Una delle rassegne più sperimentali del Pesaro Film Festival è il Dopofestival, ovvero la programmazione di mezzanotte tra le mura del Palazzo Gradari. Il cortile interno da martedì 22 fino a venerdì 26 ospiterà proiezioni di videoart, programmazioni cinematografiche e il reading di Pier Paolo Capovilla, frontman de Il Teatro degli Orrori, che leggerà brani estratti da La religione del mio tempo di Pier Paolo Pasolini.
Stasera la programmazione notturna è a cura di Rinaldo Censi, professore e traduttore, scrive per riviste specializzate in cinema e forme audiovisive e per il quotidiano Il Manifesto.
L’abbiamo intervistato per comprendere meglio il processo artistico di montaggio e assemblaggio del programma Lunghezze d’onda, sette film in pellicola che mostrano una storia del cinema da un punto di vista differente.
Si inizia con Etienne-Jules Marey, il precursore del Cinema dei fratelli Lumiere. La vague (1891), 20 secondi in formato 90 mm, mostra l’infrangersi delle onde sugli scogli, analizzandone i movimenti. Nella produzione di Marey la ricerca del movimento è un vero e proprio esperimento visivo, abbinato ad un’indagine sui supporti e strumenti ottici da lui stesso costruiti. Il secondo film nel programma introduce una sezione più “tradizionale” legato al tema delle isole, in particolare della Sicilia settentrionale. Isole di Fuoco (1954) di Vittorio De Seta e Ritorno a Lisca Bianca (1983) di Michelangelo Antonioni. De Seta con il suo documentario 35 mm premiato come miglior corto a Cannes nel 1955, ci porta a fare un viaggio nell’isola di Stromboli, già dai primi fotogrammi veniamo cullati dai movimenti delle onde. Il film di Antonioni, invece è un viaggio sempre sulle isole Eolie, sulle tracce de L’Avventura, ideato all’interno del programma televisivo Falsi ritorni per un’archeologia del set di Ghezzi e Mancini, alla ricerca di tracce e trasformazioni dei luoghi distanza di 20 anni, come disse lo stesso regista, un’Avventura a colori.
Nella seconda parte della programmazione, invece, Censi si è focalizzato su film considerati sperimentali, dei filmmaker Welsby, Bohours, Lowder e Snow. La scelta di accostare diverse “generi” e approcci al cinema, diventa un atto di montaggio che comprende altre discipline come la videoart. La successione di questi film dà la possibilità allo spettatore di creare nuovi accostamenti e significati, come nel montaggio analitico, siamo noi a giungere le nostre conclusioni. Il Festival diventa luogo per ampliare le proprie conoscenze, un Nuovo Cinema proietta anche una marginalità, ovvero dei film e delle programmazioni che i Festival più classici non possono prendere in considerazione, per limiti imposti dal tempo e dalla ricerca dell’inedito contemporaneo. Nuovo quindi non è sinonimo di contemporaneo, Censi propone la sua visione di cinema a costellazioni, ovvero senza imposizioni di concorsi canonici e divisioni di tempo ma piuttosto una programmazione libera e forse disorientante, per un pubblico abituato ad altri festival, ma con una ricerca e interesse a qualcosa di diverso, innovativo.
Gli ultimi quattro film, infatti, mostrano perfettamente questa sperimentazione di cui parla Censi, Chris Welsby con il suo film/installazione Fforest Bay II (1963) che esplora il sistema naturale nel paesaggio, alternando 4 angolazioni diverse di un litorale a diverse velocità, interpretando così i movimenti delle maree. Queste inquadrature aumentano la velocità fino ad arrivare a movimenti talmente veloce da ricordarci il mal di mare. Jean-Michel Bohours con Vagues à Coilliure (1991) invece adotta tecniche differenti, dal collages, ai disegni sulla pellicola, mostrando la collisione di un uomo e un’onda, ritorna quindi il tema del movimento.
Rose Lowder, con Voiliers et Coquelicots (2001) un film di 2 minuti propone lui stesso un accostamento tra fiori e mare, tra due immagini e mondi che prevalgono uno sull’altro. L’ultimo film, WVLNGTH di Micheal Snow (2003), ha già nel titolo una compressione del termine Wavelength, suo omonimo film del 1967. Definito “per coloro che non hanno tempo”, come gesto contro la digitalizzazione del suo film, che viene compresso e tagliato, anche lui comprime e sovrappone le sequenze del suo film in pellicola, ricreandone un altro, con diversi significati. Programmare diventa qui atto di montaggio di varie discipline. L’arte della programmazione che deve riuscire a tagliare e scegliere, come avviene in un vero e proprio studio di montaggio di un film. Il festival di Pesaro diventa la costellazione per ampliare la conoscenza multidisciplinare.