LA PAZZA GIOIA – FUGA DALLA SOLITUDINE

«La comunità medica preferisce parlare di depressione piuttosto che di solitudine. È più facile liberarci del problema dando una diagnosi e una scatola di farmaci. Perché se cominciassimo a parlare di solitudine, sapremmo, per certo, che non ci sono farmaci. Non c’è industria medica che tenga, basta l’amore umano». Con questa citazione di Patch Adams si potrebbe facilmente designare l’ultimo film di Virzì: La pazza gioia. Due personaggi: Beatrice (Valeria Tedeschi) e Donatella (Michela Ramazzotti), delle Thelma e Louise, a cui il regista strizza l’occhio con un autentico riferimento visivo.

Una società che le ha rigettate, guardandole annegare senza alcun rimorso. Si trovano. Fuggono dalla solitudine, in cerca di una “pazzia più gioiosa”. Due termini: “pazza” e “gioia” che nell’immaginario comune possono sembrare sinonimi, ma che mai come in questo film diventano ossimori. Anche nella follia sopra le righe della Tedeschi, dalla stralunata parlantina, si nasconde una profonda delusione e una malinconica solitudine. Solitudine data dall’impossibilità di instaurare delle relazioni autentiche.

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Un viaggio on the road alla ricerca della soluzione dei propri problemi; tra speranze e rimpianti, tra amarezza e ricordi. Confessioni che possono trovare la loro risoluzione solo nell’amicizia di chi realmente ha vissuto il dolore. Personaggi che cercano qualcuno vicino che li protegga dai propri mostri e a cui donare il proprio amore, anche se corrotto in parte dal bipolarismo (Beatrice/Tedeschi) e dalla depressione maggiore (Donatella/Ramazzotti). Alla ricerca dei momenti felici che tolgono il respiro, sebbene incorniciati da un folto strato di tristezza che porta ad azioni sconsiderate. Azioni che comportano, alle ingenue protagoniste, solo ulteriore dolore.

Un mondo al femminile di donne abbandonate a se stesse e alle loro psicosi, senza nessuno che si fermi a comprenderle. Senza nessuno che riesca a toccare il loro dolore più profondo. Fragili e indifese. Con l’emergere delle loro insicurezze e paure, possono solo scappare da un posto all’altro, senza mai fermarsi, senza mai separarsi (o quasi), fondendosi l’una nell’altra.

Ben meritati la stand ovation e i 10 minuti di applausi al Festival di Cannes. Un atipico road movie dai temi drammatici suonati con note leggere e spensierate, che non toccano mai il banale o il melenso. Risate amare e minuti di contemplazione. Nuovamente Virzì mostra, con una regia gelida da voyeur, la sua bravura nell’entrare nella psicologia di personaggi soli e incompresi, avvolti da un mondo freddo e impassibile alle sofferenze dei suoi abitanti.

Macha Martini

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