Londra, 20 giugno 1963. Erano passati 18 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale e nonostante ciò c’erano ancora troppe storie da raccontare, troppe testimonianze da raccogliere di donne e uomini coraggiosi che avevano dato la vita per uno scopo, per la libertà. Una di queste era la storia di un gruppo di soldati prigionieri, di ogni nazionalità e caratura, che uniti tentarono l’impossibile, ovvero un’enorme fuga di massa dal campo di prigionia tedesco Stalag Luft III. Ebbene in quella sera estiva londinese uscì nelle sale uno tra i film più iconici e significati del cinema di guerra: La grande fuga (trailer) Come già detto, il film, prodotto dalla Mirisch Company e diretto dal regista americano John Sturges, è la celebrazione documentata di veri eroi dell’aeronautica militare, che con ingegno, astuzia e estremo sangue freddo riuscirono a sbaragliare le linee tedesche.
Ma come ha avuto origine e si è evoluto il piano di fuga? Nella Germania del Terzo Reich nel 1942, mentre i soldati tedeschi erano intenti a catturare le truppe degli alleati, un gruppo di prigionieri di guerra veniva condotto al nuovo campo detenuti Stalag Luft III, nel cuore della foresta e della desolazione. Creato appositamente per contenere “le mele marce” nemiche, ben note per la loro consueta pratica di fuga, il campo presentava condizioni umane dignitose, con attività di svago e lavoro, per volere del colonnello Von Luger (Hannes Messemer), al fine di dissuadere ogni tentativo di ribellione.
Fin da subito tra le figure che spiccavano nel campo c’era il comandante di squadriglia della USAAF (United States Army Air Forces) Roger Bartlett (Richard Attenborough), rinominato X e conosciuto per essere l’organizzatore delle più grandi fughe e disordini tra le compagini tedesche. Anche questa volta, X, dopo l’approvazione del comandante di gruppo dei prigionieri Ramsey (James Donald), ideò un piano di fuga massiccio, ambizioso, di tre tunnel sotterranei – soprannominati “Tom”, “Dick” e Harry” – che attraversavano il campo oltre le linee di confine e avrebbero consentito l’evasione di 250 detenuti.
La realizzazione del piano era molto complessa e richiedeva l’impiego di tante figure chiave, quali un falsario, il tenente di squadriglia Colin Blythe (Donald Pleasence), lo scassinatore tenente di squadriglia Robert Hendley (James Garner), il tenente Danny Velinski (Charles Bronson), specialista dei tunnel, il falegname e il sarto della compagnia. Venne costruita una massiccia rete di collaboratori per la predisposizione documenti, abiti civili, cartine, biglietti ferroviari, razioni di viveri. Però, durante i festeggiamenti del 4 luglio (Giorno dell’Indipendenza statunitense), i soldati tedeschi scoprirono “Tom”, inasprendo ulteriormente i controlli.
Dopo il tentativo di evasione del capitano Virgil Hilts (Steve McQueen) e la morte del compagno Archibald Ives (Angus Lennie), Il piano di X era a rischio, concentrando di conseguenza tutte le sue forze sui due tunnel restanti. La notte scelta per la grande fuga, però, il capitano Hilts, mandato in avanscoperta, scoprì che il tunnel era troppo corto di 8 metri rispetto al punto prestabilito.
Ma il progetto non poteva essere ulteriormente rimandato, e i prigionieri furono costretti a procedere. Durante il vano tentativo solo 76 detenuti riuscirono a scappare dal campo, grazie al prezioso aiuto di Hilts appostato nel bosco come vedetta. Diretti in molteplici direzioni in tutta Europa, quali Francia, Svizzera e Spagna, soltanto una dozzina di soldati arrivarono a destinazione.
La maggior parte dei fuggitivi venner riarrestati e ricondotti nel campo, o ancor peggio uccisi per esecuzione diretta. Nel film John Sturges volle mantenere una corrispondenza storica radicata, inserendo su ogni piano della produzione innumerevoli fatti e ricostruzioni ben dettagliati, riprese dalle dichiarazioni dei detenuti. Partendo, per esempio, dall’impiego da parte dei tedeschi di microfoni lungo la linea di cinta per spiare qualsivoglia attività sospetta, per passare alle meticolose documentazioni sulle riproduzioni di abiti, uniformi militari tedesche e documenti falsi, fino ad arrivare al continuo scambio di materiali segreti all’interno di pacchi forniti dai corpi alleati britannici e statunitensi.
Ogni singola notizia, dunque, venne raccolta passo per passo nel best seller omonimo pubblicato nel 1950 del pilota australiano Paul Brick Hill. Abbattuto dai tedeschi in Tunisia nel 1943 e portato nel campo militare di massima sicurezza, Brick Hill ricevette l’ordine dai capi dell’organizzazione di documentare ogni singolo reperto. Questi, infatti, si resero subito conto che tale compito non solo era una testimonianza fondamentale della loro personale storia, ma che soprattutto, tramite ciò, avrebbero ricoperto un ruolo essenziale nel divulgare la storia nella sua totalità.
John Sturges, profondamente interessato al progetto, a suo modo era già stato un protagonista della Seconda guerra mondiale, visto il suo coinvolgimento nella produzione di documentari per conto dei corpi militari dell’aeronautica statunitense. A seguito di una lunga e controversa discussione sulla veridicità di questo enorme progetto, circa dieci anni dopo la pubblicazione del libro, venne dato semaforo verde per la produzione del film. La grande fuga, scritto a quattro mani dallo sceneggiatore W. R. Burnett e dallo scrittore australiano James Clavell, restituisce uno sguardo più che veritiero della vita in un campo, nuda e cruda, mutando il punto di vista dello spettatore in quello del prigioniero.
Il film, che segue un ritmo calzante dettato da un montaggio frenetico e ben congegnato, permette allo spettatore di assaporare l’avventura e la tensione generale del pericolo incombente, lo spettatore riviveva ogni singolo attimo straziante, indirizzato dal regista con delle inquadrature, anch’esse, ragionate. Con l’avanzare degli scavi, Sturges procede per carrellate laterali, parallele alla costruzione dei tunnel, tramite l’utilizzo di lunghe insenature nel terreno. Inoltre, per seguire la connotazione storica certificata del film, Sturges coinvolse, come assistente costruttore del campo, l’ex pilota da caccia canadese Wally Floody, ex prigioniero dello Stalag Luft che al tempo della reclusione disegnò e progetto i tre tunnel.
Anche i dettagli ricoprivano un compito focale, in quanto mostravano gli attimi di terrore, le svolte e le silenti vittorie dell’organizzazione sui tedeschi.
A rafforzare l’idea veniva in aiuto la colonna sonora del film, perlopiù composta da fanfare e fischi, la quale riproposta in vari contesti e velocità, accompagnava il sentimento della truppa.
La grande fuga ebbe come sua base operativa delle riprese Monaco di Baviera e le sue immense radure verdi. L’ ambiente spaziava dalle riproduzioni del campo sia interni che esterni costruiti agli studi della Bavaria Film, alle sequenze delle fughe nei pressi della contea del Reno e di Füssen, per concludersi con le riprese di Steve McQueen in motocicletta nei dintorni della valle di Pfronten-Berg.
Per quanto riguarda il lato attoriale il regista, con il benestare di Hill, decise di concentrare centinaia e centinaia di ruoli in pochi soggetti, cruciali ai fini della trama, così da poter convogliare l’attenzione del pubblico direttamente sui fatti realmente compiuti e le azioni disperate dei personaggi.
Ebbene, anche gli attori impiegati nella produzione de La grande fuga avevano realmente partecipato ad importanti missioni belliche, come l’attore inglese Richard Attenborough quale mitragliere della RAF, Donald Pleasence catturato dalle truppe hitleriane e, infine, Charles Bronson come esperto minatore.
n conclusione La grande fuga fu un progetto mastodontico, che si tradusse in un capolavoro indiscusso, sopra ogni schema dei film di guerra, che determinò davanti a se le linee di confine della storia del genere.