Il cinema di Pietro Marcello nella sua meravigliosa unicità non si presta a facili confronti. L’Envol riesce a garantirsi una sua specifica identità, un suo spazio, e non solo in mezzo al vastissimo mucchio dei film festivalieri (presentato in anteprima sia nella sezione Quinzaine des Réalisateurs di Cannes75, che nella sezione Best Of della 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma). Tale “spazio”, infatti, andrebbe meglio inteso come luogo ideale, come occasione, come la possibilità di appropriarsi di una delicatissima storia d’amore e accudimento che, in ogni sua sfaccettatura, ci riempie di bellezza e ci conduce al pensiero di restare sempre in ascolto dei nostri desideri, restando ancorati al presentimento che forse un giorno potranno avversarsi. Come nelle profezie, alcune cose nella vita ci sembra che siano scritte sin dalla nostra nascita e il film, infatti, parla proprio del destino: Raphaël (Raphaël Thiéry) è sopravvissuto al primo conflitto mondiale e torna miracolosamente vivo a casa in un piccolo paese della Francia settentrionale.
Sin dalla prima scena Marcello concilia la sua naturale impronta documentaristica a una sceneggiatura che trae liberamente spunto da un romanzo, attraverso un mix perfetto tra immagini di repertorio e finzione. Immagini che sono accuratamente incorniciate da un formato 4:3, abituandoci a una visione che è esteticamente in linea col tempo in cui è ambientata la narrazione e che quindi sfuma perfettamente il confine tra ciò che è vero e ciò che invece non lo è. Questi primi imput ci fanno pensare alla vita di quest’uomo come una vita già vissuta; eppure, è ancora una volta il destino che lo ha salvato dalla guerra a scrivere per lui un nuovo capitolo della sua vita, mettendogli tra le braccia sua figlia Juliette (Juliette Jouan). Questo incontro chiarisce gli intenti del film, proiettati in primis verso lo sviluppo di questo intimo rapporto padre-figlia che in fondo li approfondisce entrambi come singoli individui. La regia in questo tentativo ha un affascinante tocco e merito.
La vita di Juliette, infatti, è associabile al costante richiamo degli elementi naturali, in questa ricerca spasmodica per i dettagli che ci mette in connessione non solo con lei in quanto personaggio, ma anche con la fascinazione verso una semplicità che solo la natura è in grado di raccontare. Juliette è lo specchio di ciò che vediamo sullo schermo, una ragazza decisa ma semplice. Questo binomio corpo-natura trasforma il film in un quadro, Marcello ci fa pensare alla Venere di Botticelli, ci fa pensare alle Signorine sulla riva della Senna di Coubert, ci fa pensare alle Ninfee di Monet, insomma, ci regala un’esperienza che solo riduttivamente possiamo definire cinematografica.
Attraversati da un tumulto di bellezza, L’Envol segue un filo conduttore abbastanza lineare, scandito principalmente da rapporti di causa-effetto che ci ricordano lo schema narrativo canonico delle favole e che giustifica, con estrema naturalezza, anche tutti i personaggi di supporto: la bàlia Adeline (Noémie Lvosky), la maga (Yolande Moreau), il vessatore Renaud (Ernst Umhauer) e infine il giovane avventuriero Jean (Louis Garrel). Quest’ultimo, in particolare, segna un punto di svolta nell’intenso amore tra Juliette e Raphaël. Nel caso di lei, Jean è l’oggetto di un desiderio sessuale spontaneo e fanciullesco, che evolve ben presto in un desiderio di futuro, di evasione ed emancipazione. Nel secondo caso, invece, diventa l’oggetto di un desiderio passato, in quanto Jean si contrappone a Marie, la mamma defunta di Juliette, ossia l’amore perduto di Raphaël. Questo amore perduto è costantemente vivo in lui e nelle sue mani di artigiano che intagliano nel legno il volto di lei. Marcello riesce a descriverci chiaramente un amore occultato dalla morte, riportandolo in vita grazie l’abile connubio tra attore e regia. «Si possono fare i miracoli con le proprie mani» cita in apertura il film (riprendendo direttamente il libro di Aleksandr Grin da cui è tratto). Ovvero: i nostri sogni più forti possiamo realizzarli solo se li desideriamo ardentemente, e possiamo vederli davanti a noi proprio come se provassimo a intagliarli nel legno, anche quando i limiti ci sembrano insuperabili. Si possono fare miracoli anche al cinema, concedetevi questo regalo.