Skadoosh! Un altro nemico al tappeto. Altra missione portata a termine dal Guerriero Dragone. A sedici anni dall’uscita del primo capitolo, la saga dedicata al panda più coraggioso di sempre continua a divertire con Kung fu Panda 4 (trailer), ma si perde qualcosa lungo la strada.
Prendendo quasi alla lettera ogni manuale di sceneggiatura, la storia pone il protagonista di fronte ad una necessaria trasformazione: essendo il successore di Maestro Oogway, Po (Jack Black nella versione statunitense, Fabio Volo in quella italiana) deve diventare una guida spirituale, lasciando da parte il “fare a botte”. Non può più essere il Guerriero Dragone e deve trovare a sua volta un successore. Il tema del film è il cambiamento, con le sue possibili declinazioni e le emozioni che suscita. Da sottolineare la scelta, semplice ma efficace, di far lottare Po contro una personificazione, o meglio “animalificazione”, del cambiamento: la Camaleonte (Viola Davis, Barbara Castracane), l’animale mutaforma per eccellenza.
Purtroppo, però, ai titoli di coda, spunta una scomoda domanda: Po è davvero cambiato o è rimasto “solo” il Guerriero Dragone bravo a fare a botte? La sensazione è che il percorso di trasformazione non arrivi ad un punto tanto lontano da quello di partenza. Tutta la storia ruota attorno alla minaccia della Camaleonte, che viene affrontata facendo a botte dal primo all’ultimo scontro. Po trova il suo successore, ma non è più saggio di prima. Questa domanda, per fortuna, trova una risposta positiva con gli altri personaggi che sono chiamati ad affrontare un cambiamento. La new entry Zhen (Awkwafina, Alessia Amendola) e il genitore 2 Li Shan (Bryan Cranston, Paolo Marchese) si trasformano, si ritrovano ad essere diversi da come erano all’inizio.
Uscendo dall’universo narrativo, c’è un altro soggetto rimasto immutato rispetto a quando ha iniziato: il franchise, gestito dalla Dreamworks Animation. Questo capitolo non ha nessuna innovazione rispetto al primo. Non si parla dell’impianto narrativo, che funziona, considerando il pubblico a cui si rivolge il film. Funzionano anche le gag comiche, divertenti e non curanti al punto giusto del politicamente corretto. Funzionano anche le scene d’azioni, spettacolari e dosate nei momenti adatti. Ciò che delude è la mancanza di un passo avanti dal punto di vista tecnico. Dalla casa di produzione de Il gatto con gli stivali 2 – L’ultimo desiderio, che aveva osato con un’animazione nuova, ci si aspettava qualcosa di diverso. Questo esperimento era andato a buon fine, donando nuova linfa vitale alla saga. È proprio questo ciò che manca a Kung fu Panda 4 e alla saga in senso ampio: nuova linfa vitale. La ragione più plausibile di questa scelta conservativa è la ricerca di una continuità visiva della saga. Mantenere costante e riconoscibile il look visivo conferisce unitarietà ad un universo narrativo in espansione, con film e serie. Tuttavia, proprio un prodotto Dreamworks, sequel di un altro importante franchise, dimostra che il cambiamento è richiesto e viene premiato dal pubblico.
Da un lato Il gatto con gli stivali 2, fresco e coinvolgente, e dall’altro Kung fu Panda 4, ripetizione degli altri tre. Questi diversi risultati confermano che, ormai, nella storia dell’animazione statunitense, esiste un film di riferimento: Spiderman: Un nuovo universo. Le novità rivoluzionarie di questo film spartiacque sono troppo evidenti, non possono essere ignorate. Il gatto con gli stivali 2 aveva appreso queste innovazioni, assorbendole nel suo tipico stile d’animazione più frizzante e dinamico. Lo ha notato con furbizia anche Tartarughe ninja: Caos mutante, altro film che ha vinto la sua scommessa seguendo Spiderman. Non lo stanno notando né la Disney né la Pixar, in crisi creativa da anni. E non lo ha notato il monotono e spento Kung fu Panda 4. Il film in questione parla di cambiamento senza cambiare più di tanto, rimanendo solo un tassello di transizione fra il terzo e il quinto episodio della saga. Tuttavia, resta godibile, divertente e coinvolgente.
Al cinema dal 21 marzo.