Esattamente 65 anni fa, il capolavoro di Alfred Hitchcock La donna che visse due volte (in originale Vertigo, qui il trailer) approdava nelle sale. Si tratta di un capolavoro nel senso letterale del termine, una mastodontica opera d’arte annoverata tra le più grandi pellicole della storia del cinema, recentemente restaurata in 4K e arrivata perfino a rubare il titolo di miglior film di tutti i tempi a Quarto potere nella classifica stilata nel 2012 dalla rivista Sight & Sound – interrompendo una serie ininterrotta di vittorie per l’opera prima di Orson Welles che deteneva il primo posto sul podio fin dal 1962.
La donna che visse due volte è studiato ed ammirato ancora oggi per una sfilza di validi motivi: le performance di James Stewart e Kim Novak, l’impareggiabile maestria del regista britannico nella gestione della suspense e la sottile riflessione che il film offre su tematiche quali il trauma e l’ossessione, per citarne alcune. Ciò che rende questa pellicola veramente speciale ed eterna, tuttavia, è il perfetto uso di ogni singolo elemento appartenente alla macchina cinema, dai colori al montaggio, passando per la colonna sonora di Bernard Herrmann.
Basti pensare all’entrata in scena di Madeleine Elster (Kim Novak), l’unico essere umano vestito di verde all’interno di un locale totalmente tappezzato di rosso, gremito di clienti vestiti di nero. L’occhio di Scottie (James Stewart), così come il nostro, è inevitabilmente attratto dal vestito verde della donna prima ancora di poter visualizzare bene i lineamenti di quel volto che porterà il protagonista all’infatuazione e, infine, all’ossessione. Madeleine è vestita di verde anche quando riappare sotto il nome di Judy Barton dopo aver inscenato la sua morte, ed è verde il colore del neon proveniente dalla sua finestra che accompagna la sua fatale trasformazione nella donna che Scottie ricordava, generando un gioco di luci e colori grazie al quale la ragazza appare evanescente, quasi incorporea, come un fantasma appena tornato dall’aldilà.
La nitidezza delle immagini, unita al notevole montaggio di George Tomasini – che brilla soprattutto durante la sequenza del sogno di Scottie e durante i brevissimi flashback (tra i quali va citato il bacio tra il protagonista e Judy/Madeleine nella camera d’albergo che si trasforma per qualche secondo nella scuderia dove si erano già baciati) – fa da perfetto contorno alla musica di Bernard Herrmann che, con la sua costante ripetizione di leitmotiv, si riallaccia al tema dell’ossessione: la volontà di rivivere a tutti i costi qualcosa che non esiste più, o che non può esistere. Un ciclo mentale potenzialmente infinito, come una spirale. Neanche a farlo apposta, la spirale è uno dei simboli ricorrenti ne La donna che visse due volte: si può vedere nelle animazioni dei titoli di testa realizzate da Saul Bass, all’interno del tronco della sequoia abbattuta e perfino nei capelli biondi di Kim Novak.
Inoltre è quasi superfluo citare il cosiddetto effetto Vertigo, una delle intuizioni più geniali di Alfred Hitchcock, utilizzata per la prima volta in questo film e ad oggi una delle tecniche cinematografiche più note: la semplice combinazione di uno zoom in avanti e una carrellata all’indietro (o viceversa) per tradurre in immagini il senso di vertigini provato dal protagonista.
La donna che visse due volte è cinema allo stato puro. Rappresenta uno dei rarissimi casi in cui ogni piccola sfaccettatura della Settima Arte viene utilizzata al massimo delle potenzialità e con risultati sorprendenti, resistendo all’inesorabile scorrere dei decenni. Si tratta davvero di uno dei migliori film di tutti i tempi, perfettamente godibile oggi come sessantacinque anni or sono.