“Perché dovrei farlo?”, chiede Takahata nel 2009 a Toshio Suzuki, presidente e produttore dello Studio Ghibli. Gli ha appena proposto l’adattamento di Kaguyahime, il componimento in prosa più antico del Giappone. “Perché lui ti ama così tanto”. Il lui in questione è Ujiie Seiichiro, l’allora presidente della Nippon Television, disposto a sborsare 5 miliardi di Yen (quaranta milioni di dollari) per vedere un nuovo film di Takahata, che non ne gira uno da I miei vicini Yamada del 1999. Takahata è difficile da convincere: ci sarà un motivo per il quale il suo amico e co-fondatore insieme a lui dello Studio Ghibli Hayao Miyazaki lo chiama “bradipo”. Lento, ma non immobile. Takahata accetta.
Non poteva che nascere da un atto di mecenatismo La storia della principessa splendente (trailer), un progetto dai chiari collegamenti con la storia della cultura nipponica e che vedrà la luce, tra traversie e rinvii vari, nel 2013. La trama proviene dagli albori del tempo: un vecchio tagliatore di bambù senza figli trova una gemma di bambù luccicante. Dentro, vi è una principessa della dimensione di un pollice; tra le braccia dell’anziana moglie del tagliatore di bambù questa si trasforma in una neonata, che cresce molto più velocemente del normale. Il tagliatore trova altri bambù luccicanti, dentro i quali trova oro e stoffe preziose ed interpreta quello come un segno: la neonata deve essere cresciuta in sintonia con la sua natura regale. Per questo la strapperà alla sua vita pastorale per portarla in città, dove dovrà diventare, controvoglia, una dama di corte.
Ovviamente questo legame con la tradizione permea tutto La storia della principessa splendente, anche e soprattutto lo stile di animazione: Takahata non cerca mai di riempire interamente l’inquadratura, lasciando che i colori ad acquerello sfumino gentilmente verso il bianco sottostante che sembra richiamare all’arte giapponese su carta di riso. Vige un regime di amor vacui che non intacca in alcun modo la realisticità di quel che si vede, ma che va anzi ad esaltare l’espressionismo delle scene. Kaguya che passeggia su un sentiero al tramonto insieme ad altri bambini; che, assediata dai pretendenti, sogna di fuggire dal palazzo e dalle responsabilità che i suoi genitori, pur guidati dalla voglia di dar lei il meglio, le hanno imposto, con il turbine colorato delle varie vesti che si toglie di fronte ad una gigantesca Luna piena; che, sotto un enorme ciliegio in fiore, incontra una madre col suo bambino che la riverisce facendola sentire come qualcos’altro rispetto a lei, un qualcosa che non avrebbe mai voluto diventare.
Un espressionismo che non ha l’unico scopo di deliziare gli occhi, obiettivo centrato a tal punto che ogni inquadratura è un quadro degno di essere appeso in un museo, ma anche di accentuare l’empatia con la protagonista. Sentiamo insieme a lei l’amore e l’armonia della natura e della sua vita contemplativa, la gioia di un bagno in un laghetto o di addentare una fetta di melone appena colto. Sentiamo anche la costrizione di una vita fatta di gesti che appaiono vuoti e ampollosi, la frustrazione di non poter raggiungere la propria felicità se non calpestando quella di chi ci vuole bene, la malinconia di una tranquillità persa e che non sarebbe potuta continuare per sempre. Un idillio che vivrà di lì in poi solo nei ricordi, come l’emozione di vedere scorrere il nome di Isao Takahata nei titoli di coda de La storia della principessa splendente.