Trent’anni fa la magia del cinema di Quentin Tarantino muoveva i primi passi con Reservoir Dogs (Le Iene, 1992), una pellicola simbolo nel panorama cinematografico indipendente, ma anche primo storico successo della carriera del famoso regista. È risaputo come il budget iniziale del film fosse di appena 30.000 dollari e solo dopo l’ingresso di Harvey Keitel (Mr. White) si arrivò ad oltre un milione. Con Le Iene, Tarantino debutta anche come attore, pur ricoprendo un ruolo marginale.
Il poco budget a disposizione non toglie granché alla qualità del film, che mette in campo quelli che saranno i punti di forza della regia tarantiniana, dal linguaggio scurrile alla violenza quasi gratuita, passando per il marcato black humor nei dialoghi. Le ottime performance attoriali e il ritmo narrativo avvincente mettono in secondo piano alcuni problemi tecnici di audio o di ripresa, regalandoci una pellicola che tiene incollati allo schermo dal primo all’ultimo minuto, senza farci rendere conto del tempo che passa.
Per il suo primo lungometraggio Tarantino compie la coraggiosa scelta di raccontare la storia in modo non lineare, presentandoci gli eventi precedenti e successivi alla rapina (snodo cruciale della storia) in ordine non cronologico. Il ritmo narrativo non è minimamente danneggiato da questa scelta e l’ordine attraverso il quale gli eventi sono combinati si sposa perfettamente con lo stile visivo e narrativo dell’opera. Il risultato è dunque un film coinvolgente, in grado di mantenere alta la soglia di attenzione spettatoriale per tutta la durata del film.
Una rapina di diamanti finita male è il fulcro attorno cui ruotano le storie dei protagonisti. A tutti è stato assegnato il nome di un colore: Mr. White (Harvey Keitel), Mr. Orange (Tim Roth), Mr. Blonde (Michael Madsen), Mr. Pink (Steve Buscemi), Mr. Blue (Edward Bunker) e Mr. Brown (Quentin Tarantino). Sono solo tre, tuttavia, gli episodi che si intrecciano passando per questo evento, la storia di Mr.White, Mr.Blonde e Mr. Orange. Se per quest’ultimo personaggio il regista sceglie di andare un po’ più nel dettaglio, raccontandoci la sua preparazione per infiltrarsi nel gruppo come poliziotto, per gli altri due non va molto nello specifico, trattando le loro storie solo superficialmente.
Non si può non approfondire la grande attenzione di Tarantino per i dialoghi, che, seppur caratterizzati da un linguaggio sporco costante, si sposano perfettamente alle situazioni rappresentate nel film. Il grande uso del black humor dietro a svariate battute è utile per caratterizzare al meglio i personaggi. La mole di violenza presente nella pellicola è un elemento tanto controverso quanto stilisticamente interessante e identificativo, che ritroveremo in tante altre pellicole di Tarantino, come Django Unchianed e The Hateful Eight.
L’ambiguità morale dei personaggi è un ulteriore punto di interesse nel film. Tarantino mette in mostra dei protagonisti che sono anche antagonisti, con nessuno nel giusto e tutti nel torto, chi per un motivo e chi per un altro. Lo spettatore non riesce ad immedesimarsi pienamente nei personaggi presentati, proprio per via di questa ambiguità. Le scelte morali dei vari protagonisti portano ad un distanziamento emotivo di chi guarda, specialmente nella cruda sequenza della tortura del poliziotto.
A distanza di trent’anni dalla sua uscita in sala, Le Iene rappresenta ancora oggi uno dei punti più alti della carriera di Tarantino, nonché un film coinvolgente e in grado di appassionare lo spettatore alle vicende rappresentate, strappando anche qualche riflessione morale. Le Iene rappresenta dunque l’embrione del cinema tarantiniano, che in questi tre decenni ha saputo evolvere e migliorarsi di opera in opera.