A ottobre 2021, il celebre comico e regista campano ha pubblicato per Rizzoli C’era una volta. La fiaba un po’ storta di un incontro incredibile (224 pg.), dedicato alla lunga parabola esistenziale e artistica vissuta al fianco di Massimo Troisi. Sui rapporti tra i due comici, dai fasti de La Smorfia ai film come Ricomincio da tre e Scusate il ritardo, sembrava essere stato detto tutto, forse anche troppo. E invece con questo nuovo volume, Arena riesce a sorprenderci, con un ritratto innovativo sul mai dimenticato comico napoletano, sottolineandone i momenti felici ma anche quelli meno piacevoli, oltre che alcuni rimpianti. Dal 1987 in poi, infatti, Troisi e Arena, per una serie di vicissitudini riportate puntigliosamente nel volume, interromperanno i rapporti; da quel giorno in poi, grande è il rammarico da parte di Lello nel non aver più incontrato Massimo, che morirà prematuramente sette anni dopo.
A due anni di distanza dal suo ultimo libro, Napoli, tu e io, lei torna alla carica con questo ritratto del suo rapporto con Massimo Troisi. Da quanto tempo stava pensando di farlo?
Non è stata una mia idea, ma di Lydia Salerno, una delle editor più “scatenate” della Rizzoli, che mi ha raggiunto a Roma spiegandomi perché avrei dovuto scrivere questo libro. Mi ha dato due anni di tempo, e tanti ce ne sono voluti, forse anche qualche mese in più, per completare il lavoro. Il riscontro di pubblico e critica è stato positivo. Lydia ha avuto un’ottima intuizione.
Ho letto in alcuni libri che tra i divertiti spettatori del trio La Smorfia c’erano anche i Fratelli De Filippo, Eduardo e Peppino. Come andarono questi incontri?
Per la verità Eduardo non ci vide in teatro, ma in televisione. Eravamo a Roma e ci fece convocare dal suo impresario, Carlo Molfese, per un colloquio personale che durò una decina di minuti. In seguito ci siamo incontrati qualche altra volta, in occasioni pubbliche per esempio. Peppino no, non venne mai a vederci in teatro e non lo abbiamo mai incontrato. Sono imprecisioni, e talvolta bufale, presenti in molti libri. Io stesso ne ho riscontrate parecchie durante la stesura di questo mio volume. Per ricordare meglio alcune cose, anche io ho consultato tutte le monografie a noi dedicate, e se dicessi quante pagine ho “stracciato” perché piene di inesattezze, ci sarebbe da fare notte.
Nel suo libro lei parla anche del suo rapporto con Monicelli, che l’ha diretta in Bertoldo Bertoldino e Cacasenno. Mi piacerebbe avere anche qualche ricordo di Ugo Tognazzi e Alberto Sordi, con cui ha girato quel film.
Diciamo che recitare a fianco di due mostri sacri come quelli per me poteva essere una cosa “ingestibile”, dato che ero ancora quasi agli esordi. Poi loro erano molto amici, ed erano entrambi amici di Monicelli, con cui avevano una consuetudine di rapporto. Era ovvio, quindi, che loro si prendessero delle libertà nel comportamento, qualche presa in giro, ecc… ci trattavano come matricole, giustamente. Con Alberto Sordi ci conoscevamo già, perché Ricomincio da tre era prodotto da Fulvio Lucisano, che in quel momento stava producendo anche Io e Caterina di Albertone. In quel periodo ci incontrammo in moviola, avendo modo di discutere di tante cose. Ci incrociammo anche al Festival di Cannes, sempre nel 1981.
Lei e Massimo eravate anche amici di Vittorio Gassman?
Tra me e Vittorio c’era una bella amicizia, se così si può chiamare. Quando lavoravo al Maurizio Costanzo Show, lui era impegnato nelle Serate d’Onore al Teatro Parioli di Roma. A presentarci fu Paila Pavese. Mi ricordo che una sera, alla fine del suo spettacolo, consegnò delle targhe denominate “gli amici del sorriso”, destinate ai personaggi che lui stimava di più. In seguito, si sentì molto a suo agio con me; ridevamo, scherzavamo. Ogni tanto si divertiva a intervenire tra un intervallo e l’altro della nostra compagnia, improvvisando battute del tipo, “abbiamo già perso un’ora della nostra vita con il primo tempo, ora ne perdiamo un’altra!”. Non so se Vittorio e Massimo fossero amici.
Lei ha preferito non parlare di Troisi, riguardo al periodo in cui non avevate più rapporti. Anche per questo non ha voluto dire la sua sui suoi ultimi film?
Certo. Ho preferito non riportare nulla di quello che mi è stato raccontato, per affidarmi esclusivamente alla memoria personale, alle cose che ho potuto vivere direttamente. Altrimenti avrei finito per tramandare notizie e sensazioni raccomandate da altri, che a volte sono un telefono senza fili molto pericoloso. Una cosa che mi ha colpito è stato il tentativo da parte di molti giornalisti di “censurare” che io e Massimo avessimo interrotto i rapporti nel 1987… quasi come se non si potesse dire una cosa simile. Invece nel libro l’ho scritto, perché è giusto che i lettori conoscano la realtà dei fatti, la storia vera.
Come nasce l’idea del suo esordio da regista Chiari di luna?
Avevo un contratto in Mediaset per cui avrei dovuto fare uno spettacolo da conduttore, oltre che un film all’anno. C’era un buon budget a disposizione, e Chiari di luna è stato il primo. Era una storia di solitudine, quasi mai raccontata all’interno di un film comico. Volevo raccontare con tenerezza delle persone che pubblicamente fingono di essere quello che non sono, salvo poi svelare la loro sincerità solo nella vita privata. Non è il mio film più famoso, ma uno dei più visti sì… negli anni successivi è stato trasmesso molte volte.
Tra una pubblicazione del 2000, Totò, Peppino e ho detto tutto, un’altra nel 2008, Totò è sempre Totò e la serie DVD Antotologia di due anni più tardi, lei è anche un gran divulgatore di Totò. Troisi disse a Ennio Bìspuri che per lui l’apice della comicità erano i duetti tra Totò e Peppino, lo diceva anche a lei?
Beh, io e Massimo siamo cresciuti vedendo e rivedendo il cinema di Totò, i nostri sketch sono il “superamento” di quella cosa… nel senso che non possono essere un’imitazione assoluta, bensì la base della nostra comicità. I film con Totò e Peppino De Filippo sono stati senz’altro il più grande studio della nostra gavetta. Anche Ficarra e Picone, in tempi più recenti, hanno fatto la stessa cosa e questo, credo, valga per ogni nuovo sistema comico, prendere la lezione del passato senza imitarla completamente. I lavori che hai citato sono la dimostrazione della mia eterna ammirazione per il Principe De Curtis; pensa che ho realizzato un’altra antologia, mai pubblicata, dalla durata di 4 ore e mezza. Sto ancora aspettando che veda la luce!
Massimo diceva che “il tempo più bello è quello che si perde!”
Diciamo che è una frase che fa parte del personaggio, perché il tempo che Massimo perdeva, tecnicamente, per la realizzazione delle sue opere era parecchio. Nella fase di gestazione di un film spendeva un bel lasso di tempo che poteva sembrare un “vuoto”, ma solo apparentemente, perché in realtà era una ricerca di pensieri e raccolta di elementi all’interno alla vita di tutti i giorni, e che poi, elaborandole, si trasformavano nelle creazioni a cui ci ha abituato. Si è a lungo dibattuto sulla “pigrizia” di Massimo, in questo senso.
Ha mai conosciuto Federico Fellini?
Sì, sempre attraverso Monicelli. Una sera sono stato a cena con entrambi. In seguito, l’ho incontrato anche con Nicola Piovani in un’osteria di Piazza del Popolo. Incontri spettacolari, pieni di elementi divertenti e irripetibili. Quando tolsero a Fellini l’ufficio che aveva da anni a Cinecittà, ricordo che Pietro Garinei gliene diede uno all’interno del Teatro Sistina, alle spalle del palcoscenico. In quello stesso periodo recitavo spesso lì, e ogni tanto vedevo Federico salutarci.
Secondo lei esiste ancora un vero e proprio cinema partenopeo ai giorni nostri?
Fin troppo. Ormai anche quelli che non sono napoletani cercano di esserlo, oppure di usufruire delle maestranze napoletane, perché hanno un forte impatto sul pubblico. Purtroppo, non vedo molte altre scuole di recitazione rilevanti nel cinema italiano. La scuola toscana, ma anche quella emiliana e altre si sono spente… a parte quella siciliana, che vanta ancora ottimi protagonisti, ma anche comprimari, figuranti, ecc… La napoletanità, comunque, si mantiene sempre a galla.
Molti vedono in Alessandro Siani il successore di Troisi, che ne pensa a riguardo?
I grandi artisti sono irripetibili. Quando a Massimo lo chiamavano l’erede di Eduardo, giustamente, si scherniva. La stessa cosa vale per Siani. Non c’è bisogno di “un altro” Troisi ai giorni nostri, così come non c’è bisogno di un altro Eduardo, o un altro Totò.
Lo stesso Siani, infatti, disse “Troisi era Dio, io sono il chierichetto”.
Certo, ma poi sarebbe riduttivo per lo stesso Siani ridurlo a una copia di Massimo.
Le è piaciuto I fratelli De Filippo di Sergio Rubini?
Mi è sembrato un prodotto onesto, realizzato con una certa grazia. Però anche questa, così come Qui rido io di Mario Martone, sono quelle operazioni che dovrebbero osare un po’ di più. Al contrario, in questi film, cercano di raccontare solo le cose belle della vita dei personaggi, tralasciando gli aspetti negativi. Ad esempio, sei vai a leggere la biografia di Peppino De Filippo, Una famiglia difficile, scopri una realtà dei fatti, ahimè, ben più cattiva.
Le farebbe piacere una fiction su Massimo?
Direi di no. Me ne occupai già parecchi anni fa, quando me la propose Pietro Valsecchi; ci opponemmo un po’ tutti, facendolo ragionare che, nel raccontare una storia come la nostra si sarebbe rischiato di cadere nella parodia.
Come giudica l’importanza di Netflix, Amazon Prime e cose simili? Potrebbe essere una svolta anche per il nostro entertainment locale o, al contrario, preferisce la sala cinematografica?
Preferisco la sala. Però quando vedi prodotti realizzati con una certa serietà destinati ai nuovi format, come Gli incastrati di Ficarra e Picone, e che risultano vincenti, non può che farmi piacere. In fin dei conti realizzare una serie non vuol dire mettere da parte il mezzo cinematografico. Soprattutto, non bisogna avere mai paura di utilizzare i nuovi mezzi a disposizione, specialmente quando hai tra le mani una buona storia!