#RomaFF19: La Nuit se traîne, la recensione del film di Michiel Blanchart

La nuit se traine, recensione DassCinemag

«Quando non dormo, la notte si trascina, la notte non finisce mai, e sto aspettando che arrivi qualcosa, ma non so chi non so cosa, voglio amare, voglio vivere». Questi i primi versi del brano La nuit n’en finit plus (1970) della cantante britannica Petula Clark. Mady (Jonathan Feltre), giovane studente belga afrodiscendente che, per potersi mantenere, di sera lavora da fabbro, lo ascolta, canticchiandolo, dalla radio del suo furgone, mentre, in una Bruxelles illuminata dai lampioni, si sposta da un cliente all’altro. Mady emette un’aura accogliente, sembra pronto ad abbracciare qualsiasi sorpresa quella notte abbia in riservo per lui. Di lì a poco, senza che possa neanche immaginarlo, il destino gli porrà di fronte una trappola che lo farà precipitare in un vortice di terrore e violenza. Mady quella notte non dormirà.  

La Nuit se traîne (trailer), in concorso nella categoria Progressive Cinema della Diciannovesima Festa del cinema di Roma, è il lungometraggio d’esordio del regista belga Michiel Blanchart, che, assieme al co-sceneggiatore Gilles Marchand, ricorre ad un coinvolgente thriller per denunciare la discriminazione razziale radicata nella multietnica società del suo Paese.

Il film segue gli eventi che travolgono, appunto, Mady nel corso di una notte. Il secondo cliente che lo attende quella fatidica sera è una certa Claire (Natacha Krief), la quale sarebbe rimasta chiusa fuori dal suo appartamento, dove avrebbe lasciato anche soldi e documenti di riconoscimento. Mady le chiede allora, per avere almeno una prova che la proprietà sia della ragazza, di indicargli un dettaglio dell’arredamento. Un sacco da boxe, risponde Claire. Mady, aperta abilmente la serratura, lo intravede. Claire entra un attimo nell’appartamento e, a suo dire, non avendo contanti con cui pagare il fabbro, subito ne riesce per andare a prelevarli da un ATM. Invita Mady, nell’attesa, ad accomodarsi all’interno. Claire – in realtà Julie – sta tramando un piano con il fratello Théo (Jonas Bloquet), scagnozzo del boss Yannick (Romain Duris), per fuggire con i soldi di quest’ultimo che, entrata nell’appartamento del neonazista Rémy (Thomas Mustin), ha appena prelevato dal loro nascondiglio, il sacco da boxe. Claire non tornerà e Mady verrà colto in casa da Rémy, che lo aggredirà, fino a che il giovane fabbro, per difendersi, non riuscirà ad ucciderlo.

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La Nuit se traîne, anzitutto, medita sul fenomeno della police brutality, che semina vittime tra la cittadinanza nera in Belgio, così come, tristemente, nel resto dei Paesi occidentali ad egemonia caucasica. Le forze dell’ordine giocano un ruolo decisivo in vari momenti salienti del film, mentre, anche quando non compaiono fisicamente, la loro minaccia è richiamata di continuo tramite rimandi al recente caso di cronaca di un ragazzo afrodiscendente rimasto ucciso in uno scontro con la polizia, come reazione al quale la città è inondata dal corteo organizzato dal movimento Black Lives Matter.

È emblematico, rispetto alla penetrazione che la paura di venire attaccato da chi dovrebbe tutelarlo può avere nella psiche di un individuo di pelle nera in una società come quella belga, il modo in cui Mady cerchi di riparare autonomamente alle conseguenze del terribile alterco in cui, all’inizio della sua caduta a spirale verso il fondo, si è trovato coinvolto. Nonostante sia consapevole di essere innocente e di aver causato la morte di Rémy per autodifesa, il giovane fabbro, pur avendo avviato la chiamata con la polizia, la riaggancia d’impulso quando, sullo schermo del televisore di un negozio, vede ripassare la notizia del ragazzo recentemente ucciso per mano dei poliziotti. Evidentemente Mady inizia a dubitare che questi gli crederebbero e, anzi, teme che finirebbero comunque per giudicare lui colpevole. È proprio l’ingiusta impossibilità per Mady, calcolata sulla base di pregressi sociali, di ricevere l’adeguato sostegno da parte della polizia a condannarlo ad un’intera nottata di patimenti e, presumibilmente, agli strascichi psicologici che da essa gli deriveranno.

Sul piano estetico-formale, i maggiori punti di forza di La Nuit se traîne sono la regia di Blanchart e la fotografia di Sylvestre Vannoorenberghe. Le numerose scene action che inframmezzano lo sviluppo della trama sono girate con la perizia tecnica di un film ad alto budget: la macchina da presa ne sembra un terzo attore, per come, tracciando vorticose e fluide traiettorie per lo spazio filmico – composto dagli angusti vani di una casa di prostituzione, o dagli stretti e ripidi vicoli caratteristici del centro della capitale belga – si tiene attaccata alle spalle e ai repentini spostamenti di Mady, che forsennatamente si dà alla fuga, e di un delirante Théo che lo insegue, ad esempio. Bruxelles, che alle peripezie dell’innocente fabbro attraverso il suo lato più oscuro fa ignara da scenario, è catturata nel suo affascinante e spaventoso mistero notturno dall’obbiettivo di Vannoorenberghe, che ne esalta le tonalità scure e le sfumature dorate conferitegli dall’illuminazione artificiale.

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Prendendo ora in considerazione la sceneggiatura di Blanchart e Marchand, i due hanno progettato un ingranaggio organico che raggiunge con agilità il suo obiettivo, quello di agganciare lo spettatore per l’intera durata della visione, legandolo al sottile filo di una suspense ottimamente costruita. Anche se nella prima parte del film il protagonista sembra guidato nelle sue (non)scelte da un’ingenuità e una tardiva reattività che risultano inverosimili – come quando lascia che Claire si allontani dall’appartamento subito dopo averle prestato il suo servizio, o, ancora, quando, dinanzi ai primi bruschi tentativi di Yannick di estorcergli una confessione, si limita a dichiarare di non aver rubato lui i soldi da casa di Rémy, senza sforzarsi minimamente di spiegare come siano andate effettivamente le cose –, La Nuit se traîne trascina il pubblico dall’inizio alla fine, prima grazie alla curiosità che nasce rispetto al destino di un personaggio per cui non si può non provare empatia, poi, nella sua seconda parte, grazie all’autentica originalità delle soluzioni con cui Mady attivamente cercherà di risalire dal fondo verso la superficie.  

Da elogiare è necessariamente la qualità delle performance, in particolare, di Feltre, Bloquet e Duris, che dei rispettivi personaggi canalizzano con fare immacolato, in un flusso dalla portata costante, i principali tratti caratterizzanti: la gentile perseveranza per Mady, la spaventata arroganza per Théo e la spietata prepotenza per Yannick.  

Quella di La Nuit se traîne è una visione fresca, perfettamente aderente al tempo presente, che dimostra come anche il cinema di genere possa farsi portavoce di contenuti nuovi e urgenti e, attraverso di essi, produrre ampie riflessioni. Blanchart deve ancora raggiungere la sua piena maturità, ma, di certo, è sulla strada giusta.

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One thought on “#RomaFF19: La Nuit se traîne, la recensione del film di Michiel Blanchart

  1. Non credo che una recensione dovrebbe spoilerare tutta la trama di un film, ma a parte questo non sono d’accordo sul fatto che Madi all’inizio fa scelte ingenue. A mio parere resta semplicemente affascinato da Claire e non si aspetta un raggiro (come nessuno si aspetterebbe da una giovane ragazza dal volto angelico come lei). Invece con Yannick è sotto choc. Per questo non è lucido abbastanza da giustificarsi. Trovo entrambi i momenti molto credibili.

    Per il resto sono d’accordo con la tua recensione.

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