Ricordate il discreto personaggio di Bartolomeo, l’amico di lager di Roberto Benigni nella seconda parte de La Vita è Bella (1997)? Quel ruolo venne interpretato dal romano Pietro De Silva. In quest’intervista l’attore ricorda gli straordinari giorni sul set del film Premio Oscar 1999.
Come sei entrato nel cast del film?
Io avevo già lavorato con Roberto Benigni nel film Il Minestrone (1981), che è anche il primo film che ho interpretato. In realtà lo avevo già conosciuto a Prato nel 1978, durante uno spettacolo teatrale, in quanto ero amico di un regista che lo conosceva. In seguito ho avuto modo di incontrarlo parecchie volte. Per quanto riguarda La Vita è Bella l’incontro è avvenuto nello studio Pacific Picture, dove convocava gli attori per l’assegnazione dei ruoli. In realtà non aveva chiamato me, ma mia moglie che non poteva però prendere parte al film in quanto incinta. Io però quel giorno l’ho accompagnata, Benigni mi ha visto e mi ha chiesto “ti andrebbe di fare una parte nel film?”. Io ho risposto che sarebbe stato un onore per me, lui aveva già sfornato capolavori quali Johnny Stecchino e Il Mostro quindi ero consapevole della qualità di Benigni regista. Dopo qualche mese non mi aveva ancora contattato nessuno, allora ho chiamato l’aiuto regista Gianni Arduini con il quale avevo già lavorato per il film di Fellini E La Nave Va (1983) che mi rassicura “tranquillo, stiamo ancora girando la prima parte del film, a breve iniziamo la seconda ambientata nel campo di concentramento e ti richiamiamo.” In effetti poco dopo abbiamo girato quelle scene nel lager ricostruito all’interno di quella che era una fabbrica abbandonata di Papigno, vicino Terni.
Avete girato soltanto lì o avete fatto qualcosa anche in teatro di posa?
No, le scene del campo di sterminio soltanto a Papigno.
In che periodo è stata girata quella seconda parte del film?
Attorno a settembre 1997, ma le riprese erano iniziate già da un po’. Io ho girato soltanto quella parte conclusiva di riprese, per un totale di dieci giorni.
Il film ha avuto un successo molto lungo che è aumentato mese dopo mese.
Esatto. E dopo Cannes il film è diventato popolarissimo negli Stati Uniti, quindi poco prima degli Oscar. Ricordo che mi trovavo in quel periodo a New York in vacanza con un amico e ho visto il film in una sala della Grande Mela con i sottotitoli in inglese. Ricordo la sala gremita, nella prima parte tutti gli americani ridevano come matti, mentre nella seconda parte quando prende quella piega drammatica si erano tutti commossi all’improvviso. Poco dopo Roberto ha sostenuto quella famosa ospitata al David Letterman Show, in virtù anche del fatto che insieme a Pavarotti e Sophia Loren era già uno dei personaggi italiani più conosciuti negli USA.
Parliamo di Benigni regista, come ha lavorato con te?
Innanzitutto sia lui che il direttore della fotografia Tonino Delli Colli erano molto rapidi nello svolgimento delle riprese. Benigni aveva una facoltà straordinaria, quella di memorizzare in pochissimo tempo tutti i dialoghi: dava uno sguardo al copione e in tre secondi era pronto. Una mente lucidissima direi. Ricordo quella sequenza notturna mentre i carri armati vanno via e io e Roberto parliamo nella cella. Erano le tre di notte e a Roberto avevo detto “facciamo una prova prima di girare” e lui “no, tranquillo facciamola subito”. Aveva preferito girarla senza provare in quanto aveva paura che si sarebbe persa la spontaneità recitativa. Non abbiamo ripetuto le scene molte volte, ma il livello professionale era sempre alto. Sul set era molto serio, non era certo logorroico e dava indicazioni secche a tutti gli attori. Non ha mai alzato la voce con nessuno né con attori né tantomeno con i tecnici, non avvertiva momenti di stanchezza. Dopo le riprese era ovviamente più spiritoso e solare, come tutti lo conosciamo. Questo dipende anche dalle sue umili origini, che gli hanno permesso di mantenere quest’atteggiamento. Sembra il contrario, ma se lo incontri per strada è sempre cordiale e affabile.
Con il bambino Giorgio Cantarini che rapporto aveva?
E stato bellissimo, anche se poteva sembrare difficile. Giorgio aveva solo cinque anni e puoi immaginare quando un bambino così piccolo si stanca come ti manda tutto a monte! Puoi anche regalargli una carrozza d’oro, non ne vuole sapere. E con un set pieno di comparse era ancor più complicato. Eppure Benigni era talmente abile nel divertirlo, quindi a fargli tornare il buonumore e la voglia di recitare. Giorgio aveva comunque un coach, un allenatore che aveva recitato anche nel film che lo allenava a dire le battute. Ma lui a questo reagiva benissimo e nel film si vede.
Il cinematographer Delli Colli e il costumista Donati erano onnipresenti sul set?
Il primo sì per forza di cose, un direttore della fotografia deve essere sempre presente per il controllo delle luci, ecc… Mentre Danilo Donati non sempre, non era una presenza obbligatoria. Ricordo che quest’ultimo ha svolto un ottimo lavoro con la scelta delle divise degli ufficiali nazisti e dei deportati, con gli abiti borghesi degli invitati nella scena del fidanzamento ufficiale al Grand Hotel.
Qualche scena è stata tagliata?
Ricordo di un passaggio presente nel copione (e presente anche nella sceneggiatura originale pubblicata da Einaudi, ndr) ma non girato: mentre lavoravo nella fonderia mi sarebbe dovuta cadere una lamina di ferro sul braccio tagliandomi, e per questo poi mi portano in infermeria nella stessa scena. All’ultimo minuto hanno deciso di non girarla perché troppo cruda. Si sarebbe dovuto vedere lo squarcio nel braccio e avrebbe stonato con il resto del film. Qualche altra battuta o porzione di sequenza credo sia stata accorciata o sforbiciata ma non ricordo precisamente quale. Evidentemente non erano momenti particolarmente importanti.
Il film è doppiato o in presa diretta?
Non tutte le scene sono in presa diretta per via dei rumori d’ambiente. Ad esempio quell’ultima sequenza dove compaio io nella cella è stata doppiata. Durante il doppiaggio Benigni mi ha detto che aveva fatto una proiezione in un montaggio preliminare per una sola persona, Mario Cotone, il produttore esecutivo. Mi aveva detto che questi aveva pianto così tanto e che questo lo aveva molto emozionato. Gli era bastata una sola persona a commuoversi per fargli capire che questo film gli era riuscito tantissimo.
Nelle scene del lager erano presenti molte comparse. Erano state scelte dapprima o trovate all’ultimo minuto?
No, i figuranti che erano stati scelti per i ruoli dei deportati erano quasi tutti di Terni. Per quanto riguarda me, come interprete di Bartolomeo, la scelta è caduta perché avevo delle affinità fisiche con il personaggio descritto in sceneggiatura da Benigni e Cerami.
Mentre Benigni girava confessava di ispirarsi ad altri film?
Non esplicitamente, anche se appariva ovvio un certo rimando a Il Monello di Chaplin, per quanto riguarda il rapporto padre/figlio in un ambiente povero. Inoltre il passo da Pinocchio che Roberto fa per far ridere il figlio mentre questi è nascosto nel gabbiotto di ferro è un’altra gag di chiara ispirazione chapliniana.
Eri presente all’anteprima del film a Roma il 18 dicembre 1997?
Si, e si è svolta al Cinema Adriano di Piazza Cavour. Io ero arrivato in ritardo per via del traffico. Prima della proiezione Benigni si è però intrattenuto con il pubblico, ha chiacchierato velocemente salutando poi tutti e non assistendo alla proiezione. Ma non c’è mai stata effettivamente una prima ufficiale con tutto il cast e i collaboratori tecnici. Ricordo di questa bella anteprima romana, ma in effetti Benigni era presente. Pochi anni dopo ci siamo rincontrati davanti al Teatro Argentina per puro caso. Lui era con Nicoletta Braschi, io con i miei figli entusiasti di conoscerlo. In quell’occasione mi ha detto felice come un bambino “hai visto che bella cosa? Hai visto come è andata in America”. Si riferiva ovviamente alla straordinaria notte degli Oscar. A momenti non credeva nemmeno lui ai traguardi che questo film è riuscito a regalargli.