Come ogni venerdì, nuovo appuntamento di DassCinemag con la rubrica in cui si parla di critica con i critici. Proseguiamo il nostro percorso con uno dei pionieri di YouTube Italia, nonchè uno dei canali più conosciuti a tema cinema: Mattia Ferrari, noto sul web come victorlaszlo88. Attualmente prosegue la sua storica attività su YT, alla quale ha affiancato di recente l’esperienza di Twitch e una copertura dinamica anche sugli altri social.
Qual è il tuo concetto di critica e all’interno di esso, come stabilisci l’equilibrio tra opinione e criterio oggettivo? Sempre in quest’ottica, le esperienze e il vissuto cinematografico di un critico all’interno di un’analisi quanto devono uscir fuori?
I critici da stampa secondo me molto spesso commettono l’“errore” di appesantire troppo gli articoli e farcirli di paroloni. A quel punto mi chiedo, a chi ti stai rivolgendo esattamente? Se tu sai che la tua critica potrebbe essere potenzialmente letta da milioni di persone, devi anche sapere che di quella cifra, la maggior parte è composta da persone che non seguono il cinema assiduamente e che magari vogliono sapere come spendere al meglio i propri soldi e il loro tempo. Facendo così, non riesci ad arrivare a quel tipo di persone, ma solo a chi può accedere a quel tipo di contenuto attraverso studio e cultura della materia. La maggior parte delle critiche che troviamo oggi è troppo specializzata. Per stimolare un dibattito critico, devi metterti al livello delle persone a cui ti rivolgi o perlomeno farti capire. Se tu proponi qualcosa di accessibile a pochi, allora lì la critica fallisce. Ad esempio, io adoro Francesco Alò perché è scevro di questo e comunica moltissimo a un pubblico medio con una certa cultura, ma rimane sempre molto attento a rendere le sue critiche molto accessibili. Magari posso non essere d’accordo con lui, ma tra tutti i critici è uno di quelli che ha capito meglio questo problema della critica. Ed è ciò che cerco di fare anche io, anche se non al livello di un critico, ma più come opinionista. Ora chiaramente ne so più di quanto ne sapessi quando ho iniziato, imparerò sempre di più, ma non so se arriverò mai ai livelli di gente come Federico Frusciante, che vive e ha sempre vissuto di cinema attraverso la sua videoteca. Poi molti critici e anche cinefili si attaccano a ciò che è popolare a prescindere ed è sbagliato, perché il cinema nasce come forma d’intrattenimento popolare. Considerarlo come un mezzo per fare esclusivamente arte è sbagliato, ci sono molti film che non verrebbero considerati arte da nessuno ma intrattengono tante persone, ovvero la funzione per cui è nato il cinema, come con l’arrivo del treno o l’uscita degli operai. Non è arte in sé, sono diventati documenti storici, ma non sono un prodotto artistico come un Nosferatu di Murnau. Avatar per esempio è quello, ma in versione 2010. Adesso vedere l’arrivo di un treno per noi è la cosa più normale del mondo, mentre vedere degli alieni con quella computer grafica e con quelle tecniche innovative di ripresa, sono il nuovo intrattenimento. Il concetto rimane lo stesso, cambia la tecnologia. Per quanto riguarda soggettività e oggettività io ho un criterio tutto mio. Il cinema è grammatica, se io vedo uno scavalcamento di campo non è necessariamente un errore, ma comunque una rottura delle regole. Tante innovazioni sono arrivate rompendo le regole in tanti campi, non solo nel cinema. Lo scavalcamento di campo, come qualsiasi altro errore grammaticale, diventa tale nel momento in cui non aggiunge nulla alla scena e da solo fastidio. Così come se una sceneggiatura è mal scritta in modo da incasinarla e non magari aggiungendo qualcosa in più o se un attore recita oggettivamente male. Però tu puoi comunque avere chiari tutti questi aspetti e li entra in gioco la soggettività. Avengers Endgame, ad esempio, escludendo chi lo odia solo perché è diventato così popolare, io non mi sognerei mai di dire che è privo di problemi, anzi, ne ha tanti. Solo che l’emozione che ho provato con quel film a livello d’intrattenimento, l’ho provata poche altre volte. Non è sicuramente né un capolavoro, come dicono alcuni, né tantomeno un film magnifico, ma a me ha trasmesso quelle sensazioni. Ora in Italia c’è la moda di fare il tifo da stadio per tutto, per il cinema, per la politica. O sei una parte o dall’altra, non ci sono più vie di mezzo, o è un capolavoro o una merda. Se soggettivamente apprezzi qualcosa, ma ne riconosci i problemi, va benissimo. Non vanno confusi i sentimenti che provi per un’opera, con la sua qualità. Motivo per cui ho smesso di dare voti nelle recensioni, perché la gente non ne capiva il contesto. Io quando do un voto, lo do nel contesto in cui il film vuole arrivare. Un 8 ½ a Justice League, non vale quanto un 6 dato ad un film autoriale con tutt’altri intenti. Nonostante avessi spiegato questo criterio, la gente non capiva perché gli interessava solo del voto senza sentire altro.
Come vedi la figura del critico oggi (sia in Italia che all’estero) e in che modo credi abbia impattato l’avvento di Internet in essa? Reputi che abbia perso importanza sociale nel tempo o si sia solo mutata e adattata?
Innanzitutto parto col dire che personalmente non mi ritengo un critico, perché nel senso stretto del termine è prima di tutto un giornalista con il tesserino. C’è stato un periodo in cui mi sarebbe piaciuto prenderlo, ma poi ho capito che non mi interessava. Nel momento in cui tu sei un critico, hai anche più responsabilità e io non la voglio. Non perché non me le voglia assumere, ma la mancanza di quella responsabilità mi permette di esprimermi come preferisco.
Mi interessa il discorso che fai al tuo non sentirti critico. È legato ad un discorso percezione della figura che c’è del critico ora o è dal tipo di background?
Non sento avere la preparazione necessaria per sentirmi critico. Poi molti critici hanno anche molta spocchia, usando termini aulici e accademici che sono fini a se stessi. L’accademia ti prepara a un lavoro, ma poi quel lavoro devi farlo in un certo modo. Non mi sento quindi di incasellarmi nei critici, perché primo è una mancanza di rispetto per chi si è fatto il mazzo per essere un vero critico. Poi molti possono dire sei un critico perché quello che fai è critica. Diciamo che sì, è il mio lavoro, ma è diverso da un critico che puoi trovare su un giornale. Io, per esempio, sono molto volgare e trovo che la volgarità in questo senso sia molto utile a comunicare, anche più di molti termini più alti, perché arriva a tutti e fa arrivare dei concetti che, magari, altrimenti non sarebbero arrivati. Per ora questa che faccio non è una nuova forma di critica, semplicemente perché non è riconosciuta, quindi non mi credo ancora un critico. Ciò che faccio potenzialmente può essere fatto da tutti, quello che fa un critico no. Ed è giusto che sia così e mi piace, perché poi i critici devono rientrare in degli schemi, in cui io invece non devo. Molti critici, infatti, non la prendono bene il vedere noi con tutte queste libertà nel fare quello che fanno loro. Invece di lamentarti, adeguati al mondo che cambia, come alcuni hanno fatto. Riguardo l’importanza sociale che aveva un tempo, io credo fosse sbagliata, perché il critico spesso si elevava a quello che ne sa più degli altri e ti diceva quello che è. Aveva anche il potere distruggere, così come il critico culinario poteva distruggere un locale e questo non va bene. Io posso distruggere un film, ma non sarei contento di sapere che un film fallisce per colpa mia, cosa che ovviamente non è mai accaduta e mai avverrà, grazie al cielo. Io non voglio quel tipo di potere. La figura del critico prima era troppo elitaria, era “io sono io e voi non siete un cazzo”. Non che lo volessero dire gli stessi critici, ma erano percepiti così da tutti e tu dovevi seguire quello che dicevano, perché avevano studiato. Concettualmente è giusto che ne sappia più di te, quello nessuno lo mette in dubbio, ma così è un rapporto a senso unico. Il web ha cambiato principalmente questo, dando la possibilità al critico di comunicare realmente con la massa e a volte è proprio quello il problema, perché in quel modo però si annacqua la critica: ci sono poche recensioni e tanti articoletti, cosa che faccio anch’io su Instagram, ma anche in quel caso cerco sempre di stimolare un dibattito. Per molti invece è solo clickbait e spesso vanno anche a tradurre male, distorcendo le notizie per avere più click. Per carità, è capitato anche a me di sbagliare e prendere una fonte con leggerezza, sparando cazzate, però toglievo subito tutto, pubblicavo una rettifica scusandomi e facevo più attenzione la volta dopo. Le cazzate le dicono tutti, sapessi quante ne ho dette io. L’importante è rendersene conto e ammetterlo.
In un mondo in cui si legge sempre meno, si è avvertito sempre di più, anche in questo campo, il passaggio dallo scritto all’audiovisivo. Il format della recensione, ad esempio, sopravvive anche grazie al forte supporto datogli da piattaforme come YouTube, Twitch o altro. Durante questo passaggio, credi si sia perso o aggiunto qualcosa?
Io personalmente preferisco il video e mi riesce meglio. A scrivere ci metto molto di più ed è chiaro che cambia il linguaggio, anche se quando scrivo cerco comunque di non elevarlo troppo rispetto a chi legge. Preferisco il video perché ti dà appunto questa possibilità di esprimerti diversamente, però anche scrivere non mi dispiace. Spesso poi scrivere ti dà più importanza, perché attraverso lo scritto sembri più un critico vero, anche se poi spesso in molte testate non sono neanche critici quelli che scrivono, nonostante possano fare lo stesso dei bellissimi articoli. Secondo me addirittura si perde qualcosa nella scrittura: il video ti permette di dire tutto quello che vuoi e di rendere incisivi dei concetti attraverso gesti ed espressioni che non possono essere scritti. Poi è sempre possibile impostare un video attraverso la scrittura, per avvicinarsi a quel mezzo. Io personalmente non lo faccio, non ci riesco. Preferisco andare a braccio.
Sei uno dei veterani di YouTube Italia e uno fra i primi ad aver trattato di cinema. Come si è evoluto il mezzo a livello lavorativo negli anni e quali sono state le tue grandi tappe che lo hanno trasformato da pura passione a lavoro?
Sì, io sono stato il primo a parlare di cinema con continuità, se si esclude Yotobi che però parlava solo di film brutti. Ho avuto tanta fortuna da quel punto di vista ad approcciarmi quando ancora non c’era ancora nessuno e sicuramente mi ha aiutato, poi poco dopo sono arrivati molti altri chiaramente. Avevo anche fatto una ricerca prima di iniziare, per capire chi ci fosse e come differenziarmi, ma non c’era ancora nessuno di continuativo. Ho iniziato a pensarlo come un lavoro quando ho capito che ci si potesse guadagnare. In quel periodo stavo mollando l’università e stavo per iniziare a lavorare al McDonald. Poi mi chiamarono da Movieplanet, per chiedermi se volessi fare recensioni pagato anche nel loro canale. Da quel momento la mia vita è svoltata, perché avevo la sicurezza di uno stipendio fisso, che unito a quello che guadagnavo su YouTube mi portava un guadagno totale decente. Mi sono spostato molto, all’inizio facevo molti film più classici, poi mi sono accorto che in questo lavoro è importante lavorare anche sul nuovo e mi sono specializzato su quello. Ultimamente mi sono occupato molto di cinecomics e molti mi hanno accusato di questo, ma era un periodo in cui non stava uscendo niente al cinema. Appena, per esempio, siamo arrivati in periodo Oscar ho integrato anche con tutti i film candidati e cerco di coprire tutto quello che esce nelle sale e sulle piattaforme. Mi sono evoluto molto da quel punto di vista, qualcuno direbbe involuto, ma io non sono d’accordo. Il punto è questo, mi piace tanto parlare delle cose appena uscite, perché sono quelle su cui si crea maggiore dibattito. Ma recensisco anche il classico e li guardo, ci mancherebbe, e ne parlo più su altri spazi come Instagram e Twitch. Per esempio, per integrare il classico e film più datati ho utilizzato le classifiche. Poi chiaro, come ho detto prima, parlo anche del mainstream tramite le varie piattaforme. Capisco gente che non vuole farlo, come Frusciante, che chiaramente è molto più coinvolto in quel discorso in quanto videotecaro e posso capire perché sia più incattivito di altri sullo streaming, gli hanno distrutto un lavoro. Ma lo conosco ed è in gamba, è una delle persone più caparbie e brave nel suo lavoro, quindi sono sicuro che si reinventerà in altri modi. Se lo fanno altri, lo capisco già di meno. Il cinema non è morto, basta guardare i dati. Nomadland è uscito sia su Star che al cinema, in una situazione in cui ancora tantissimi cinema devono riaprire e ha incassato in Italia più di un milione di euro. Considerando poi che non è affatto commerciale, è un film stile documentario sui nomadi americani, di solito cosa gliene frega al pubblico di un film così, eppure. Chiaramente ha contribuito la spinta degli Oscar e la voglia di tornare in sala, ma è comunque un risultato notevole. Il cinema è un momento sociale. Tu il caffè te lo puoi fare anche chiuso nel tuo ufficio, ma vai alla macchinetta per parlare con i colleghi. Anche quello è un momento, così come la pizza d’asporto e la pizza al ristorante. Al cinema non ci vai solo perché si vede meglio, ma per condividere un’esperienza e i momenti sociali sotto quest’ottica non moriranno mai, a maggior ragione adesso che ce li hanno tolti per così tanto tempo. Per uccidere un movimento sociale dovresti uccidere le persone e non si può. Quando poi sarà la nuova normalità questa situazione tra streaming e sala, arriveranno con qualcos’altro di nuovo a dire “Ah il cinema sta morendo”. L’uomo non ha memoria storica, non si ricorda di com’era il cinema 40 anni fa, non si ricorda del panico che c’era con l’arrivo dell’home video. Purtroppo poi il progresso è anche questo, è terribile che dei cambiamenti portino la gente a perdere lavoro, ma succede da sempre. L’essere umano però è una creatura straordinaria proprio per la sua capacità di adattamento, attraverso il dimenticarsi del passato.
Il poter parlare di cinema su Internet ha sicuramente il vantaggio di essere alla portata di chiunque e di potersi esprimere con libertà, ma d’altro canto elude quella stretta selezione che porterebbe un critico a scrivere su un giornale o una rivista. A fronte di ciò, non credi sia necessario un atto di responsabilizzazione da parte del “critico-influencer”, visto l’impatto sociale che ha sul pubblico? Te come hai gestito questa cosa?
Sì, ce n’è bisogno, però c’è da dire una cosa. La responsabilità è importante, perché tu sai che influenzerai una massa di persone che ti seguono. Però allo stesso tempo non sono d’accordo su alcune cose. Ad esempio, l’altro giorno dissi che la seconda stagione di Love, Death & Robots non mi aveva fatto impazzire e una persona mi ha risposto dicendo che non dovevo affossare questo genere di cose perché io ho una responsabilità nei confronti del pubblico. A me della responsabilità frega fino a un certo punto, io non posso stare a pensare che la gente non ha una propria testa per andare a verificare la qualità del prodotto. Io preciso sempre che sono miei personali pareri ed è sbagliato quindi che la gente ti segui indefessamente, ma gliel’ho chiesto io? C’è veramente bisogno che io dica alle persone di pensare con la propria testa? Questa dovrebbe essere la base di tutto. Odio la gente che ha bisogno sentirsi dire ciò che deve pensare, questa cosa mi dà il nervoso. A maggior ragione se a me una cosa ha fatto cagare, vattela a vedere per capire se sei d’accordo o no e poi in caso ne discuti. Io sono sempre per il dibattito. Se poi non hai tempo va bene, ma perlomeno non guardarlo perché non hai tempo, non perché ho detto che fa cagare. Sono sì influencer, nel senso che posso portare le persone a vedere qualcosa, quella è l’influenza. Ma non deve diventare che io dico A e la gente dice A, sennò finiamo con l’ipse dixit di aristotelica memoria e non va bene, altrimenti non c’è dibattito critico. Non sono più follower, ma seguaci nel senso stretto del termine ed è folle. La responsabilità, quindi, è anche delle persone di ricordarsi che hanno una testa per pensare e di poter sviluppare un loro pensiero critico. Poi chiaramente si può modellare su ciò che hanno detto altri, quello è chiaro, ma non deve diventare un rapporto assoluto. Non voglio diventare responsabile del pensiero della gente, quella si chiama dittatura del pensiero. Ovvio che una parte di responsabilità me la prendo, perché so che c’è gente così, quindi cerco sempre di stimolare un pensiero per chi mi segue, chiedendo sempre cosa ne pensano.
Il rapporto con il pubblico, in un mezzo in cui non c’è un editore, ma è il pubblico stesso a stabilire se e quanto guadagni, come va gestito secondo te? Ti capita mai di portare contenuti che eviteresti, ma che porti perché sai che il pubblico richiederebbe?
Devi essere bravo nel capire cosa vuole il pubblico e capire cosa vuoi tu. Esce qualcosa di cui tutti vogliono sapere la tua opinione? Se interessa anche a me lo faccio, se non mi interessa valuto. Non deve essere la gente a decidere cosa fai, devi trovare un equilibrio tra ciò che vuoi fare tu e ciò che vuole fare il pubblico perché altrimenti non ne esci più e diventa davvero il tuo editore. Il pubblico può suggerire e può farti capire quali sono i prodotti che devi recensire subito e puoi fare più avanti, ma non deve mai imporsi. Ad esempio, mi stanno chiedendo tutti Jupiter’s Legacy, siccome però non mi sta piacendo molto, aspettano e quando sarà il momento vedranno. Devi dare dei livelli di priorità, tanto devi capire che se lo vogliono, poi lo apprezzano comunque, perché capiscono che tu ci abbia pensato. Io dico sempre che con calma avrete tutto, ma non mi mettete fretta perché non siete voi a decidere quello che devo fare e quando lo devo fare. Questo capita molto spesso su Twitch, in cui ti impongono cosa fare e io rispondo sempre che non si devono permettere, io non sono la scimmietta che tiri la monetina e balla. Il pubblico non può decidere neanche per un film e le major ultimamente lo ascoltano troppo e infatti falliscono. Nella massa ci sono tanti che vogliono delle cose e altrettanti che ne vogliono altre, però spesso fanno più rumore quelli che si lamentano. Accontentandoli quindi non sempre fai bene, bisogna stare attenti a capire quanto il rumore sia effettivamente forte.
Questo è interessante, perché prima le major questo discorso lo facevano con la critica, perché sapeva quanto fosse importante. Adesso lo fanno direttamente con il pubblico.
Sì, è vero, perché si sono resi conto che adesso è il pubblico che ti fa staccare biglietti, non i critici. Prima non c’era nessun altro che ti dicesse la sua sui film, adesso con i social lo stesso pubblico dice la propria. Quando mi dicono “è grazie a me che guadagni e devi fare quello che dico io” io rispondo che è la massa unita che mi fa guadagnare, non te singolarmente. Ciò non significa che non ascolto il pubblico o non ne prendo suggerimenti, ma l’ultima parola è sempre la mia e io sono editore di me stesso. Un contenuto è più o meno apprezzato da una fascia di pubblico più o meno ampia, ma io non per questo escludo contenuti per le nicchie. Ovvio che poi mi concentro anche sul mainstream, è un lavoro e devo mangiare, ma sempre senza snaturarmi e senza dimenticarmi del pubblico nella sua interezza. Quindi sì, in questo senso ho visto anche cose che altrimenti non avrei visto, ma è giusto anche che pensi a ciò che piace e fa divertire il pubblico. Che poi spesso ciò che diverte il pubblico, diverte anche me.
Considerando la situazione di passaggio in cui siamo tra critico del ‘900 e quello del web, quali consigli puoi dare a un giovane che vorrebbe provare a intraprendere questo mestiere in questo momento di incertezza?
Io dico sempre che è importantissimo non dimenticarsi mai la propria passione, perché se non ce l’hai il pubblico lo capisce subito e non funzioni. Devi essere sempre te stesso e portare la tua pura assenza in quello che dici e deve sentirsi che proviene da te. La tua opinione va sempre strutturata su di te e sta al pubblico decidere se gli piace o no. Poi è importante stare sempre sul pezzo, io spesso mi tolgo il sonno. La gente dice che sono un influencer e allora non faccio un cazzo. Io lavoro 15 ore al giorno. Per carità, faccio anche altro, lavoro come talent manager in un network, però comunque il mio lavoro mi tiene impegnato tutto il giorno tra YouTube, Twitch o Instagram ad esempio, che ultimamente ho trasformato in un portale per le news e quello mi toglie parecchio tempo, gestendolo tutto da solo. Avere collaboratori mi toglierebbe il controllo pieno di quello che faccio e non sarebbe più mio. Io almeno lavoro così, c’è chi ha collaboratori e non c’è nulla di male ovviamente. Io voglio però che sia mia tutto al 100%.
Trovo questa intervista a mattia uno spunto per tutti coloro che hanno un vasto interesse per il cinema e tutti gli aspetti tecnici di questo ramo I da studente di scienze storiche vedo un filo conduttore tra storia e cinematografia.