sfuggire neanche uno di questi elementi; terza tappa, “sofferenze, dolori, angosce, sconforti, rancori, impacci e tranelli”. Le tre fasi dell’incontro esposte da Barthes potrebbero rappresentare la log-line di Les amours imaginaires.
Nel capitolo dedicato al termine Abito, ritroviamo il testo di cui si fa elogio la sequenza in rallenti, con Bang Bang in sottofondo, in cui Fancis e Marie si preparano per incontrare il loro amato. Barthes parla, ovviando ad ogni giudizio di banalità nei confronti della consueta azione dei “preparativi ai quali viene sottoposto il condannato a morte prima di essere condotto al patibolo”.
Si potrebbe procede con quasi ogni capitolo del libro – ritroviamo in Barthes: gli atti usuali dell’innamorato, come l’uso feticistico di oggetti appartenenti al proprio innamorato (vedi la scena in cui Francis rimane solo a casa di Nicolas); le sensazioni provocate da un fortuito contatto della pelle (vedi il momento in cui i tre amici si risvegliano nello stesso letto); l’importanza della dedica e del dono materiale all’innamorato; l’atto di scrivere all’amato una lettera d’amore e attenderne bramosi una risposta. Di evidente ispirazione barthiana sono anche i dialoghi dei ragazzi che si confessano in una dimensione di finta extradiegesi.
Dunque, Les amours imaginaires è testimonianza fedele del fatto che il cinema possa contenere in sè tutte le altre arti. Dolan stratifica l’opera su più livelli di lettura, semina indizi per la ricostruzione della sua poetica, cosparge l’immagine di segnali che invitano lo spettatore ad andare più a fondo. Si serve di tutta una cultura visiva, musicale e letteraria. Compone così un’opera d’arte che parla di arte. E di amore, e dell’essere umano, nella dimensione più autentica e genuina della sua esistenza.