La bambina segreta, la recensione: il vincitore del MedFilm Fest

Vincitore della 28ª edizione del MedFilm Festival, esce nelle sale italiane, a due anni dalla sua realizzazione La bambina segreta (trailer) del regista iraniano Ali Asgari. La protagonista del film è Fareshteh, una giovane madre interpretata dall’attrice e nipote del regista, Sadaf Asgari, che è presente anche nel film Kafka a Teheran uscito nelle sale lo scorso ottobre. Il lungometraggio è il risultato di una rielaborazione di Asgari del suo corto, intitolato La bambina, presentato a Venezia nel 2014. A questa operazione di “allungamento” collabora lo sceneggiatore Alireza Khatami, anch’esso parte del cast di Kafka a Teheran.

I due film, però, nonostante condividano il volere del regista di mostrare le estenuanti battaglie culturali e sociali intraprese dai giovani iraniani, non potrebbero essere più diversi. Se Kafka a Teheran è una ventata di aria fresca, con l’assetto ad episodi e la scelta di immergere i personaggi in situazioni pregne di un’ironia amara, ne La bambina segreta la storia appare già potenzialmente spiegata dalla traduzione del titolo (chiamato in lingua originale Ta Farda). Difatti, la narrazione si concentra sul tentativo di Fareshteh di nascondere la figlia illegittima ai genitori: con l’improvviso e imminente arrivo di essi la neomamma si mobilita per eliminare dal suo appartamento ogni prova dell’esistenza di sua figlia, mentre, con incessanti telefonate, cerca qualcuno che possa occuparsi della bambina per una notte.

Questa situazione viene proposta per tutta la durata del film in un continuo rimbalzo da una persona a un’altra, dove ogni soluzione apparente si rivela poi un inconveniente dai connotati pericolosi. Nessuno appare degno di fiducia nel quadro drammatico mostratoci da Asgari, l’unica che spalleggia la donna è la migliore amica e studentessa universitaria (interpretata da Ghazal Shojaei) e a cui la protagonista rivolge infine il suo appello disperato. Disperazione che viene rappresentata vividamente quando Fareshteh chiude la sua bambina, di soli due mesi, all’interno di una borsa da viaggio per eludere la sorveglianza del campus universitario dove vive l’amica. Un piano incosciente, escogitato in fretta e furia e dettato dall’ansia per l’arrivo effettivo dei genitori nella città dove vive, Teheran, ma che ha una buona riuscita.

Eppure il pensiero che ci sorge spontaneo è come tutto ciò possa essere peggiore del rivelare alla propria famiglia di aver avuto un rapporto sessuale ed essere rimasta incinta. Un pensiero decisamente occidentale che viene decostruito attraverso molti piccoli dettagli disseminati nella narrazione che ci mostrano quanto questo fatto possa realmente influire sulla reputazione e, di conseguenza, sulla vita della donna; soprattutto in un mondo dove le donne non possono affittare una stanza di albergo senza essere accompagnate dal marito. Il lungometraggio però appare saturo di eventi, elemento che si può attribuire al bisogno di costruire attorno a un prodotto già fatto e finito, ovvero il corto, nuove scene dinamiche.

In sala.

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