Ha esordito su Netflix il 29 maggio l’ultimissima miniserie italiana ad opera di Ivan Cotroneo e Monica Rametta: La vita che volevi (trailer), rivelandosi, purtroppo, una serie che non volevamo.
La storia, tra legami, nascite e rinascite, si articola in sei episodi a cui si aggiungono progressivamente più e più strati di complessità. Probabilmente si tratta di un tentativo di compensare la totale assenza di pathos e trasporto della performance attoriale. Nel cast, composto da attori abbastanza noti nell’ambito della serialità televisiva italiana, il livello di abilità risulta inesorabilmente mediocre. La recitazione non portare ad entrare in empatia con i drammi interiori dei protagonisti: personaggi e, di conseguenza, situazioni ricadono spesso in stereotipi scontati, le dinamiche relazionali risultano forzate e non sempre rispecchiano la realtà con la profondità necessaria.
Il ritmo della narrazione risulta piuttosto irregolare: in alcuni episodi ci si concentra eccessivamente su delle sottotrame meno rilevanti, sottraendo tempo che potrebbe essere dedicato agli eventi centrali che contribuiscono allo sviluppo della trama e sui quali si tende invece a sorvolare, senza dare il tempo necessario alla metabolizzazione di quanto successo. Alcuni dei conflitti sembrano essere inseriti in modo incredibilmente artificiale con l’obiettivo di accrescere la tensione drammatica. Ciò contribuisce a rendere la costruzione narrativa poco naturale.
Mentre la serie offre un’interpretazione fresca dell’amicizia femminile, non si distacca abbastanza dalle formule narrative già viste in altre produzioni simili. La mancanza di una vera e propria innovazione può far sembrare la serie meno memorabile di altre dello stesso genere: avendo tutte le carte in regola per essere l’ultima proposta della Rai o della Mediaset, ma non riesce a soddisfare le esigenze di chi paga mensilmente un servizio streaming come Netflix. In aggiunta, la fotografia e la regia non riescono a sollevare il prodotto dalla sua mediocrità generale. Le scelte estetiche, pur essendo tecnicamente corrette, non riescono a comunicare un’identità visiva forte o distintiva, facendo apparire la serie come una tra tante. La colonna sonora, sebbene piacevole, non lascia un’impronta duratura né contribuisce a potenziare le emozioni che le scene avrebbero dovuto evocare.
Il tema della maternità, centrale nella narrazione, viene trattato in maniera superficiale. Nonostante i numerosi tentativi di esplorare le sfumature emotive e le difficoltà connesse a questo ruolo, il risultato finale è spesso didascalico e privo di quella profondità che avrebbe potuto rendere la serie più coinvolgente. I dialoghi, in particolare, soffrono di una mancanza di naturalezza, con battute che suonano poco realistiche e forzate. La vita che volevi si propone come un dramma familiare con sfumature psicologiche, ma finisce per rimanere intrappolata in una narrazione prevedibile e priva di veri colpi di scena. Gli episodi, anziché offrire una progressione avvincente, sembrano trascinarsi senza un chiaro obiettivo, portando lo spettatore a una sorta di apatia nei confronti dei personaggi e delle loro vicende.
In definitiva, la miniserie di Cotroneo e Rametta rappresenta un’occasione mancata. Nonostante le buone premesse e il potenziale insito nella trama, La vita che volevi non riesce a distinguersi né a lasciare un segno nel panorama delle serie televisive italiane. La sensazione è quella di un prodotto che, pur avendo ambizioni elevate, non riesce a raggiungere il livello di qualità e di coinvolgimento emotivo che ci si aspetterebbe, specialmente da una piattaforma come Netflix, che ha abituato il suo pubblico a standard ben più alti.