21 ottobre 1961: una data da ricordare, un sabato sera diverso per i fortunati che riuscirono ad accendere il televisore e guardare quel nuovo programma in diretta, uno spettacolo che diede un volto nuovo alla prima serata del Programma Nazionale. Questa magia avvenne in uno studio televisivo di via Teulada a Roma ad opera di una colonna portante del varietà e della televisione: Antonello Falqui. Grazie a lui e ai suoi programmi sono venuti alla luce personaggi del calibro di Nino Manfredi, Franca Valeri, Rita Pavone, il Quartetto Cetra, che da quel momento in poi avrebbero popolato in maniera sempre più frequente il piccolo schermo. Tra questi si sono distinte e rimangono inarrivabili ancora oggi due donne che non sono state soltanto dei simboli della televisione italiana, ma delle rappresentanti della cultura pop: Mina e Raffaella Carrà.
Con una mossa da maestro, Falqui propose ad entrambe la conduzione di Milleluci, un programma che avrebbe preso il via nel 1974, consapevole della sua riuscita grazie alla perfetta combinazione di due showgirl vere e proprie. Mina, infatti, aveva già dato prova del suo essere donna di televisione con la conduzione di Studio Uno e Raffaella sembrava essere nata apposta per quel ruolo che poi infatti avrebbe ricoperto in altri storici programmi della Rete Ammiraglia. L’opera di Falqui e del suo collega Guido Sacerdote ha fatto sì che nascesse in Italia, negli anni del boom economico e dell’influenza americana, un modello di varietà curato in ogni minimo dettaglio, uno spettacolo che molto aveva a che fare sia con il teatro che con il cinema, il mondo dal quale Falqui proveniva. Costumisti, macchinisti, ballerini, cantanti e i vari ospiti sarebbero stati i componenti di un cast libero di muoversi all’interno di uno studio volutamente scarno, senza scenografie esagerate, con gli strumenti di lavoro a vista, riempito soltanto dalla bravura dei protagonisti e del loro regista.
Studio Uno, Milleluci e Canzonissima sono stati i programmi del nuovo sabato sera, format televisivi innovativi per l’epoca, volti a rappresentare una nuova funzione del mezzo televisivo in grado di non essere soltanto educativo o informativo ma anche fonte di evasione e di divertimento. Il varietà degli anni Sessanta, secondo Antonello Falqui, doveva stimolare il senso critico e il buon gusto degli italiani con un’elevata dose di eleganza ma al tempo stesso con leggerezza. Ecco spiegato un alto indice di gradimento da parte di tutte le fasce di pubblico che non trovava nel cinema d’autore di quel periodo quegli elementi che invece la televisione era pronta ad offrire: il distacco dai problemi della realtà e l’abbandono totale a qualche ora di musica e risate, caratteristiche che in qualche modo il cinema avrebbe riportato sullo schermo con la commedia all’italiana.
Mamma RAI aveva decisamente preso un’altra piega rafforzata anche da quell’evento capace di incarnare la cultura popolare, ancora oggi unico vero specchio della nazione: il Festival della Canzone Italiana che più recentemente, soltanto in pochissime edizioni, è stato in grado di ricalcare le orme del vecchio varietà. In questi ultimi anni, infatti, è evidente come il sistema televisivo odierno venga oramai snobbato e non guardato da un pubblico eterogeneo perché giudicato troppo vecchio, troppo “trash”, troppo noioso, un mezzo che è nella maggior parte dei casi scartato rispetto ai nuovi media e a nuove proposte offerte da altre piattaforme. Alla luce dei fatti forse bisognerebbe lanciare una sfida ai dirigenti di tutte le reti: ritrovare quell’equilibrio di un tempo offrendo una televisione di informazione e di evasione mantenendo però quell’eleganza e quel buon gusto così tanto cari ad Antonello Falqui. In questo modo, magari anche un quindicenne di oggi ritornerà a passare il suo tempo libero senza il bisogno di andare oltre i tasti del telecomando.