Nell’agosto del 1938, John W. Campbell pubblica per la prima volta Who Goes There?, all’apparenza un racconto di fantascienza come tanti altri, ma che – proprio come la creatura aliena che ne invade le pagine – ha la capacità di cambiare aspetto e di ripresentarsi ogni volta con una forma differente. Tra le diverse che ha acquisito nel corso del tempo, è innegabile riconoscere che la più significativa, e che senza dubbio è riuscita a trarre il meglio dalle mutazioni precedenti, sia La Cosa di John Carpenter (trailer), precipitata sul nostro pianeta quarant’anni fa e ad oggi, dopo tanto tempo, still alive and breathing.
Antartide, 1982: le coordinate dell’invasione sono gelide e spietate. Non a caso MacReady (Kurt Russell) chiama il continente “inferno di ghiaccio”, citando inconsapevolmente il titolo originale del racconto di Campbell (nonostante quest’ultimo abbia luogo al Polo Nord). Un disco volante compie un atterraggio (s)fortuito, e degli scienziati ne recuperano l’occupante centomila anni dopo, incautamente convinti che questi sia morto congelato. Carpenter, però, non ci mostra tutto questo: nella sua versione, un elicottero norvegese sorvola lo U.S. Outpost #31 prendendo goffamente a fucilate un povero husky, che scappa terrorizzato tra le braccia dei suoi salvatori americani. I norvegesi restano uccisi, e non avranno mai la possibilità di riferire che il “povero husky”, in realtà, non è affatto terrorizzato; e che non è affatto un husky, a dirla tutta.
Il regista apre il racconto con quella che di fatto è un’introduzione più efficace rispetto ai lenti capitoli dedicati alla spedizione degli scienziati, e che lascia aperto lo spazio ad un eventuale prequel (realizzato poi nel 2011). L’autore di Halloween decide, assieme allo sceneggiatore Bill Lancaster, di mostrare l’astronave solamente più tardi, e di far esplorare i resti della base norvegese ai protagonisti. Questa scelta non giova solo al ritmo del film e alla tensione crescente, mostrando agli americani un assaggio di ciò che potrebbe accadere alla seconda base, ma rivela anche loro un dettaglio importantissimo: la Cosa è debole al fuoco.
E se tra gli umani il detto “combattere il fuoco con il fuoco” può assumere qualche significato, nello spazio si usa “combattere il fuoco con la paranoia”. Questa è la chiave, il tema che rende La Cosa di John Carpenter una pellicola brillante: egli sfrutta le abilità metamorfiche del mostro per mettere i protagonisti l’uno contro l’altro. Se nella prima trasposizione de La Cosa da un altro mondo del 1951 diretto da Christian Nyby e Howard Hawks gli umani si muovevano in modo compatto contro l’alieno, tra gli americani della base scientifica nel 1982 serpeggiano solo il terrore e il più orribile dei dubbi: quello che anche il più caro degli amici possa essere divenuto qualcos’altro.
Ed è in quest’ottica che il tanto discusso finale, in cui MacReady e Childs (Keith David) restano gli unici due sopravvissuti in una base ormai ridotta in cenere, diviene la conclusione perfetta per questo classico senza tempo. «Why don’t we just wait here for a little while, see what happens?»: i due restano in attesa, bloccati nelle macerie e costretti a giocare una partita a scacchi in cui nessuno ha la capacità di distinguere i colori dei pezzi, e nella quale l’unica regola è la diffidenza.
Nel 1936, John W. Campbell delineava questa premessa per il racconto che avrebbe scritto di lì a poco: «Incontrare bizzarre creature in grado di leggere nelle menti. Ci sono due tizi, e ciascuno non sa dire qual è l’amico e qual è una perfetta imitazione.» Quarantaquattro anni dopo, Carpenter delinea la stessa situazione, dando finalmente concretezza all’idea originale dell’autore.
E parlando di concretezza, è impossibile non citare i terrificanti effetti speciali di Rob Bottin (che all’epoca aveva solamente ventitré anni), Roy Arbogast e Stan Winston che, armati di gelatina, chewing gum e schiuma di lattice diedero vita a un mostro che poteva modellare la carne e le ossa dell’essere umano a piacimento, generando effetti gore spettacolari.
La colonna sonora, poi, porta l’inconfondibile firma del nostrano Ennio Morricone, il quale compose circa un’ora di musica; gran parte di queste tracce vennero scartate, ma alcune di esse vennero riutilizzate in seguito da Quentin Tarantino per il suo The Hateful Eight.
Quest’anno La Cosa compie 40 anni, e fuor da ogni dubbio si può considerare parte di quella schiera di pellicole fanta-horror che hanno invaso la nostra immaginazione e che hanno deciso di rimanere ancorate a noi in maniera indistricabile; così profondamente che, ormai, non avrebbe effetto neanche un lanciafiamme.