Primo lungometraggio d’esordio del regista Riccardo Antonaroli, con Brando Pacitto (Baby) e Andrea Lattanzi (Summertime), presentato fuori concorso alla 39a edizione del Torino film festival, La svolta (trailer), uscirà su Netflix il prossimo 20 aprile.
Ludovico (Brando Pacitto) vive da sempre nascosto sotto il suo cappello rosso. Soffre di “un brutto male”, la depressione. Eterno fuoricorso di economia, obbligato ad una vita che non gli appartiene, si cela agli occhi del mondo dietro una matita ei suoi fumetti. Non sa cucinare, non sa aggiustare una mensola, non sa parlare con il padre e finalmente uscire dalla gabbia che si è costruito.
Buona famiglia, genitori lontani, vive solo. La casa della sua infanzia nel cuore di Garbatella – nota periferia romana – l’avrebbe voluta “rimettere a posto” ma finisce per tenerla costantemente in disordine. Un ragazzo, all’apparenza normale, corpo e volto di quello che ogni giorno vivono milioni di persone, si troverà ben presto invischiato in una realtà che conosce soltanto attraverso i suoi polizieschi.
Un giovane ladro dal cuore tenero e la vita difficile, Jack (Andrea Lattanzi), scappa con una borsa piena di soldi e per evitare di essere ammazzato dal boss a cui ha rubato tutto, obbliga Ludovico a farsi ospitare, promettendogli anche un “regalo” a compito ultimato. Già dalle prime sequenze riusciamo a comprendere chi abbiamo di fronte: carattere ed indole dei protagonisti, il modo con cui, diversi uno dall’altro, affrontano la vita. La piega che questa prenderà d’ora in poi per entrambi.
La svolta è un film che ci chiude nelle quattro mura della casa di Ludovico, soffocati come lo è lui da tutta la sua esistenza, e ci aiuta a comprendere, attraverso gli occhi di un malandrino come Jack, cosa ci stiamo perdendo mentre l’orologio compie i suoi giri.
Purtroppo la trappola dei cliché è sempre dietro l’angolo, ed ormai la periferia romana agli occhi del mondo non è che un nuovo selvaggio west. Neppure La svolta riesce a svincolarsi da tutto questo. Tuttavia, determinate tematiche vengono affrontate, seppur spesso in modo didascalico, con una certa delicatezza che a tratti commuove e intenerisce. La sceneggiatura di Roberto Cimpanelli e Gabriele Scarfone sfrutta quegli elementi alla portata di tutti, per costruire una storia di solitudini, di rivalse, di occasioni mancate, di vite spezzate. Una storia di crescita e formazione.
I riferimenti al cinema anni ‘60 di Dino Risi, con particolare attenzione a Il sorpasso più volte richiamato, preludono continuamente al conto che ben presto dovranno pagare i nostri protagonisti. E non è difficile intuirne gli esiti. Ad ogni modo, i vari rimandi ad un cinema “perduto” e le colte citazioni, non bastano a convincere del tutto. Troppo spesso ci si perde in quelle dinamiche spente e ritrite e in quei luoghi comuni di cui la cinematografia capitolina ormai è satura. Gli accenni filosofici e letterari frequenti stridono e marcano la grande volontà di dare spessore a personaggi in maniera troppo poco ricercata e molte volte pedante.
Tutto sommato, è un film che si lascia guardare, che riesce quantomeno a trascinare lo spettatore nelle storie dei personaggi e nella costruzione del loro rapporto d’amicizia e fratellanza, con una giusta dose di scene divertenti ed altre cariche di suspense. La presenza di Marcello Fonte (vincitore del premio come Miglior attore protagonista a Cannes per Dogman) risana alcune piccole crepe.