Laurence Anyways (qui il trailer), terzo film dell’ancora giovanissimo Xavier Dolan, viene presentato nel 2012 nella sezione Certain Regard del festival di Cannes, vincendo la Queer Palm, mentre Suzanne Clément (una delle attrici feticcio del regista) conquista il meritato premio come migliore attrice. Con Laurence Anyways Dolan compie un passo avanti sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo: il film sfiora la durata delle tre ore, si serve di un attore protagonista già affermato nel panorama francese (Melvil Poupaud), e dispone di un ingente budget rispetto ai lavori precedenti.
Laurence è un professore di letteratura al liceo, uno scrittore esordiente ed un fidanzato amabile. Fred è una donna forte e carismatica, lavora nella produzione di pubblicità televisive. Laurence e Fred si amano in modo incondizionato. È uno di quegli amori liberi e puri, un rapporto in cui non sono ammesse convenzioni e giudizi sociali. Vivono nella loro ideale isola formata da distese di ghiaccio, luogo mentale isolato dagli sguardi inquisitori della società. Un giorno, però, qualcosa cambia. Laurence si rende conto che non può più fingere davanti al mondo e mentire a se stesso. Laurence si sente una donna imprigionata nel corpo di un uomo, un corpo al quale sta rubando la possibilità di essere tale. Mentre a lui viene sottratta, da trentacinque anni, la possibilità di apparire come la donna che si è accorto di essere. Quando, attraverso un dialogo da brividi, accompagnato da una fotografia folgorante, Fred viene a conoscenza della situazione, pare che il mondo le crolli addosso. La donna sente che la loro storia sia una bugia, pensa vano tutto ciò che è accaduto tra loro. Tuttavia, lei ama davvero Laurence ed in un primo momento decide di rimanergli accanto per sostenere la sua scelta.
Dolan sviluppa la storia del cambiamento lungo un arco narrativo di dieci anni, dal 1989 al 1999. Si tratta di quegli anni in cui il mondo avrebbe dovuto essere pronto ad accogliere e rispettare le scelte personali e intime legate alla sessualità di un uomo o di una donna, “la nostra generazione è pronta a questo” dice Fred in una scena. Ma non è così, il mondo di Laurence non è preparato ad accogliere la sua diversità. Il film si apre con un voice over su sfondo nero, si tratta della voce di un intervistato di cui non vediamo il volto. Per la terza e non ultima volta nella filmografia dolaniana, il film presenta subito una confessione. Una persona si racconta, palesa il proprio inconscio, mentre l’obiettivo meccanico, come un ascoltatore oggettivo, lo psicanalizza (lo avevamo visto con le video-confessioni in bianco e nero del Dolan attore in J’ai tuè ma mére e le finte interviste psicanalitiche in Les amours immaginaires). La storia di Laurence Anyways è un flashback lungo dieci anni.
Nella prima sequenza una donna inquadrata di spalle cammina per la strada con aria fiera. Si muove all’interno di una fitta nebbia che ne nasconde l’identità. Dolan ci mostra un catalogo di volti in primo piano: espressioni di uomini e donne di ogni età che fissano quella figura e, guardando in macchina, osservano anche noi spettatori. Lo sguardo inquisitorio del gregge sociale sta giudicando contemporaneamente sia quella donna, nella quale l’istanza narrante ci porta ad immedesimarci, sia, di conseguenza, tutti noi. Noi parte della società, noi alle volte vittime alle volte carnefici, noi diversi in qualcosa. Noi tutti che mentre osserviamo veniamo osservati, costantemente. Noi pubblico che mentre percepiamo l’identificazione con il soggetto che vorrebbe non essere osservato e giudicato, non ci accorgiamo di appartenere anche a quel gruppo di occhi sentenziatori.
In questa scena si rivela il fulcro tematico di Laurence Anyways. È un film sugli sguardi, un film sulla dialettica tra la presenza costante di uno sguardo sociale, intimamente giudiziario, e l’impossibilità di essere visti davvero, per quel che si è dentro. Bisogna scegliere tra due libertà: la libertà di essere parte della società senza essere costantemente alla mercè di una sentenza personale da parte degli altri, o la libertà di essere se stessi vivendo nell’emarginazione sociale. Per dirla con le parole della scrittrice Margaret Atwood, che ha ben poco in comune con il regista ma esplica perfettamente il concetto su cui stiamo lavorando: “esiste la libertà di e la libertà da”. Usare la parola “libertà” in questo contesto è funzionale a far risuonare la paradossalità della questione e a rimarcare la possibilità di sostituire tale vocabolo con il termine “prigione”. Bisogna scegliere tra due prigioni: la prigione le cui sbarre sono rappresentate dallo sguardo di una collettività ansiosa di ricordare ai “diversi” si essere reietti, o la prigione del proprio corpo, quella prigione fatta della pelle custode di un’anima che mente a se stessa. Cos’è meno doloroso? Essere vittime delle convenzioni sociali o essere vittime di se stessi e delle proprie paure?
All’interno della prigione del proprio corpo si rischia di morire. Laurence sente che sta morendo la sua essenza, il suo vero io. Sente che è arrivato il momento di una rinascita che sovvenga ad ovviare ad un’imminente morte. Infatti, il protagonista si isola spesso in un cimitero per riflettere. Questo luogo non è solo una visualizzazione ambientale della sua sensazione di morte interiore. La sua figura, appoggiata ad un albero, in mezzo a tante lapidi, diventa di marmo. Laurence diventa il simulacro scultoreo di se stesso, quello è un corpo morto. La persona che urla la sua essenza in nome della libertà all’interno di quella carne ancora calda non è proprietaria di quel corpo senza più una vita esteriore, che si confonde in mezzo alle altre lapidi.
Laurence, come dirà attraverso la voce fuori campo che accompagnerà tutto il film, si sente sott’acqua, senza fiato, in asfissia. Così, durante i festeggiamenti del suo trentacinquesimo compleanno, Dolan ci regala una delle inquadrature molto care nei suoi film, attraverso la quale viene visualizzato un sentimento. Nella scena citata, a differenza di quanto è solito fare il regista, la costruzione visiva di un’emozione è inscritta in una diegesi realistica (tuttavia non mancheranno neanche in questo film le immagini oniriche). Si tratta di un’inquadratura che imprigiona e annega il volto di Laurence all’interno di un bicchiere d’acqua. La durata dell’inquadratura lascia il tempo di riflettere sulla referenzialità interiore dell’immagine, che, come sempre in Dolan, esula da un mero estetismo. Un altro momento, di portata di gran lunga più emozionale, in cui l’ambiente partecipa alla dimensione interiore dei personaggi (e degli spettatori), lo ritroviamo nella scena in cui Laurence e Fred sono in macchina ad un autolavaggio. Lei gli ha regalato una piccola fuga d’amore a New York per il suo compleanno, ma lui non vuole andarci, non può più far finta di niente, deve urlare al mondo il suo malessere. Così, Laurence ha un attacco di ira irrequieta durante il quale urla a squarciagola la verità a Fred. Le sue grida e l’irruenza dei suoi gesti sono enfatizzati, intensificati e sublimati dalle violente e rumorose spazzole dell’impianto dell’autolavaggio che urtano ferocemente sull’automobile. La scena acquista una potenza visiva e sensoriale di notevole impatto. Subito dopo Laurence dirà a Fred “sto per morire”, generando un istante di incomprensione, ma esplicitando pienamente l’essenza più profonda dei suoi sentimenti. L’uomo di Laurence e Fred sta per morire.
Uno dei maggiori punti di forza di Laurence Anyways sono i dialoghi. Le parole urlate, le parole sussurrate, quelle trattenute tra i denti e quelle lasciate esplodere dopo anni di repressione. I dialoghi racchiudono gran parte del capitale concettuale del film. Nel primo confronto “post-mortem” tra Fred e Laurence (cioè dopo che il protagonista è finalmente riuscito a rivelare il suo desiderio di uccidere il suo lato maschile), le parole di entrambi costeggiano tutti i motivi tematici. Fred arriva da Laurence carica di rabbia ed esordisce con “perché non mi hai detto che sei omosessuale?”, Laurence le spiega che non è così. Infatti, fin ora non si è detto, Laurence non cambierà mai orientamento sessuale, e non smetterà mai di amare Fred. In questa scena la ragazza indossa una camicia con i colori dell’arcobaleno, che ricordano molto le bandiere delle manifestazioni LGBT, forse la scelta dell’abito simboleggia che lei possa essere pronta per accusare questo colpo ed accogliere la diversità del suo amato.
Come sempre, Dolan conferisce grande rilievo alla semantica dei colori. Nel loro scambio di battute Laurence esprime la sua sensazione di prigionia all’interno di un corpo che non gli appartiene: “non sono io. Sono trentacinque anni che vivo così ed è un crimine. Un crimine sulla coscienza. Io sto rubando la vita di un altro, di chi dovevo essere quando sono nato” e Fred risponde “stai dicendo che odi tutto quello che amo di te”. “Ami solamente quello di me?” le domanda Laurence. Il film impone una riflessione sull’amore vero, quello che esula dalle prerogative fisiche del soggetto amato. Ciò che si ama è la persona, aldilà della sua forma, del suo aspetto. Fred dovrà lottare, sarà uno scontro interiore tra il suo amore per Laurence in quanto persona ed il suo desiderio di essere guardata ed amata da un uomo. Segue un’immagine d’insieme che evoca, ancora una volta, l’arte figurativa o la fotografia. Colori sgargianti suggellano i due personaggi in un’inquadratura suggestiva, ove il corpo nudo ed irreale di Laurance si accascia accanto alla figura affranta ed esplosiva di Fred.
Più avanti, nella sequenza in cui per la prima volta Laurence si presenta a scuola nelle vesti di donna, il gioco di sguardi estranei ripresi in primo piano torna come leitmotiv concettuale. In questa sequenza ci sono due momenti importanti per la costruzione della filiera tematica del film. Laurence entra in classe e si pone sotto lo sguardo dei suoi studenti. Silenzio e tensione impregnano la scena. L’asfissia dialogica viene interrotta da una studentessa che pone al professore una domanda sul programma didattico. I giovani sono pronti per questo, a differenza degli adulti loro sono capaci di accogliere la libertà altrui senza sentenze intimidatorie. Poco dopo Laurence è in mensa, un collega si avvicina a lui e gli sussurra “cos’è? Una specie di ribellione?” (qui torna in primo piano l’importanza delle parole) Laurence risponde “no, è una rivoluzione!”.
Come accade in tutta la filmografia di Dolan, il ruolo della madre del protagonista è centrale. Il rapporto madre-figlio è frastornato. Laurence si reca dalla donna per confessarle il suo desiderio e lei inizialmente non lo accetta, ma non può smettere di amarlo. La figura paterna, come spesso succede in Dolan, è assente, non accetta mai il figlio. In un dialogo successivo tra madre e figlio quest’ultimo le rivelerà di non averla mai considerata come una madre, ma come una donna che viveva in casa sua.
Fred, nonostante tutto, capisce di essere troppo innamorata di Laurence e decide di accompagnarlo nel suo cambiamento. Lo incoraggia ad affrontare la società e gli regala una parrucca femminile che l’uomo indossa solo per far piacere a lei e non perché voglia travestirsi. Quella di Laurence non è una maschera, ma un sentimento. La resilienza di Fred implode ed esplode in una scena in cui i due amanti sono seduti in una tavola calda. Ancora una volta, tutti gli sguardi sono posati su Laurence. Una cameriera indiscreta avanza osservazioni sull’aspetto dell’uomo e gli rivela le domande che il personale si sta ponendo in cucina in relazione al suo aspetto. A questo punto Fred è stremata ed esplode in un attacco di ira contro la donna, la quale, come le fa notare Fred, non è capace di guardarla negli occhi mentre le parla. Poeticamente, la scena esibisce la dialettica tra l’atto di guardare per giudicare e l’incapacità di guardare per riconoscere.
In seguito, Fred, che non sopporta più di dover sotterrare i suoi desideri più “convenzionali” per amore di Laurence (come quello di avere un uomo), si reca ad una festa dell’alta società. Trucco, pettinatura e vestito collaborano alla creazione di una miscela esplosiva che fanno di Fred un sensazionale oggetto di sguardo veneratore da parte degli invitati. Di nuovo una sequenza che passa in rivista una serie di primi piani di osservatori ammaliati (tra i quali figura un cameo dello stesso Dolan). Per la prima volta dopo tanto tempo, gli occhi sono posati sulla donna, la cui figura si estranea dall’ambientazione realistica per entrare in una dimensione spettacolare, una parentesi sospesa, nella quale lei diviene il centro dell’attenzione sociale. Questa scena, inscritta nello spazio reale e allo stesso tempo estranea ad esso, è un viaggio nella mente di Fred: percepiamo quelli sguardi come li percepisce Fred.
L’onirismo dolaniano si manifesta intensamente all’interno di due scene di forte impatto visivo. In Laurence Anyways gli stati d’animo dei personaggi invadono violentemente l’immagine realistica. Dopo varie vicissitudini Fred lascia Laurence per costruirsi una vita tradizionale, sposa un uomo e corona il suo sogno di essere madre (dopo aver tanto desiderato di avere un figlio dal protagonista). Un giorno Fred riceve il libro che finalmente Laurence ha finito di scrivere. Quelle poesie si avventano sull’anima della donna come un torrente di emozioni provenienti dal passato, violente ed incontrollabili. Dolan ricorre nuovamente al simbolo dell’acqua per rendere in immagine le sensazioni di Fred. La sua figura, posta al centro dell’inquadratura, è colpita da una cascata d’acqua che inonda il suo soggiorno e scorre come un fiume di lacrime, forse tutte quelle che la donna aveva dovuto trattenere fino a quel momento.
Fred scrive una lettera a Laurence invitandolo a casa sua. L’uomo, intanto, sempre più vicino a coronare la sua trasformazione, convive con un’altra donna, Charlotte. Quest’ultima trova per prima la lettera di Fred al suo rientro a casa e cerca di comunicare con Laurence, il quale è sopraffatto dalla scrittura e non può sentirla a causa delle grosse cuffie con le quali ascolta la musica (simbolo dell’incomunicabilità tra i due). La ragazza va via sbattendo la porta alle sue spalle e lascia lì la lettera. Quando Laurence la legge, il testo impregna e colpisce in modo appariscente tutta l’inquadratura, nello stesso modo in cui si abbatte sulle emozioni dell’uomo.
I due amanti si rincontrano, vivono qualche ora d’amore, finché decidono di fuggire insieme. Subentra qui la seconda sequenza di puro onirismo. Forse il momento di maggior impatto visivo di tutto il film. Laurence e Fred, in un istante di felicità senza precedenti dopo il caos, camminano su una strada attorniata da ghiaccio (lo stesso ghiaccio che all’inizio della storia, attraverso inquadrature extra-diegetiche, aveva simboleggiato un luogo lontano dalle oppressioni sociali). L’immagine è una condensazione della poetica dolaniana. Torna anche in Laurence Anyways (come in J’ai tuè ma mére e in Les amours immaginaires) una sequenza in stile video-clip: il rallenti, la musica ed i colori collaborano alla creazione di una scena sublime. Intorno ai due innamorati piovono migliaia di vestiti colorati, simbolo di libertà, felicità e spensieratezza. Il loro cammino vitale e redentore è accompagnato significativamente da una canzone dei Moderat che carica di forza immaginifica la scena ma il cui titolo incombe come un presagio rivelatorio. La canzone è A New Error. I due si amano e non pensano a cosa accadrà, ma stanno commettendo un nuovo errore, e Dolan, ancora una volta, nasconde il messaggio all’interno di note musicali accuratamente scelte.
Nel finale del film un flashback esterno ci riporta al momento in cui i due innamorati si sono incontrati per la prima volta, sulle note non casuali di Let’s Go Out Tonight di Craig Armstrong. Laurence invita Fred ad uscire e le offre una farfalla creata con una graffetta, la scelta dell’animale non è accessoria. I loro occhi si incontrano, si penetrano. Il loro gioco di sguardi ha il sapore di libertà e desiderio. Sui loro volti l’espressione complice di chi è pronto ad un nuovo inizio. Sui nostri volti l’espressione nostalgica di chi sa come andrà a finire.