La Valanga Azzurra, la recensione: la storia dello sci alpino

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Giovanni Veronesi, firma La Valanga Azzurra (trailer), il docufilm sulla squadra italiana che fece la storia dello sci nella decade degli anni ’70. In una produzione mista, ricca di collaborazioni tra Fandango, istituto Luce e il comparto Rai Documentari, La Valanga Azzurra è la quintessenza del valore dello sport, la memoriale celebrazione dei grandi del passato, che hanno portato, nelle case degli italiani, non solo momenti indimenticabili di gloria e un profondo orgoglio nazionale per questo sport invernale; ma che hanno anche instillato, nelle nuove fila di agonisti, la scintilla della passione. Non da meno, il primo tra tutti, il regista del documentario, Giovanni Veronesi, grandissimo amatore dello sci sin dall’infanzia. Questi, difatti, imposta il racconto del docufilm sulla Valanga Azzurra come una narrativa personale, estremamente intima e genuina, dove a far capolino è, per l’appunto, la sua vena primordiale di appassionato dello sci. Il racconto di un fan che, con il cuore in mano e la sagace umiltà di un “giornalista”, si interfaccia con i suoi più grandi idoli.

Miti incarnati principalmente nelle tre colonne portanti della squadra italiana di quegli anni: il campione, nonché capitano del tricolore Gustavo Thoeni, lo spavaldo dalla chioma fluente Piero Gros e il longevo della “brigata” Paolo De Chiesa. Tre campioni, ma soprattutto tre uomini, tre fenomeni, facenti parte di una più grande generazione di eroi indiscussi dello sci alpino, che non solo riuscirono scrivere la storia sportiva italiana scivolando sulla neve, in imprese inimmaginabili per l’uomo comune, ma che spianarono la strada allo sport invernale per eccellenza, come tutti noi lo intendiamo oggi. Invero, come dichiarato dallo stesso Veronese alla conferenza stampa: «questo non è un (semplice) documentario sulla storia dello sport, ma è qualcosa di diverso». In un gioco a pallonetto di paesaggi montanari, piccoli sketch divertenti, commenti appassionati e momenti di puro storicismo con immagini di repertorio reperite dalle telecronache del tempo; il regista ricostruisce, passo per passo, il percorso iperbolico della Valanga Azzurra, dalla sua nascita fino alla morte, accompagnato dal fondamentale commento dello scrittore e giornalista Lorenzo Fabiano.


Pertanto il documentario della Valanga Azzurra compie un autentico excursus, a tratti analitico a tratti scherzoso, dei molteplici aspetti che circondavano il mondo dello sci. Dalla sua iniziale pericolosità dovuta alle mancate protezioni di sicurezza ai bordi della pista, allo sviluppo, da parte di alcuni atleti, di tecniche e materiali per tute innovative, all’ accrescimento del comparto economico e manageriale dietro la squadra azzurra grazie al direttore tecnico Mario Cotelli, fino ad arrivare alla sfortunata perdita di alcuni campioni. Però, per avere una migliore visione di insieme, andiamo a vedere i momenti salienti di questa storia. Iniziata agli esordi di un diciottenne Gustavo Thoeni, tra il 1969 e il 1970, con le primissime vittorie e il trionfo nello slalom gigante in Val-d’Isère, la fama della squadra azzurra prende piede successivamente alle due coppe del mondo del ’71 e ’72, dove, in primis, il fiorente alto Adesino conquista entrambe le classifiche generali di ambo gli anni e dove, nella seconda stagione, ottiene il 10° posto della classifica il cugino Roland Thoeni.

Consecutivamente alle tre medaglie olimpiche di Sapporo (1972), rispettivamente un oro e un argento per Gustavo e un bronzo per Roland, nella terza stagione invernale della coppa del mondo di Thoeni, subentrano e si affermano nuovi talenti, che andranno ad allargare la rosa dell’ancora “non proclamata” Valanga Azzurra. Tra questi c’erano Helmuth Schmalzl, Erwin Striker, Tino Pietrogiovanna e un rampante diciottenne chiamato Piero Gros. Nomi importanti, oltre a tanti altri, rispettivamente anticipati e accompagnati poi dai promettenti Paolo De Chiesa (più giovane sciatore della compagnia) e Fausto Radici. Ebbene, proprio grazie ai primi cinque atleti citati di questa florida compagine, il termine Valanga Azzurra iniziò a riecheggiare nelle vie di tutto il mondo, in quanto fautori di un evento straordinario: il posizionamento, il 7 gennaio 1974, di tutti campioni italiani nei primi cinque posti della classifica (dello slalom gigante) alla coppa del mondo di Baviera. Un fenomeno esorbitante che portò enormi cambiamenti nella società dell’epoca: ovvero la  sostanziale dominanza dello sci nel panorama sportivo italiano, lo spostamento di questa pratica da un contesto di élite a uno popolare, adatto a tutti, con anche la conseguente trasformazione dell’economia a favore della diffusione della settimana bianca, concetto sempre più in voga soprattutto grazie al cinema e allo spettacolo.


Tutta pubblicità che innalzò ulteriormente il prestigio della Valanga Azzurra, già favorita per le sue costanti vittorie nelle gare internazionali. Un’ egemonia quasi incontrastata, scalzata però, in breve tempo, dall’arrivo di un nuovo nemico in pista, il più grande sciatore di tutti i tempi, lo svedese Ingemar Stenmark. Difatti tra Thoeni e Stenmark c’era una stregua lotta, un conflitto tra due nemesi che cercano di conquistare, a colpi di sci sulla neve, l’ennesima vittoria. Una di queste, non da meno, la famosissima finale a cardiopalma dello slalom parallelo alla coppa del mondo del ’75, dove tre contendenti, Thoeni, Stenmark e Clamer, si sfidarono duramente per strappare la vittoria.

Ovviamente, fu un successo tutto azzurro per Thoeni, super acclamato e adorato da una folla febbricitante di 50.000 persone, che però segnò, dopo l’uscita di scena dell’allenatore della nazionale Oreste Peccedi, l’inizio della fine. Influenzata probabilmente da una serie di fattori, tra cui la mancata connessione con il nuovo allenatore, la prematura perdita di due promesse dello sci, l’allontanamento di altrettante da parte della federazione italiana per motivi salariali e il progressivo abbandono di tutta la rosa, il periodo d’oro della Valanga Azzurra tramontò definitivamente alla fine degli anni ’70, trascinato solamente dagli ultimi tentativi di De Chiesa nelle Olimpiadi del 1984.

La Valanga Azzurra si presta, dunque, in modo ambivalente, sia come scrigno delle memorie dei vecchi amatori di quegli anni, sia come fondamentale documento audiovisivo cronistico per le nuove, e future, generazioni. Una fonte di ispirazione ad inseguire il proprio sogno, ad appassionarsi ad un’ idea, uno sport, ma soprattutto a prendere il coraggio dai propri idoli.

Al cinema.

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