Immergendoci sempre più nel tentacolare panorama mediale contemporaneo affiora che gli innumerevoli canali di fruizione (Netflix, Amazon prime, Apple+…) offrono ottime vie per allargare il discorso critico a proposito di opere cinematografiche recenti e lontane, mainstream e dal sapore impegnativo. A seguito dell’11 Settembre sono tanti i film che ripercorrono tragedie del passato – con personaggi storici che hanno lasciato un segno indelebile nelle nostre anime e contesti che ancora oggi sono oggetto di interesse – e proprio il crollo delle Torri Gemelle costringe a riconsiderare in senso critico opere che all’apparenza suonano semplicemente film storico-politici, thriller, storie d’amore ecc. Il capolavoro di Florian Henckel von Donnersmarck, Le vite degli altri (2006, trailer), è un tributo al cinema mainstream, tedesco e internazionale, che ripercorre la tragica vicenda di personalità della Germania Est prima della crollo del muro di Berlino nel 1989 (con un piccolo accenno al dopo) e che in qualche modo assurge a testimonial di un corso metastorico-sociale: come gli eventi dell’11 Settembre 2001, anche quelli della caduta del muro hanno costretto la popolazione mondiale ad una rivoluzione coscienziale.
Se Wolfgang Becker nel 2003, con Good bye Lenin, narra – sempre con un tuffo nel passato – le conseguenze e gli effetti del difficoltoso ricongiungimento tra l’ex Repubblica democratica tedesca (DDR) e quella Federale (BRD) sul popolo tedesco, il regista de Le vite degli altri opta per raccontare la rivoluzione tutta interiore del meticoloso capitano della Stasi (la Polizia dello Stato socialista tedesco) Gerd Wiesler (Ulrich Muhe) – incaricato di indagare sul drammaturgo Georg Dreyman (Sebastian Koch) e sull’attrice Christa-Maria Sieland (Martina Gedeck) – che diviene punto nevralgico per quella rivalutazione delle coscienze, accennata sopra, sia prima che dopo la caduta del muro.
Molte sono le scene in cui vediamo Wiesler spiare e controllare le azioni dei due amanti, in un castrante e soffocante percorso di adempimento ai propri doveri. Eppure queste sono le scene che più rivelano gli stati di reclusione emotiva e di abbandono affettivo a cui è costretto anche il capitano, simbolo ciò di un impellente bisogno di vita all’infuori del nascondiglio (o se vogliamo della Germania Est). Il suo progredire verso la luce della rivoluzione coscienziale lo rende meta-personaggio di un discorso storico-sociale che abbraccia sicuramente la Germania pre e post 1989, ma anche e soprattutto il mondo pre e post 2001.
Senza perdere di vista l’effettivo peso dei due eventi possiamo affermare che, come il crollo delle Torri Gemelle ha costretto la collettività ad una rivalutazione coscienziale (in molti paesi, a malincuore, ciò si è tradotto nell’interventismo e nella militarizzazione esasperata), così il crollo del muro di Berlino ha suggellato l’impellente necessità dell’individuo ad evadere dallo stato di sottomissione. Il cambio della guardia di Wiesler non è repentino, ma scaturisce – sempre con la caotica calma del protagonista – nel momento in cui scopre che neanche le alte cariche dello Stato sono portatrici dei sani valori tanto chiacchierati. Florian Henckel von Donnersmarck costruisce l’autentico percorso di rinascita e redenzione di un pentito, il cui sguardo d’acciaio trafigge le inquadrature e non manca di sorprendere quando legge la raccolta vietata delle poesie di Bertolt Brecht. In definitiva quella de Le vite degli altri è un’odissea di amore e desiderio fatta mainstream affinché la rivoluzione coscienziale del protagonista – individuo del mondo che assurge a collettività – raggiunga tutti.