La Voce Umana (The Human Voice, trailer), cortometraggio di Pedro Almodóvar con Tilda Swinton, è una piccola perla dai colori sgargianti, un imperdibile gioiello cinematografico che ci riporta nelle sale dopo questa dolorosa pausa pandemica. Presentato fuori Concorso alla 77ª Mostra del Cinema di Venezia, il cortometraggio ci fa sprofondare in un turbinio di emozioni attraverso uno degli atti unici teatrali più famosi di sempre, La voix humaine di Jean Cocteau del 1930. Innumerevoli sono stati gli adattamenti cinematografici e le interpretazioni attoriali di star del calibro di Anna Magnani, Sophia Loren e Ingrid Bergman. Persino Madonna ha reso omaggio al monologo nel videoclip di “I Want You” diretto da Earle Sebastian.
Una superba ed elegantissima Tilda Swinton entra in un negozio di ferramenta e dopo pochi indugi acquista un’ascia, la mette in borsa e se ne va, accompagnata dal suo cane al guinzaglio. Catapultati nel suo appartamento, ci rendiamo conto del senso di attesa e di solitudine che tormenta la donna e le valigie pronte alla porta, il modo in cui il cane le annusa, preannunciano una perdita imminente, forse già avvenuta, di una persona cara e probabilmente la fine di un amore.
La donna si prepara ad un incontro che non avverrà e una volta giunta a ridosso della ringhiera del terrazzo dell’appartamento, ripresa di spalle con un dolly zoom, sentiamo che il crollo emotivo è alle porte, che siamo nel punto più profondo e doloroso della fine di una relazione sentimentale. Segue un tentativo di suicidio e, al risveglio, la telefonata con la persona amata con cui verranno vomitate tutte le emozioni represse e scandagliati i momenti salienti di una storia al capolinea.
Una messa in scena impeccabile instaura una serie di continui rimandi al vissuto della protagonista e i colori ne costituiscono la prima evidente proiezione emotiva. Il rosso acceso degli abiti, il blu pastoso e il nero che seguono, sono esternazione di un continuo slittamento tra uno stato emozionale e l’altro, tra un desiderio che si vuole soffocare ed uno stato di profonda disperazione che inghiotte e annulla la volontà. I quadri esposti nell’appartamento ne sono un’ulteriore prova. Come l’addio di Ettore e Andromaca nel quadro di De Chirico, anche in questo caso siamo alla fine di amore, e come nella Venere Dormiente di Artemisia Gentileschi, il desiderio è ancora ardente e presente nel cuore della donna.
Tutto sul set ricorda continuamente la sua perdita e, come lei, anche il cane sta vivendo lo stesso terribile abbandono. Inoltre, come in un Dogville trieriano, Tilda Swinton si aggira con il suo vestito rosso all’interno di un set semi-spoglio e lo stesso appartamento è ripreso dall’alto svelando la sua artificiosità e la sua collocazione all’interno di uno studio cinematografico, con uno svelamento che rende ancora più claustrofobico e soffocante l’ambiente e più disperata la solitudine della protagonista.
Nonostante la voragine di disperazione, Almodóvar e la Swinton aprono le porte ad una speranza che deve però passare attraverso la distruzione, l’annientamento di tutti i feticci, di quel continuo gioco di rimandi, di riferimenti più o meno espliciti alla persona amata. La bravura della Swinton fa propri i topoi del cinema almodovariano e i richiami ai personaggi e alle dinamiche tipiche dei film del regista sono solo un pretesto per elaborare una versione più internazionale e dal respiro più universale del dramma emotivo portato in scena.
The Human Voice appare come un cabochon, come un piccolo diamante sottoposto a politura che risplende in tutta la sua perfezione, un’opera d’arte da galleria da contemplare e da rivedere più volte, che ogni volta ci mostrerà una faccia differente in cui ognuno di noi può rispecchiarsi a proprio piacimento.