Secondo il mito di Aristofane contenuto nel Simposio, l’essere umano nasceva con due volti, quattro gambe e quattro braccia. Gli dei però, intimoriti dalla completezza e dalla felicità dell’uomo, decisero di dividerlo in due corpi distinti, così da costringere la sua vita alla costante ricerca della rispettiva metà mancante. Questa è l’apertura de L’altra metà, il nuovo teen drama diretto e sceneggiato da Alice Wu e distribuito da Netflix, vincitore al Tribeca Film Festival per Best Narrative Feature. Un’apertura realizzata attraverso un’intelligente animazione di disegni su carta che si strappano e si trasformano alle parole di Ellie Chou (Leah Lewis), la protagonista. La carta è nel film il medium più importante, così come le parole che vi verranno scritte sopra, di un improvviso scambio di lettere da parte di due persone alla ricerca della propria metà.
Ellie è un’ottima studentessa nella piccola città fittizia di Squahamish. È una lettrice solitaria, non ha amici e vive solamente con il padre (Collin Chou) che guarda vecchi film e gestisce la fermata del treno. Indecisa se iscriversi al college fuori città oppure continuare ad aiutare in casa, nel frattempo aiuta Paul (Daniel Diemer) a comporre delle lettere d’amore per Aster (Alexxis Lemire), una loro compagna di classe, di cui Ellie si innamorerà.
Tra continue citazioni che vedono intrecciarsi figure come Platone, Sartre, Ishiguro e Wenders il tema del film è tanto esplicito quanto espressamente preso a cuore da Netflix: l’amore in ogni sua forma ed espressione. La piattaforma streaming è infatti portavoce di storie d’amore giovanili, declinate in diversi generi e rappresentazioni. Basta pensare a serie come: Summertime, Skam, Stranger Things, Elite e tante altre. Vi è una continua dedizione da parte di Netflix nel rappresentare il mondo adolescenziale in ogni sua sfumatura, problematica e difficoltà. Si è infatti creata una vera e propria categoria di opere riconoscibili e catalogabili sia per quanto riguarda l’aspetto visivo che narrativo. L’altra metà rientra perfettamente in questa categoria.
Il film, seppur aprendosi con citazioni notevolissime, rimane troppo superficiale perdendosi (purtroppo) nel resto delle altre sue metà filmiche e seriali. Insomma, è tutto fin troppo già vissuto, visto, sentito che a colpire è veramente poco. Ma la capacità di intrattenere e strappare qualche risata è sempre lì, tra situazioni surreali e scambi di lettere piene d’amore. Delicato lo scambio materiale delle lettere, che ricerca quella purezza letteraria, visiva e simbolica di qualcosa di perduto e lontano rispetto al mondo di oggi fatto di social e “faccine” a cui Ellie dovrà poi abituarsi. E il film, aprendo con Platone e chiudendo con delle emoji, crea un vero e proprio sottotesto spensierato su come oggi il linguaggio sia fortemente cambiato, sia nella forma che nel suo utilizzo.
La regia di Alice Wu ha dei momenti delicatissimi, in particolare in alcune scene tra Ellie e Aster, ma rimane poco convincente in situazioni comiche e nelle rappresentazioni di determinati personaggi. La sceneggiatura è chiara nei suoi intenti, forse troppo ambiziosi e spesso affidati all’intuito dello spettatore, che appunto è ben consapevole dei meccanismi del genere.
L’altra metà è l’unione di tanti piccoli frammenti narrativi che hanno reso fondamentale il genere teen, declinato in ogni sua forma. Manca qualcosa in grado di differenziarsi dal resto, qualcosa in grado di soddisfare le tematiche più forti del film. La vita di Ellie è in preda ad un periodo in cui “non servono gli dei per incasinarci” perché lo si è già, tra scelte da dover compiere e difficoltà da dover affrontare. Che sono poi quelle della vita di ogni giorno, di ognuno di noi, ed Ellie se ne accorge seduta su quel treno che passa quotidianamente vicino casa sua guardando i volti di tante altre persone che come lei affrontano la vita ogni giorno.