L’altro uomo: l’infallibile delitto di Hitchcock, 70 anni dopo

Su un treno diretto a New York, il tennista Guy Haines (Farley Granger) viene riconosciuto da un certo Bruno Anthony (Robert Walker), che sembra sapere nel dettaglio la sua vita. La conversazione, però, prende una piega sospetta: Bruno si propone di uccidere Miriam (Kasey Rogers), la donna da cui Guy vuole divorziare per poter convolare a nuove nozze, il quale dovrà ricambiare sbarazzandosi del padre del suo nuovo socio. La mancanza di movente renderebbe lo scambio il delitto infallibile.

Sarebbe riduttivo liquidare L’altro uomo (Strangers on a train, 1951) di Alfred Hitchcock con la definizione di “film noir” – inutile anche sottolineare quanto l’eredità dell’Espressionismo sia più che riconoscibile, tematicamente e cinematograficamente, nell’arte del Maestro, qui sostenuto dalla fotografia di Robert Burks. L’altro uomo porta avanti l’analisi dell’io in uno scenario “irreale” strutturato su una fabula più che lineare, ma che rende lo spettatore impaziente di saltare alla prossima scena, in attesa di scoprire quando accadrà quello che già sa che accadrà.

Il doppio è senz’altro il tema attorno cui ruota il cinema hitchcockiano inteso nella sua organicità, così come la complementarietà è alla base del romanzo omonimo di Patricia Highsmith (1950), da cui è liberamente tratto il film. «Questa è una qualunque stazione ferroviaria di una città qualunque di un giorno qualunque»: la voce narrante, appena dopo i titoli di testa, sembra introdurre più ad una favola che a un noir. Per questo, L’altro uomo può essere letto – anche – come metafora: Guy e Bruno personificano il bene e il male, le due facce dell’io. Se ne trova conferma nel modo in cui si concretizza il disegno fatale: ormai al punto di non ritorno nella sua relazione con Miriam, Guy, al telefono, confessa all’amante Ann (Ruth Roman) di voler strangolare la moglie, ma in quel momento passa un treno – simbolo del “patto” – e Ann sembra non riuscire a sentire; apre la scena seguente una transizione sul particolare delle mani di Bruno, il mezzo che compirà il delitto.

Vincitori e vinti

Bruno è l’esternazione del desiderio omicida di Guy; Guy è tutto ciò che vorrebbe essere Bruno. Se Guy aspira a diventare un politico, vuole sposare Ann, figlia di un senatore, e di lui colpisce la modestia e il savoir faire, Bruno vive solo secondo le regole del suo mondo distorto, di cui è infallibile vincitore. Se Guy cresce attraverso le sfide del tennis, metafora del gioco individuale della politica, Bruno, invece, si afferma con metodi veloci, anonimi, infantili: fa esplodere il palloncino di un bambino con la sigaretta, con la stessa semplicità con cui prende la vita di Miriam, strangolandola.

Difatti, l’ostilità di Bruno per suo padre, uomo benestante, nonché la sua smania di controllo sulla vita altrui sono sintomi dell’avversione verso il sistema binario dei vincitori e vinti che Guy incarna nelle sue aspirazioni di politico. La lunghissima sequenza che occupa una buona fetta della seconda parte del film è una corsa contro il tempo. Guy deve vincere il match prima che Bruno riesca a recuperare disperatamente l’accendino dell’amico – materializzazione del legame tra i due –, caduto accidentalmente in un tombino, per riportarlo sul luogo del delitto. Riposizionare l’oggetto incriminante significherebbe incolpare Guy, logicamente indiziato per la morte della ragazza, e quindi macchiare la fedina penale di un futuro politico. Bruno, d’altra parte, è l’architetto del film: la sua sagoma, piccola, in un campo lungo sulla scalinata del Lincoln Memorial ne rivela la forza ma anche l’impotenza, simbolo dell’anarchia contro la giustizia.

L’altro uomo e dintorni

All’interno dello scenario delittuoso, il sottotesto de L’altro uomo si muove tra il complesso edipico e l’omosessualità. Riguardo l’attaccamento patologico di Bruno alla madre non può che venirci in mente Psycho (1960). L’ossessione edipica di Norman Bates (Anthony Perkins) nasce dal presupposto, comune a Bruno, della dicotomia vincitore-vinto nei confronti dell'”altro uomo”, il padre, che nel caso di Bates si concretizza nel delitto del suo patrigno e nel possesso della donna contesa, la madre. Indicativo, ne L’altro uomo, è lo scambio tra la signora Anthony (Marion Lorne), che si comporta da «migliore amica», come direbbe Norman, negando la follia del figlio, ed Ann:

– È stato Bruno a dirtelo?
– No.
– Allora non è vero.

Non solo: dal ritratto grottesco e mostruoso che dipinge la signora Anthony, appassionata di pittura, in cui Bruno vi riconosce il padre, capiamo che madre e figlio sono inconsciamente alleati nell’odio per quella figura autorevole ma che mai ha adempiuto al ruolo di genitore, responsabile della natura paranoica del ragazzo.

Riguardo l’omosessualità, si potrebbe leggere in Guy il ruolo del ragazzo della porta accanto, la cui latenza omosessuale non è esplicita tanto quanto in Bruno, dal quale viene adescato. Hitchcock conosceva gli stereotipi queer così come la disinformazione della sua epoca; di conseguenza, i riferimenti più o meno espliciti sono tutt’altro che casuali. Tuttavia, spiegare Bruno entro i termini del suo orientamento sessuale sarebbe limitante. Si potrebbe, al margine del discorso, accennare a Il talento di Mr. Ripley (The Talented Mr. Ripley, 1955), sempre di Patricia Highsmith, in cui riconosciamo sì l’attrazione omosessuale ma soprattutto il tema dell’invidia. Tom Ripley si infatua di Dickie Greenleaf al punto che vuole acquisire la sua identità e il suo stile di vita. Bruno condivide con Dickie l’odio per il padre, ma nutre come Tom l’invidia per “l’amico di successo”, diventando nient’altro che una sua parodia grottesca e folle.

Comune a Bruno Anthony, Norman Bates e Tom Ripley è il voyeurismo e lo stalking: tutti e tre trovano soddisfazione nella semplice osservazione, nella manipolazione ed infine nell’assunzione della personalità altrui, fino a sbarazzarsi di coloro che possano aver scoperto il loro piano perverso, mascherato con una tale abilità da renderli insospettabili.

SITOGRAFIA

Scott Badman, Connie Russell Hosier, Gay Coding in Hitchcock Films, 2017;

Dinesh Bhugra, Dial P for psychiatry: two short essays about Alfred Hitchcock, 2018;

Peter J. Dellolio, Expressionist Themes in “Strangers on a Train, «Literature/Film Quarterly», 2003, XXXI, n.4, Salisbury University, pp. 260-269,

Bill Desowitz, Life With Video: Strangers on Which Train?, «Film Comment», May-June 1992, XXVIII, n.3, Film Society of Lincoln Center, pp. 4-5;

Mervyn Nicholson, Stranger and Stranger: Hitchcock Male Envy, in «Bright Lights Film Journal», in brightlightsfilm.com, 2017;

Mervyn Nicholson, Robert L. Carringer, Raymond Chandler and Strangers on a Train, «PMLA», October 2001, CXVI, n.5, Modern Language Association, pp. 1448-1450;

Strangers on a Train (1951), in noiroftheweek.com.

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