Contro Il padrino, una sfida persa in partenza
Quello di Francis Ford Coppola è un nome ormai leggendario. Lo troviamo il più delle volte associato al genere gangster, di cui il regista italoamericano è considerato “il padrino”. Il padrino (1972), appunto, e il suo sequel del 1974, così come il war movie Apocalypse Now (1979), svettano prepotentemente verso l’Olimpo cinematografico, gettando ombra sul resto della filmografia di Coppola. Tra i primi due capitoli del racconto della famiglia Corleone è rimasto a lungo celato un film squisitamente intimista e, insieme, capace di intercettare, con estrema lucidità e come poche altre opere, il proprio tempo e quello a venire. 50 anni fa veniva presentato a New York La conversazione. È la pellicola che l’autore predilige tra le sue e quella per la cui realizzazione ha dovuto combattere più strenuamente. L’obiettivo di Coppola non è mai stato quello di affermarsi come grande cineasta hollywoodiano, anzi. L’opportunità de Il padrino gli è capitata; si è sentito, poi, di doverla cogliere, nella speranza di riuscire, con parte dei proventi, a salvare dalla rovina l’American Zoetrope, casa di produzione indipendente di sua fondazione.
La conversazione, invece, sin dalla sua genesi, ha rappresentato per il cineasta la prova definitiva della sua autorialità, ma anche una delle meno appetibili per il pubblico. Soltanto grazie agli esorbitanti incassi de Il padrino, Coppola ha potuto dare alla luce il suo “piccolo” esperimento autoriale: nonostante il netto insuccesso al botteghino, La conversazione ha da subito ottenuto il riconoscimento della critica, aggiudicandosi la Palma d’oro al Festival di Cannes. È, però, un’altra dinamica della stagione di premiazioni ‘74-‘75 a rivelare un prezioso valore simbolico. Per La conversazione Coppola è stato nominato per Miglior sceneggiatura originale e Miglior film agli Academy Awards. In entrambe le categorie ha, tuttavia, perso contro sé stesso. Vince Il padrino – Parte II.
Scandalo Watergate, motivo ispiratore o sfortunata coincidenza?
L’intuizione all’origine de La conversazione è giunta a Coppola otto anni prima dell’uscita del film, in uno stimolante scambio di idee con il regista Irvin Kershner (Star Wars – Episodio V: L’impero colpisce ancora): secondo Kershner, erroneamente diffusa era la convinzione che la strategia più sicura per impedire di venire intercettati fosse camminare nel mezzo di una folla; in realtà, infatti, sempre più esteso diveniva l’uso di microfoni dotati di mirino, in grado di captare specifiche voci persino tra il chiasso urbano. Evento centrale del film di Coppola, che apre ed interseca ripetutamente l’intera narrazione, è la conversazione tra due giovani, una donna (Cindy Williams) e un uomo (Frederic Forrest) che, all’ora di pranzo, camminano in circolo per una Union Square (San Francisco) gremita e festiva. Harry Caul (Gene Hackman) è stato ingaggiato, presumibilmente da un industriale, per registrare lo scambio tra i due amanti. Grazie al piano d’intercettazione da lui studiato, Harry avrà a disposizione tre frammentarie tracce audio, ciascuna catturata con un metodo differente, che, una volta unite in un’unica traccia, restituiranno la conversazione nella sua interezza.
Secondo lo stesso regista, La conversazione avrebbe ottenuto molto più consenso di pubblico se non fosse uscito nelle sale mentre il polverone dello scandalo Watergate era ancora alto. In molti hanno interpretato il film come una reazione alla controversa situazione politica che stavano vivendo in quegli anni gli Stati Uniti. Eppure, Coppola aveva già terminato due terzi delle riprese quando, nel giugno 1972, cinque uomini, legati alla campagna per la rielezione del presidente Richard Nixon, irrompevano nella sede del Comitato Nazionale del Partito Democratico, situata nel complesso edilizio del Watergate a Washington D.C.: il loro scopo era installare microspie per impossessarsi di informazioni confidenziali, ma sono stati colti sul fatto, arrestati e successivamente condannati. Ancora oggi non è possibile sapere se Nixon stesso sia stato il mandante del crimine, ma dimostrato è che, una volta venutone a conoscenza, ha fatto di tutto per coprirlo. Comunque siano andate le cose, il Presidente si è dimesso nell’agosto 1974, sotto l’insistente spinta dell’opinione pubblica. Gli spettatori americani, a quasi due anni dall’inizio della triste vicenda politica, non erano intenzionati a ‘sentirne parlare’ anche al cinema. Eppure, in seguito allo scoppio dello scandalo, Coppola non aveva apportato alcuna modifica alla versione originale de La conversazione: i riferimenti politici – molto sottili – presenti nel film sono del tutto slegati dal caso Watergate. Nelle storie di cui sono rispettivamente protagonisti, tuttavia, le parabole di Nixon e Harry Caul hanno un punto in comune: la loro inevitabile caduta finale è causata da intercettazioni fatte per o da loro.
Harry Caul, protagonista scomodo e inattendibile
Principale ispirazione letteraria per La conversazione è Il lupo della steppa (1927) di Herman Hesse, che Coppola leggeva mentre stendeva la sceneggiatura. Harry Caul è basato sul protagonista del romanzo, Harry Haller, lupo solitario che non si sente appartenere al mondo che abita. Il regista, tuttavia, temeva che un protagonista del genere, per quasi due ore di visione, avrebbe faticato a suscitare l’interesse e l’empatia dello spettatore. È per questo che ha cercato di conferire all’Harry del suo film maggiore tridimensionalità, attribuendogli, ad esempio, connotati a lui stesso familiari.
Coppola ha reso Harry un cattolico praticante. L’ha fatto soprattutto perché, a suo dire, il sacramento della confessione costituisce una delle prime forme di invasione della privacy. Ma la religiosità del protagonista gioca anche un’altra funzione: gli conferisce il tormentato conflitto interiore al cuore del film. Harry è il numero uno nella sua professione, non soltanto sulla West Coast, probabilmente su tutto il territorio statunitense; il suo stesso lavoro, però, ha in passato causato la morte di persone innocenti e il pensiero assillante che ciò possa riaccadere intrappola Harry in una rete di rimorso. Quando si confessa dichiara di provare un costante senso di colpa, ma, allo stesso tempo, di non sentirsi responsabile. È un tentativo disperato di razionalizzare le conseguenze del suo mestiere, un’intenzione manifestata anche all’inizio del film, nel van appostato difronte a Union Square: «I don’t care what they’re talking about. All I want is a nice fat recording», dice all’assistente Stan (John Cazale).
È, paradossalmente, proprio la cieca fede Harry a renderlo un osservatore poco affidabile: il suo naturale intuito morale è intaccato, impedendogli di afferrare la verità oggettiva. La frase della conversazione tra i due giovani che allarma il protagonista, «He’d kill us if he got the chance», rivela accezioni diverse nel corso della narrazione. La prima volta che la ascolta, già consapevole della pericolosità delle registrazioni di cui è in possesso, Harry è convinto che il suo cliente, marito della donna, farà del male alla coppia non appena avrà prova del tradimento. Quando però, più tardi nel film, la stessa frase risuona nella sua mente, dopo aver scoperto della morte improvvisa dell’industriale e dell’incolumità degli amanti, la parola “us” risulta enfatizzata, ad intendere che siano stati l’uomo e la donna gli artefici della violenza.
«The bugger got bugged»
Blow-Up (1966) di Michelangelo Antonioni è evidente modello cinematografico per La conversazione: da esso il film di Coppola trae, fra le altre cose, il punto di vista dominante di colui che osserva/ascolta, piuttosto che degli individui la cui privacy viene violata. In entrambi i film il protagonista è raddoppiamento della figura del regista: anche quest’ultimo è, in sostanza, un voyeur, convinto di avere potere assoluto sulla messa in scena, in virtù della propria privilegiata prospettiva sui fatti narrati. Ma anche noi spettatori, a nostra volta, spiamo: seguiamo continuamente Thomas e Harry, costruendoci un’immagine di loro.
Harry, di sicuro, non ci riserverebbe un trattamento gentile se lo scoprisse. È ossessionato dalla tutela della propria privacy e lo è dovuto diventare proprio per fuggire dall’insostenibile senso di colpa implicato dalla sua professione. Il rimorso è un sentimento e l’unico modo per riuscire ad evitarlo per intero è silenziare del tutto la propria sfera emotiva. I rapporti affettivi, che naturalmente la alimenterebbero, pure, quindi, vanno ridotti al minimo, in numero e profondità. Pochissime sono le informazioni che devono trapelare sul proprio conto e, meno si possiede, più questa condizione è rispettata: «I would be perfectly happy to have all my personal things burnt up in a fire, because I don’t have anything personal», dice Harry per telefono al suo affittuario, che è riuscito ad entrare nel suo appartamento per lasciare un regalo di compleanno nonostante le tre serrature del portone. L’atteggiamento paranoico dell’esperto di intercettazioni verso la sfera privata è dovuto al fatto che, per via del suo mestiere, nessuno più di lui è consapevole della facilità con cui può essere violata.
«For Christ’s sake, everybody bugs everybody else»: la sequenza finale de La conversazione può essere letta alla luce della celebre dichiarazione di Nixon di fronte ad alcuni membri dello staff della Casa Bianca. Il peggior incubo di Harry si realizza. Squilla il telefono di casa: la voce è quella di Martin Stett (Harrison Ford), subdolo assistente dell’industriale, il quale avvisa il protagonista che, da quel momento in poi, sarà tenuto costantemente sotto sorveglianza. «We’ll be listening to you». Poi una traccia audio che riproduce esattamente il motivo musicale che, fino ad un attimo prima di sollevare la cornetta, Harry stava eseguendo con la tromba. Anche se negli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta notevole è stato lo sforzo per garantire la tutela del diritto alla privacy e limitare lo spionaggio, da allora i meccanismi di controllo si sono soltanto moltiplicati, divenendo ancora meno visibili e più capillari.
SITOGRAFIA
Suton K., ‘The Conversation’: Francis Ford Coppola’s Paranoia-Ridden Tale of Surveillance, Guilt and Isolation, in «Cinephilia & Beyond», https://cinephiliabeyond.org/the-conversation/, consultato il 30/03/2024
Hochman B., The Conversation: Coppola’s Paranoid Classic and the “Era of the Listening Device”, in «CrimeReads», https://crimereads.com/conversation-coppolas-paranoid-classic/, consultato il 30/03/2024
Molina N., Objective versus Subjective Reality in Francis Ford Coppola’s The Conversation, in «The “Other” Film Spectator», https://www.otherfilmspectator.com/objective-versus-subjective-reality-in-francis-ford-coppolas-the-conversation/, consultato il 30/03/2024
VIDEOGRAFIA
Mr. Beat, What Was Watergate?, https://www.youtube.com/watch?v=HU6biQoPBDk, consultato il 30/03/2024